Autore: 
Heidi Barbara Heilegger

In un mio precedente articolo ho affrontato il tema della responsabilità degli Enti autorizzati nell'ambito dell'adozione internazionale, in altro, più recente, mi sono focalizzata sul ruolo dei Servizi Sociali nei procedimenti che coinvolgono i minori (e se è vero che si tratta di un tema che travalica quello adottivo, non di meno può sollecitare riflessioni che lo riguardano), in questo mi propongo, invece, di inquadrare natura, ruolo e responsabilità della Commissione per le Adozioni Internazionali anche perché - mi sono accorta - la sua funzione, agli occhi dei “non addetti ai lavori”, non risulta sempre chiara e definita.

Occorre in primo luogo premettere come alla legge n. 476/98 sia stato affidato il non facile compito di adattare la legislazione interna del nostro Paese ai principi della Convenzione Internazionale de L'Aja del 1993 a cui l'Italia ha aderito, legge di ratifica trasfusa nell’articolato della legge n. 184/1983 e successive modificazioni, rubricata “Diritto del minore ad una famiglia”. L'istituto dell'adozione internazionale ne è uscito profondamente rinnovato. L'accento, se così si può dire, è stato posto sulla funzione di solidarietà sociale e di aiuto all'infanzia che l'istituto realizza (questa la ragione per cui la richiesta della coppia non viene qualificata come “domanda di adozione” bensì “dichiarazione di disponibilità”, la quale, notoriamente, non implica alcun diritto ad adottare).

È stato così realizzato un sistema decentrato e complesso in cui operano una pluralità di soggetti con compiti ben precisi ed articolati che per “funzionare” necessita, però, di un meccanismo che garantisca un efficace coordinamento ed un costante controllo. Nel coro degli attori istituzionali, oltre ad Enti autorizzati, Servizi Sociali e Tribunali per i Minorenni, diviene così centrale il ruolo della Commissione per le adozioni internazionali, la c.d. CAI istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La CAI è composta da Presidente, Vicepresidente, 3 rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 8 rappresentanti di 7 ministeri, 4 rappresentanti della Conferenza unificata Stato-Regioni, nonché un rappresentante del Forum Famiglie e due rappresentanti dell’associazionismo familiare a carattere nazionale ed infine da tre esperti. Il loro mandato è di tre anni e può essere rinnovato una sola volta con la sola eccezione dei tre esperti il cui mandato dura, invece, un anno.

Per la realizzazione delle attività assegnate dalla legge e dal regolamento (D.P.R. 108 del 2007), il Presidente, il Vicepresidente e la Commissione si avvalgono, inoltre, di un ufficio di livello dirigenziale generale denominato “Segreteria Tecnica” , disciplinato dall'art. 9 del citato regolamento, che si articola in un servizio per le adozioni ed in un servizio per gli affari amministrativi e contabili.

La Commissione ha compiti sia in ambito internazionale che interno.

Come delineato nel D.P.R. 108 del 2007 che ne descrive appunto composizione e compiti, in campo internazionale la CAI collabora con le autorità di riferimento per le adozioni internazionali degli altri Stati, anche raccogliendo le informazioni necessarie, ai fini dell'attuazione delle convenzioni internazionali in materia di adozione; certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione de L’Aja, come previsto dall'articolo 23, comma 1, della Convenzione e propone alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale (per esempio con i Paesi che non hanno ancora aderito alla Convenzione)[1].

Pertanto la CAI non solo si adopera per favorire l'applicazione della Convenzione de L'Aja tra i Paesi firmatari, ma anche per raggiungere nuovi accordi con Stati non firmatari così da agevolare la realizzazione di adozioni anche per i minori provenienti da questi Paesi. Si può facilmente immaginare la fatica diplomatica nel ricercare un equilibrio tra il costante e necessario impegno per lo sviluppo delle adozioni internazionali e l'esigenza di preservare alcuni principi generali ed irrinunciabili nel nostro ordinamento quando si parla di tutela dell'infanzia.

È importante, a questo proposito, evidenziare come nella citata Convenzione de L'Aja non si utilizzi mai, con riferimento al minore da adottare, l'espressione “stato di abbandono”, proprio della nostra legislazione, bensì la più ampia e generica dicitura di “minore adottabile”. Si tratta di un punto davvero centrale. Nel nostro ordinamento il concetto di “abbandono”, presupposto senza il quale l'adozione legittimante non può avere luogo, ha una valenza oggettiva ed implica l'irreversibile e non transitoria privazione dell'assistenza morale e materiale del minore da parte dei genitori e dei parenti entro il quarto grado, ma non è affatto detto che altri Paesi accolgano analoga definizione. La Convenzione de L'Aja - frutto, come del resto ogni trattato internazionale, di una sintesi tra differenti approcci - considera, ad esempio, adottabile anche il minore i cui soggetti legittimati (in primis i genitori, ma anche il minore stesso se capace di discernimento) abbiano validamente – ossia liberamente e consapevolmente - prestato il proprio consenso all'adozione stessa. Ci troviamo davanti ad una concessione all'elemento volontaristico certamente lontana dalla sensibilità del nostro legislatore, ma che riflette la necessità di trovare un terreno comune tra Paesi anche molto diversi tra loro per storia e cultura, accettando, se occorre, dei compromessi.

Il/la vicepresidente della CAI, ricevuti gli atti (art. 31, L. 184) dell’Ente autorizzato incaricato della procedura e valutate altresì le conclusioni dell'Ente incaricato, dichiara che l'adozione risponde al superiore interesse del minore e autorizza l'ingresso in Italia e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione. La Commissione prende atto dell'autorizzazione all'ingresso e al soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione, disposta dal vicepresidente. 

Spostandoci dal piano delle funzioni a quello delle responsabilità, da quanto sin qui esposto, si può dedurre che nessuna responsabilità potrà imputarsi alla CAI quando il minore, ferma la coerenza e regolarità della documentazione trasmessa (l'inesattezza o incompletezza della stessa legittimerebbe da parte della CAI, anzi imporrebbe, una richiesta di chiarimenti o integrazione), non fosse effettivamente adottabile (si pensi, ad esempio, al caso in cui, anni dopo, emerga, magari dai racconti del minore stesso, come il consenso dei genitori biologici fosse stato estorto). A maggior ragione esula dal ruolo della CAI accertare se il minore – per età, storia o condizioni di salute - rifletta le richieste ed aspettative degli aspiranti genitori: ciò che dovrà appurare è piuttosto se, nello svolgimento del loro mandato, gli Enti autorizzati abbiano operato con la diligenza e trasparenza che il loro ruolo impone, astenendosi dall'alimentare illusioni, e se non abbiano veicolato, consapevolmente o per negligenza, informazioni incorrette.

In ambito interno, infatti, il principale compito della CAI, sebbene non l'unico, è proprio quello di vigilare sugli Enti autorizzati il cui albo è istituito presso la Commissione e che dalla stessa viene gestito[2]. Gli Enti, per poter operare all'estero, necessitano sia di apposita autorizzazione della CAI che dell'accreditamento presso il Paese di origine dei minori adottandi (con riferimento ovviamente ai Paesi che richiedono l'accreditamento che non sono la totalità). In virtù dell'art. 39 ter della citata legge n. 476/98, che a sua volta, come anticipato in apertura, ha modificato la legge sull'adozione, i requisiti per ottenere (e conservare) la suddetta autorizzazione sono quelli di seguito indicati:

a) essere diretti e composti da persone con adeguata formazione    e    competenza   nel   campo   dell'adozione internazionale, e con idonee qualità morali;

b) avvalersi dell'apporto di professionisti in campo sociale, giuridico e psicologico, iscritti al relativo albo professionale, che abbiano la capacita' di sostenere i coniugi prima, durante e dopo l'adozione;

c) disporre di un'adeguata struttura organizzativa in almeno una regione o in una provincia autonoma in Italia e delle necessarie strutture personali per operare nei Paesi stranieri in cui intendono agire;

d) non avere fini di lucro, assicurare una gestione contabile   assolutamente   trasparente, anche sui costi necessari   per l'espletamento della procedura, ed una metodologia operativa corretta e verificabile;

e) non    avere    e    non   operare   pregiudiziali discriminazioni nei confronti delle persone che aspirano all'adozione, ivi comprese le discriminazioni di tipo ideologico e religioso;

f) impegnarsi   a   partecipare   ad   attività di promozione   dei   diritti dell'infanzia, preferibilmente attraverso azioni di cooperazione allo sviluppo, anche in collaborazione con le organizzazioni non governative, e di attuazione del principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale nei Paesi di provenienza dei minori;

g) avere sede legale nel territorio nazionale.

Il venir meno dei requisiti richiesti, periodicamente verificati, comporta ovviamente la revoca dell'autorizzazione. L'autorizzazione concessa può, tuttavia, essere revocata anche nei casi di gravi inadempienze, insufficienze o violazioni delle norme vigenti. Nel monitorare l'operato degli Enti, la CAI, tra i vari elementi, potrà tener conto anche delle segnalazioni delle coppie di aspiranti genitori adottivi prestando particolare attenzione – a titolo esemplificativo e non certo esaustivo – ad elementi quali la trasparenza dei costi, la correttezza nel fornire alla coppia tutte le informazioni di cui l'Ente è in possesso, l'aver prospettato tempistiche realistiche che tengano conto sia della situazione dei Paesi di origine del minore che del numero delle coppie in carico.

Proseguendo nell'illustrare i compiti della CAI si ricorda come al predetto organismo sia stata attribuita la funzione di autorizzare l'ingresso e la residenza in Italia del minore oggetto del provvedimento di adozione straniero: il legislatore ha in tal modo voluto prevedere una sorta di controllo da parte di un'autorità del nostro Paese su tale provvedimento (pur con i limiti sopra menzionati). Ciò detto, resta auspicabile che il rapporto tra la CAI e gli Enti autorizzati, pur nel rispetto dei differenti compiti e ruoli, sia anche di collaborazione e corrispondenza e non resti confinata a mera supervisione dell'una sugli altri.

Quanto alle responsabilità giuridiche in cui, nell'esercitare la sua funzione di vigilanza e controllo sugli Enti, la CAI può eventualmente incorrere, l'ipotesi più probabile è appunto quella di una sua responsabilità per omessa vigilanza.

Una siffatta responsabilità, coerentemente con l'impostazione del nostro ordinamento, andrà comunque rigorosamente accertata, rifuggendo la tentazione, in realtà piuttosto comune, di ritenere che solo perché esiste “un danno” debba necessariamente esistere anche un colpevole (o meglio un responsabile). Si ricorda anzi a tale proposito come la regola generale (con l'eccezione di alcune limitate ipotesi di responsabilità oggettiva contemplate dal nostro ordinamento) prevede che la responsabilità non sia mai in re ipsa ossia implicitamente desumibile dall'esistenza oggettiva di un danno, ma vada dimostrata con onere probatorio in capo al soggetto che lamenta il danno.  Ancora, e più spesso di quanto si immagini, può accadere che la responsabilità nel determinare un evento dannoso, anche grave, non possa imputarsi in via esclusiva ad un singolo soggetto, ma risulti frammentata, frutto, in altre parole, di molteplici concause. Ne consegue che, se anche la somma dei singoli comportamenti ha determinato un danno ingente, i suddetti non potranno essere sanzionati in una misura che trascenda l'effettiva responsabilità del singolo (persona fisica, giuridica o istituzione che sia).

In altre e più semplici parole: da una qualunque irregolarità dell'iter adottivo (e persino dall'esistenza di veri e propri comportamenti penalmente rilevanti) non potrà automaticamente desumersi che sussista una responsabilità della CAI. La CAI, dunque, non è certo “immune” dalla responsabilità giuridica, ma solo comprendendone ruolo e funzioni, si potrà capire se e quando la stessa possa essere legittimamente “chiamata in causa”.

Se la CAI, come si è visto, può essere chiamata a rispondere del suo operato sul piano giuridico, al contempo occorre rammentare che una sua responsabilità potrà configurarsi solo nell'ambito di un perimetro chiaramente delineato e coerente con le funzioni che le sono state assegnate dal legislatore. Senza comprendere questo assunto, c'è il rischio che nei confronti della CAI – anche nella sua veste di organismo istituzionale che, nell'immaginario collettivo, può “assorbire” e quindi soddisfare ogni richiesta risarcitoria sul piano economico - vengano infruttuosamente convogliati tutti i reclami, le richieste o le contestazioni di chi, nel suo percorso adottivo, ritenga, a qualsivoglia titolo, di aver subito un'ingiustizia o di essere incappato in un'irregolarità.

 

[1]          Gli accordi bilaterali sono direttamente negoziati dalle Autorità di riferimento e sottoscritti dalla presidenza delle stesse o dai Ministri competenti dei due Stati contraenti.

[2]     Nel presente articolo ci si è principalmente focalizzati sui compiti di vigilanza della CAI, ma per completezza vanno anche menzionati il compito di  promozione della  cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori e le iniziative nell'ambito della formazione.

Data di pubblicazione: 
Sabato, Maggio 2, 2020

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