Autore: 
Sonia Oppici

Matteo dopo cena è sfinito e, mentre gli altri saltellano come trottole da un stanza all’altra, da un gioco all’altro, lui si addormenta sul divano. Alle nove.
Tutto rannicchiato, quasi a non dover rubare spazio a nessuno.
Matteo è delicato, gentile: non fa mai rumore, neppure quando ti sale in braccio e ti appoggia la testa sotto il mento. Resta lì senza dire nulla.
Matteo è depresso. Fragile.  
Da anni in comunità. Gli ultimi due nel gruppo grandi. Una vita. Di silenzi e di abbandono.
Perché il male non arriva sempre violento. Da quello, in parte, riesci a difenderti. Per Matteo il male ha la forma amara, nei suoi disegni di qualche anno fa,  di una mamma e di un papà senza braccia.

I genitori si dimenticano di  lui

La mamma resta mesi senza vederlo e ogni volta dice che arriverà il Sabato successivo.
Lui che ogni Sabato alle quattro la aspetta.
Con la maglietta più bella. I capelli scolpiti dal gel e lo zainetto con il pigiama per la notte, nonostante gli si ripeta dal giorno prima che le abbiamo telefonato e non verrà a prenderlo.
Ma Matteo non si arrende all’evidenza: “Magari se cambia idea o si libera.. io sono pronto”.
Da anni crede, con ostinazione, che la mamma cambierà e potrà prendersi cura di lui.
Abbiamo tentato ogni compromesso possibile per facilitare questa donna difficile a riavvicinarsi al figlio: psicoterapia, incontri di mediazione per entrambi. Ma la situazione resta inevitabilmente compromessa, oltre ogni possibile recupero.
Malgrado questo, ogni tentativo di consapevolizzare Matteo relativamente alle difficoltà della madre, ha fallito miseramente perché lui l’ha sempre difesa. Ha sempre detto che i “rientri” andavano bene, che era felice e  che il suo desiderio era tornare ad abitare con la sua mamma.
Ma la sua mamma non lo vuole e gli riserva briciole di affetto. E lui a regalarle ogni pensiero e tutto l’amore di cui è capace.

Così da mesi alle cinque di ogni Sabato pomeriggio ti chiede: “Allora non arriva davvero?”

“No Teo non arriva”.

Anni a ripetergli che la mamma sicuramente gli vuole bene ma non riesce a prendersi cura di lui.
Lui caparbio:
“Lo so… ha un sacco di problemi…ma li supererà e staremo bene. Siamo una famiglia”.  
Noi impotenti.
Il decreto recita di monitorare la relazione e, se il minore sostiene che il rapporto va bene, abbiamo le mani legate. Nessun cambio di regolamentazione. Nessuna possibilità di strutturargli una vita.
 
Matteo ha anche un fratello maggiore…che non lo chiama da mesi….”Troppi impegni… il lavoro… gli amici…”
Ed ha anche un padre. Sparito da quasi un anno.
Nessun altro.
E Matteo non riesce a capire come possa essere possibile . Lui che ha imparato a non dare mai fastidio, a non esserci, perché la sua presenza è sempre stata considerata ingombrante da tutti coloro che avrebbero dovuto amarlo.

Matteo gioca a basket. E corre, corre per tutta la partita. La palla attaccata alla mano e i canestri non si contano. Orgogliosa vado a vederlo. Il suo sguardo che si sposta rapidamente tra la gente non cerca me.  Quando mi vede mi abbozza un sorriso. Quasi di delusione.

Un mese fa a gennaio mi sono rifiutata di preparargli lo zaino.

“Matteo la mamma non verrà”.  
“E invece si”. Sguardo di sfida.
“Me lo ha promesso mercoledì quando ha telefonato. Me lo faccio da solo lo zaino”.
Così si piega il pigiama e aggiunge anche il libro di antologia. “Così ripasso per lunedì.”
Gli altri escono. Lui in casa. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociano.
Alle sei entra nella mia stanza.
Un fascio di nervi.  Svuota lo zaino sul letto.
Un pugno contro il muro. Un rumore sordo.
Ci fissiamo qualche secondo. E finalmente il tempo per la provocazione risolutiva è arrivato.
“Sono anni che aspetti e ancora non ti basta?”  
Un pianto urlato. Finalmente. “Cosa ti devo dire? Che lei non mi ha mai voluto? Che, quando andavo a casa  mi lasciava da solo tutto il giorno? Che cenavo con le merendine? Che tornava la sera tardissimo? …ecco sei contenta adesso?
Ma perché mi tratta così… Non è giusto…
Basta.”

“Si Matteo basta”

E mentre gli metto il ghiaccio sulla mano, ci diciamo che non è più possibile sopportare l’ansia dell’attesa.  La delusione e l’ostinazione di aspettare invano.
Ho sentito per la prima volta la sua voce che tremava per la rabbia soffocata. I muscoli della schiena contratti.

 

Matteo alla fine di giugno andrà finalmente in affido.

All’ultima partita dell’anno, il suo sguardo ha trovato due genitori e una sorella emozionati ad ogni canestro.
Ma il vero tifoso, scatenato in un tifo da stadio, era il nonno… che dava le gomitate al vicino:
“Ha visto che bravo? È mio nipote!”

Data di pubblicazione: 
Giovedì, Settembre 6, 2007

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