Autore: 
Anna Guerrieri

“In che classe?” E' la domanda di sempre, una delle prime che ci si chiede quando si adotta un figlio. E' giusto interrogarsi ed è giusto confrontarsi con il mondo della scuola ed è importante che gli operatori della scuola stessa (dirigenti e insegnanti) siano consapevoli dei molteplici aspetti riguardanti il primo inserimento dei bambini adottati.

Questo articolo è dedicato a loro, ai professionisti della scuola. Perché coltivare l'attenzione e la sensibilità sugli aspetti dell'adozione internazionale richiede una costante vicinanza al tema.

Le età presunte

L'adozione internazionale cambia in fretta e di anno in anno nuove sono le necessità dei bambini. Per esempio la presenza di bambini con “età incerte o presunte” è qualcosa che è andato crescendo con le adozioni di bambini più grandi in paesi come la Cambogia, il Nepal, l'Etiopia. Ci si trova ad inserire a scuola un bambino o una bambina che dai documenti dovrebbero andare in prima elementare, ma che di fatto hanno 3 o 4 anni in più. Non è raro poi che i bambini stessi sappiano la propria età reale. Sulla carta c'è scritto qualcosa che non corrisponde a quel che sanno in prima persona e loro si trovano, talvolta, intrappolati in una fitta trama di incertezze e dinieghi.

Vicini alla preadolescenza

Altra situazione sempre più frequente è l'arrivo di figli adottivi che siano al limite tra le elementari e le scuole secondarie, ragazzini e ragazzine di 11 o 12 anni che si trovano trapiantati in un contesto di vita completamente nuovo in una fase già di per sé così delicata come la preadolescenza. L'età delle medie è un'età delicata, di crescita, di confronto sociale, di sperimentazione di zone “proibite” e che sino a poco prima erano competenza stretta del mondo degli adulti. Trovarsi catapultati in questo mondo, fragili per la propria storia, per la necessità di ricominciare a vivere nel nuovo contesto, può essere fortemente destabilizzante e può rendere davvero difficile capire sino a che punto ci si può spingere, e cosa sia “giusto e cosa sbagliato” per sé stessi.

Forse, in situazioni come quelle descritte (ma ce ne sono tante altre), bisognerebbe per davvero abbandonare il pensiero di trovare soluzioni scolastiche perfette. Si tratterà spesso di trovare la soluzione migliore per quello specifico bambino che si ha dinanzi in quell'istante, consci che si darà prevalenza a qualcosa su qualcos'altro e che ogni scelta comporterà anche rinunciare a qualche aspetto che si ritiene essenziale sulla carta ma poi poco affrontabile nella realtà.

Inizio dolce

E' chiaro che un inizio “dolce” può essere fondamentale per fornire una sorta di “zona di decompressione” ai bambini nel transito dal loro mondo di prima a quello attuale, o anche semplicemente per agevolare un inserimento linguistico. E' anche vero però che non si può ignorare il valore che ha per un bambino di 9 o 10 anni il gruppo dei suoi pari. Un bambino di 6 anni vive nell'orbita del suo ambiente famigliare, i suoi amici sono di fatto dettati dalle relazioni genitoriali, il gruppo-classe è guidato dalle maestre. Man mano che cresce, le scelte delle amicizie divengono sempre più autonome e il gruppo amicale inizia ad interagire con il mondo degli adulti in modo sempre più dialettico. Non è più solo guidato dagli adulti. Si tratta di mondi diversi e che idealmente si trasformano l'uno nell'altro con il tempo della crescita.

Dunque la prima domanda da porsi è se si debba scegliere un inserimento che privilegi una classe non corrispondente a quella dell'età dei bambini e di conseguenza meno richiedente, oppure non si debba preferire un inserimento che privilegi la reale età dei ragazzi accettando una maggior fatica e rischio sul lato dell'apprendimento e delle dinamiche relazionali iniziali scommettendo, tuttavia, su un rapporto tra pari.

Non si decide "a tavolino"

Rispondere in astratto è impossibile in primo luogo perché di età, nei bambini, ne coesistono tante, età fisica, età emotiva, età cognitiva, età affettiva. Per questo dobbiamo abituarci al fatto che le scelte vadano fatte di momento in momento anche in base all'idea di creare il “minor danno” possibile. Quel che serve di più ai figli adottivi (e ad ogni bambino) è il tempo: tempo per capire, tempo per capire sé stessi, tempo per crescere, tempo per sentirsi a proprio agio con la propria crescita. Hanno bisogno di tempo perché tutte le età che vivono diventino armoniche tra loro.

Può esserci un momento in cui il danno minore è privilegiare l'età emotiva ed affettiva e momenti in cui l'età reale va tenuta in conto stringente. E' giusto, per questo, pensare di fare scelte che possono subire dei cambiamenti nel tempo. Un bambino che, ad 8/9 anni, arrivato da poco, può avere bisogno di un inserimento in prima elementare, due anni dopo può trovarsi a disagio in terza elementare perché i suoi 11/12 anni sono diventati “distanti” dagli 8/9 dei compagni.

La reale difficoltà è che non c'è una storia uguale ad un'altra. Se per certi bambini (e soprattutto per le loro famiglie) trovarsi in una classe che non corrisponde alla loro età è una scelta valida e di fatto convivono bene con questa differenza per altri bambini è una sofferenza. Cosa è meglio non si può (non si deve) stabilire a priori, bisogna conoscere il bambino o la bambina in questione, guardarli con occhi scevri da preconcetti tenendosi sempre pronti a mutare opinione col passare del tempo.

Ci sono bambini che hanno vissuto a lungo in situazioni molto deprivanti, fisicamente ed emotivamente non corrispondono alla loro età anagrafica. Per loro ricominciare da una prima può essere la soluzione giusta o come dicevo prima la meno errata, quella che permette loro di non sentirsi pressati dal lato cognitivo, di “resa scolastica” e relazionale. Pensare che una ragazzina di undici anni vada direttamente in prima media, può essere realmente sbagliato, non tanto dal punto di vista cognitivo, ma dal punto di vista sociale.

Serve tempo, flessibilità e praticità

Il punto che non si può ignorare è che inserire dei bambini in una classe differente da quella corrispondente alla loro età è una soluzione, di fatto, semplice per la scuola ed è facile che, nel seguito, l'istituzione si “dimentichi” di provare a portare il bambino in una classe di pari età. Questa è l'istituzione. In realtà ogni scelta di inserimento richiederebbe l’attivazione, da subito, di un pensiero esplicito condiviso dal/la dirigente, dalle insegnanti e dalla famiglia che permetta in tempi successivi di valutare la possibilità di cambiamenti. Anche qui non ha senso prevedere troppo in anticipo progetti troppo dettagliati, intesi come “recuperi” a balzi successivi, bensì di porsi il problema di guardare verso il futuro con mente aperta senza escludere alcuna soluzione realizzabile. Il dialogo tra insegnanti e dirigente dovrebbe essere costante e la scuola dovrebbe essere motivata a non dimenticarsi delle situazioni. Non esistono soluzioni scritte sulla “carta”, esistono solo le soluzioni praticabili, quelle sperimentate e concordate. Decidere in terza che un bambino di 11 anni passi direttamente in quinta, oppure prepararlo in quarta ad un passaggio diretto in prima media non è qualcosa che si può stabilire a tavolino. Dipende dal bambino, dipende dalle sue esigenze, da quel che chiede, da come vivono le situazioni i suoi genitori, da cosa ne pensano le sue insegnanti e da che sinergie interne (o anche verso l'esterno pensando ai passaggi in prima media) sa attuare la dirigenza. Non è scontato. Non è automatico. Non è escludibile a priori.

In evidenza:

  1. Non esiste una ricetta valida per tutti, né un unico metodo. E' necessario lavorare in concreto avendo sempre in mente che talvolta sarà necessario scegliere la soluzione “meno dannosa” per i bambini.

  2. Scegliere la classe iniziale è una scelta da fare assieme: famiglia, insegnanti, dirigente. Ci deve essere vero consenso e condivisione di un pensiero comune che non si fermi al tempo dell'inserimento ma veda il bambino in divenire.

  3. Bisogna valorizzare le competenze della famiglia adottiva: i genitori adottivi sono i principali punti di riferimento dei figli, anche quando questi siano arrivati da poco. Sono loro che li hanno conosciuti nel loro paese di origine, che li vivono ogni giorno. Sono i testimoni della storia dei figli. Ascoltare le famiglie è il primo passo per creare un patto per il benessere dei bambini.

  4. E’ importante dare risposte chiare alle domande dei genitori: I Piani di offerta formativa (POF) dovrebbero sempre prevedere informazioni riguardanti l’accoglienza di minori portatori di vissuti particolari. E’ normale che un genitore adottivo si informi su quali progetti siano dedicati agli aspetti multiculturali, è normale che sottolinei come un bambino adottato internazionalmente abbia istanze profondamente diverse da quelle di un coetaneo arrivato per immigrazione. E' anche giusto che si informi sulle competenze della scuola in tema di adozione (varie sono ormai le scuole in cui sono stati realizzati percorsi formativi e progetti ad hoc).

  5. Burocraticamente: Per quanto riguarda l'aspetto burocratico, non esiste una normativa specifica che regolamenti l'iscrizione dei bambini adottati internazionalmente: generalmente le scuole tendono ad equipararli agli alunni stranieri, applicando le linee guida emanate dal Ministero della Pubblica Istruzione con la circolare minist. N. 24 del marzo 2006. Ogni scuola dovrebbe anche avere predisposto un proprio "protocollo di accoglienza" - Punto superato dalle Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati

 

 

Data di pubblicazione: 
Venerdì, Gennaio 8, 2010

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