Autore: 
Donatella Lisciotto

Al sud, in una suggestiva location sul mare,un gruppo di persone, uomini e donne, si riuniscono un sabato al mese. E' pomeriggio.

Hanno a disposizione un'ora e mezza di tempoma si fa fatica, di solito, a terminare l'incontro; anzi sembra che, allo scadere del tempo, ci sia sempre un altro intervento che introduca in una nuova storia,  in altre riflessioni. Si tratta di uno dei gruppi  dell'Associazione Genitori si Diventa (GSD) Parliamone Post, attivato a Messina e fortemente voluto da Luisa Ferlazzo e Gabriella Cacciola.

Mi sento di dire, con franchezza e gratitudine, quanto la conduzione di questo gruppo, continui ad essere per me momento di conoscenza, apprendimento e approfondimento, non solo delle problematiche adottive, sempre in divenire, quanto della condizione psichica ed esperienziale, armonica e/o conflittuale, dei singoli e dell'impatto e della ricaduta che questa ha nel gruppo.

Idealmente proverò a farvi entrare nel gruppo attraverso la descrizione di ciò che avviene durante un incontro Parliamone Post a Messina.

Appartenenza al gruppo.

 L'appartenenza si costruisce, non è automatica e quando c'è, si evince da alcune semplici performance:

-      la puntualità dei partecipanti

-      lo spegnimento dei cellulari prima dell'inizio del gruppo

-      l'occupare ognuno lo stesso posto della volta precedente, che significa che "ognuno ha il suo posto relazionale".

Questa fase preparatoria sembra evocare il raccogliersi attorno ad un fuoco, dove  si attende  che avvenga qualcosa; è propedeutico al pensare, al pensiero di gruppo, come avveniva nelle tribù o nella dimensione rurale.

Il conduttore allora accende il gruppo con un intervento insaturo che ha lo scopo di raccogliere e chiamare i membri del gruppo alla partecipazione emotiva, invitando i pensieri di tutti a scivolare da un assetto mentale individuale ad uno gruppale; passaggio, questi, non del tutto scontato e che avvia un cambiamento di stato e  prevede ascolto reciproco, scambio e circolarità (il pensiero del gruppo). Avviene cioè che si formi un pensiero, - comeuna tela - prodotto da tutte quante le persone presenti, non da una sola.

Qualcuno prende la parola, inizia la narrazione e si realizza, partendo dalle singole storie, un'unica grande Storia, con tante divaricazioni, che racconta di umanità, di dolore e di gioia, di speranze e delusioni, di aspettative esmarrimenti, di rabbia, di  risentimento. Una narrazione adottata (è il caso di dirlo)da tutto il gruppo. Ogni incontro, una narrazione diversa, a cui tutti contribuiscono aggiungendo sempre qualcosa in più (aneddoti, ricordi personali, quesiti, perplessità).

Si compone, così, la storia del gruppo e, al contempo, si dà corpo a la memoria gruppale. Stare insieme in assetto di gruppo attiva un lavoro psichico. Dietrole parole che si dicono quasi con nonchalance, c'è un movimento psichico intimo che si snoda a diversi livelli e complessità e che tocca profondità imprevedibili.

L'ascolto

Non è scontato sapere ascoltare, anzi direi che, a volte, c'è chi non può ascoltare poiché ostacolato da conflittualità interne irrisolte che impediscono la disposizione serena e flessibile all'ascolto dell'Altro. Molto presto i membri  del gruppo hanno  imparato ad ascoltare (non nel mero senso disentire dei suoni).

Sono pertanto, nel tempo, diminuite le sovrapposizioni di voci, gli incroci di interventi, il parlare sottovoce col vicino di poltrona ripetendo un'abitudine scolastica, la tendenza a formare piccoli sottogruppi che si esprimono contemporaneamente realizzando l'effetto babele.

L'ascolto include anche il silenzio; saper ascoltare il silenzio, saper stare in silenzio.

Il silenzio può essere un' esperienza angosciante; esso mette in contatto con la propria solitudine ma, nel converso, è anche una possibilità per ascoltare l' inquietudine, non necessariamente negativa, propria e altrui, e creare una "sospensione", uno spazio in cui essere capaci di aspettare ciò che dovrà essere udito. Dovremmo imparare dalla Musica che presuppone ed esige il silenzio, le pause, affinchè si sviluppi l'intera sinfonia.

Apprendere ad ascoltare, comprende anche la capacità di accettare le diverse posizioni, gli altri punti di vista e a non avere necessariamente "sempre ragione";  piuttosto tollerare le differenze di opinioni, anche quando si tratta di temi molto forti. Accettare  i contrasti, la conflittualità emergente significa, in primis, essere capaci di sentire il conflitto, non di negarlo.

Ascolto, silenzio e accettazione sonostrettamente legati al rispetto che prevede l'astensione dal giudizio e dall'urgenza di essere pedagogici a danno di un più libero pensare che avvia verso altre e nuove consapevolezze.

A volte ciò che emerge nel gruppo, attiva sentimenti ed emozioni contrastanti e intollerabili; solitamente questo  provoca l'intervento di meccanismi difensivi che si attuano ogni qual volta avvertiamo di essere in pericolo o in forte  imbarazzo psichico. Ecco allora che qualcuno farà ricorso alla superficializzazione di alcuni contenuti o proverà a banalizzare o negare.

Tutto quanto detto lega il gruppo come se esso stesso diventasse una famiglia. Si può dire che il gruppo diventa famiglia adottiva dei suoi stessi membri, laddove ognuno assume una parte, che, per dare efficacia all'esperienza gruppale, dev'essere di volta in volta, modificabile, interscambiabile, flessibile, mai rigida e predefinita e dove deve trovare spazio il contraddittorio oltre alla condivisibilità.

Quando ciò avviene il gruppo  assume al suo interno un movimento snello a favore di una pensabilità ricca, piena, "intelligente", sobria e sempre insatura che dia cioè spazio, nuovo, alla possibilità di attualizzare la storicità dei vissuti col modernismo reso  dal buon lavoro psichico. Questo, crea una migliore comprensione di sé e delle cose del mondo; una maggiore capacità critica, libera dalla componente super egoica fine a se stessa, produce sollievo e, di conseguenza, avanzamenti di stato.

Attesa

Il gruppo condivide anche l'attesa del prossimo incontro, attesa che i contenuti emersi  vengano singolarmente e gruppalmente elaborati e che questo consenta il passaggio ad una fase successiva dove poter affrontare altro ancora non conosciuto.

L'attesa si percepisce ogni qualvolta il gruppo ha difficoltà a separarsi, temporeggia nei saluti e sosta nel luogo dell'incontro ancora un po' di tempo. Un'"abitudine" del gruppo messinese, nata causalmente e consolidatasi nel tempo come tutti i riti che si rispettano, è l'aperitivo. Sì, avete letto bene.

Si può dire che l' "aperitivo" fa ormai parte del gruppo, (per questo l'ho virgolettato) e quando "salta", manca.

Alla fine dell'incontro, alcune persone del gruppo si soffermano nella suggestiva location (un porticciolo sul mare) a sorseggiare un cocktail accompagnato da sfizi mentre lo sguardo si perde nella vista dei cabinati e delle barche a vela che popolano lo specchio d'acqua che perimetra la location. L' "aperitivo-post" diventa allora un interstizio, che accoglie contenuti del gruppo, la fatica appena conclusa del lavoro psichico,  diverse sensazioni,  pensieri,  domande, lasciandoli  in incubazione, sospesi tra l'oblio e lamemoria... fino al prossimo incontro, fino al prossimo insigth.

Per concludere, il gruppo è impegnato in un vero e proprio lavoro che comprende alcuni importanti momenti:

-      svelare,

-      conoscere

-      affrontare

-      superare.

Devo purtroppo ricorre ad uno schematismo per sottolineare le operazioni con cui l'individuo (e il gruppo) è chiamato a misurarsi ma il processo è dinamico.

Lo svelamento è duplice, esso è riferito non soltanto alla conoscenza di un fatto concreto (il dossier del bambino adottato, la problematicità del figlio e delle dinamiche adottive, ecc) ma soprattutto all'esistenza del conflitto psichico inteso come fatto emotivo  che si scatena dalla presa di consapevolezza.

Nel primo caso lo  svelamento può assumere per il genitore, le proporzioni di un trauma anche soltanto per "trasmissione"; egli può cioè compenetrarsi a tal punto da "sentire" emotivamente il trauma del figlio e assimilarsi a lui; nel secondo caso,  le rivelazioni possono essere per lui talmente forti da risultare indigeribili, insopportabili.

Ecco che torniamo ai meccanismi di difesa  (negazione, banalizzazione,  rimozione, scissione, ecc) che servono a scongiurare l'insopportabilità del dolore e garantire l'integrità della propriamente oppure ad adottare comportamenti espulsivi e denigratori a danno del figlio.

Si può sopportare lo svelamento?.. e si può  superarlo?

Si può poi guardare il figlio e sentirlo"proprio"?...

Dipende dalla capacità di tollerare la presenza del conflitto e di farlo evolvere trasformandolo in comprensione. Questo significa che bisogna evitare di conoscere la storia del proprio bambino?...tutt'altro! Conoscere e quindi affrontare il conflitto interno èl'unico modo per superare il dolore,l'ambiguità, l'inquietudine.

Dare spazio alla conflittualità è il modo per sapere di sé,  valorizzarla è un passo verso il superamento, che non comporta l'eliminazione del conflitto, piuttostola presa in carico del conflitto stesso; è il progresso della conoscenza; negare la conflittualità o edulcorarla, rafforza il turbamento e indebolisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

Data di pubblicazione: 
Lunedì, Luglio 28, 2014

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Stefania Lorenzini, Ricercatrice e docente Pedagogia Interculturale Università degli Studi di Bologna
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