Autore: 
Monica Nobile

Ciascuno di noi, svolgendo la propria professione, porta sé stesso nella sua interezza; il carattere, le attitudini, le passioni, le difficoltà, le conoscenze acquisite vivendo la propria esistenza. Sono tutti fattori molto importanti, che spesso fanno la differenza e connotano un certo modo di agire, di svolgere la professione, di rapportarsi nelle e specifiche situazioni lavorative.

E’ opportuno e importante, tuttavia, chiarire che ogni attività professionale richiede competenza e formazione, poiché questi sono due aspetti imprescindibili che rendono un lavoratore affidabile. Se devo portare a riparare le mie scarpe preferite non mi potrà bastare che la persona a cui le affido sia simpatica, gioviale, interessante o in sintonia con me. Devo sapere che è un abile artigiano e che le mie scarpe saranno in mani sicure. Questo principio, a mio avviso, vale per ogni tipo di situazione professionale, ma mentre negli ambiti tecnici o artigiani  la sapienza è più facilmente individuabile, diventa più complesso valutare un operatore negli ambiti socio-educativi.

Quali sono i criteri che orientano una scelta tanto delicata quanto quella di affidare un problema proprio o di un proprio caro? Quanto ci influenza nella scelta il fatto che si tratti di persone che hanno vissuto esperienze vicine alle nostre, che portano con sé un bagaglio di vita che li ha resi sensibili e vicini a determinate tematiche? Quanto, a volte, diamo per scontato, che se una persona è passata attraverso una crisi che noi stessi stiamo vivendo, saprà meglio comprenderci e aiutarci? E’ importante avere chiari alcuni criteri di scelta, soprattutto nei casi in cui si debbano affrontare criticità spinose, sofferenze, vissuti talvolta drammatici.

Procedendo per gradi, il primo criterio di scelta penso debba essere la valutazione del curriculum del professionista: quali percorsi di studio abbia intrapreso, quali formazioni e aggiornamenti successivi, quali esperienze professionali convalidate e certe. In secondo luogo è sempre importante ricordare che ciascuno di noi vive la propria esperienza in modo unico, irripetibile, personale e per quanto questa possa trovare similitudini con un nostro vissuto, i percorsi, le conclusioni, le strade che intraprenderemo potranno essere completamente diverse. 

Io sono una pedagogista, lavoro da 38 anni con bambini, ragazzi, famiglie, insegnanti. Da molto tempo mi occupo di adozione e di affido familiare, da prima di diventare anche una mamma adottiva. Devo dirlo sinceramente, a volte sento di ispirare più fiducia nell’altro, per esempio genitore adottivo che mi chiede aiuto, perché trova in me una mamma adottiva. Può succedere che questa mia condizione genitoriale venga reputata più importante della mia competenza professionale.

Sento allora di dover dichiarare apertamente che fare la mamma adottiva ed essere professionalmente esperta in adozione mi richiede un lavoro di autoanalisi e di supervisione al fine di evitare confusioni tra la mia personalissima e parzialissima esperienza di madre per attivare invece le mie competenze professionali ed essere autenticamente di aiuto a chi me lo chiede.

Diversamente rischierei di saltare a conclusioni discutibili, dando per scontato che ciò che io ho vissuto, imparato e patito come madre corrisponda necessariamente al percorso di qualcun altro, che invece ha una sua originale e particolarissima esperienza e che necessita di intraprendere il SUO percorso.

Devo dichiarare apertamente che altrettanto impegno metto nel distinguere il mio agire genitoriale dal mio agire professionale. Nel primo caso sono persona immersa in emozioni e sentimenti tanto intensi quanto possono esserlo solo quelli di un genitore con i propri figli. Nel secondo caso posso senza dubbio entrare in una profonda relazione empatica con l’altro ma poi ho bisogno, per poterlo aiutare, di agire con competenza, indipendentemente dalla mia storia personale.

Si tratta per me di una questione di onestà fondamentale, non aiuto un genitore adottivo perché sono mamma adottiva, aiuto un genitore adottivo perché ho una consolidata competenza in adozione. L’esperienza comune della genitorialità adottiva può aiutare il rapporto di empatia, a volte, non necessariamente…

Potrei riassumere così il mio pensiero: essere genitore adottivo non è una voce di curriculum, è un’esperienza di vita che può portare ad una sintonia con persone che condividono la medesima esperienza. Poi, però, se si tratta di relazione di aiuto e di consulenza, questa partenza comune resta un approccio iniziale e quello che deve accadere dopo è che io mi stacchi dal mio vissuto personale e sia capace di accogliere una storia, un modo di essere e di vivere, un figlio, mondi diversi e altri. Per essere una professionista devo andare oltre la mia sfera personale.

Penso esattamente la stessa cosa rispetto ai figli adottivi adulti. Hanno moltissimo da dirci, da raccontarci, da farci capire. Ma ognuno di loro è diverso, ha la sua storia, la sua situazione, il suo percorso di vita, il suo irripetibile, originale e personale modo di vivere la propria esperienza. Essere figlio adottivo non è una voce di curriculum. E’ importante ricordarlo bene. Perché questo ci consentirà di dare parola ai figli, dare uno spazio, ascoltare le loro storie e i loro pensieri, attingere alle loro esperienze per cogliere qualcosa di importante per noi.

Il genitore adottivo prenderà quel qualcosa, lo calerà nella sua personale esperienza, ne assumerà alcuni aspetti trovandone altri più o meno incongruenti. Sarà un incontro, arricchente, stimolante, che può far nascere riflessioni importanti. Ma sarà fondamentale ricordare che si tratta del racconto della propria esperienza, non di un intervento professionale sull’adozione. Un figlio adottivo potrà essere un operatore solo e soltanto se avrà intrapreso studi e percorsi adeguati e se saprà distinguere ciò che è dettato dalla propria particolare esperienza e ciò che guida il suo agire professionale.

Tenevo molto ad esprimere questi concetti, perché non si faccia una pericolosa confusione tra scambio di esperienze e relazione d’aiuto condotta da un professionista. A tutela dei ragazzi adottati che non dobbiamo caricare del peso e della responsabilità di dare risposta ai nostri problemi, a tutela dei genitori adottivi, che possono essere volontari in una associazione e svolgere il prezioso e fondamentale compito di accogliere, sostenere e proporre strade da percorrere.

A tutela dei professionisti, che devono avere le idee chiare sul proprio compito e svolgerlo nel migliore dei modi al servizio del genitore o del figlio adottivo in difficoltà. Portando nella relazione di aiuto tutta la propria ricchezza di vita ma certamente non la confusione di ruolo nella quale talvolta si rischia di cadere.

Data di pubblicazione: 
Martedì, Luglio 16, 2019

Condividi questo articolo