Autore: 
Serena Barzaghi

 

Nella mia esperienza nel mondo dell’adozione, come volontaria dell’associazione Genitori si diventa, mi capita di accogliere famiglie che, con il sopraggiungere dell’adolescenza dei figli, si trovano ad affrontare momenti di crisi. Da tempo in associazione organizziamo gruppi per genitori di adolescenti, con lo scopo di prevenire queste situazioni di difficoltà, fornendo la possibilità di entrare in una rete che permetta di sentirsi meno soli.

Negli ultimi anni, inoltre, a Monza, collaboriamo con due cooperative del territorio, EOS ed ELOHI, per offrire alle famiglie un supporto specialistico a 360°.

Essendo percezione comune l’incremento delle richieste di aiuto da parte di genitori adottivi, abbiamo deciso di provare a quantificare un fenomeno così complesso e ancora poco studiato. Abbiamo partecipato quindi ad una ricerca promossa da Associazione Arcobaleno Onlus che si occupa anche di accoglienza e formazione di stranieri, nell’ambito di un progetto più vasto, “INTRECCI - Una rete che ricompone la frammentazione delle origini nelle famiglie con minori a rischio”.

In rete: dall'analisi dei dati alla realtà

Con l’aiuto del Centro Studi ALSPES, si è condotta un’analisi quantitativa, raggiungendo più di 80 enti che gestiscono circa 200 comunità residenziali, di tipo educativo, per l’accoglienza di minori nelle province di Milano e di Monza e Brianza. In particolare, abbiamo indagato la presenza di ragazzi provenienti da adozione, rilevando che questi rappresentano il 4% dei minori accolti con età compresa fra i 6 e i 18 anni, escludendo i minori stranieri. Ciò significa che, considerando la stima (sulla base dei dati regionali e nazionali) della percentuale dei ragazzi adottati rispetto alla popolazione di riferimento, un ragazzo adottato ha una probabilità di passare un periodo in comunità che è 3 volte superiore a quella di un qualsiasi altro ragazzo non adottato, nato e cresciuto in Italia (Dati della ricerca allegata).

Un valore numerico che conferma la necessità di continuare a lavorare con le famiglie per prevenire le crisi e mantenere reti con altre realtà territoriali per poter proporre, al bisogno, un supporto specialistico adeguato.

L'incontro con gli educatori

Al di là dei numeri e della loro rilevanza, però, questa ricerca ci ha permesso di venire a contatto con il contesto, per noi ancora poco conosciuto, delle comunità per minori e di conoscere le storie che stanno dietro ai freddi dati.

Ci siamo incontrati con gli educatori che si sono resi disponibili, al fine di indagare aspetti di tipo qualitativo, attraverso un questionario predisposto dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Il primo elemento che ci ha colpito è la scarsezza di informazioni in loro possesso, a causa di un mancato passaggio da parte di chi ha seguito in precedenza la famiglia. Molti educatori ci hanno raccontato di una discontinuità tra quello che c’è stato prima e l’ingresso nella struttura per cui i ragazzi sperimentano una nuova frammentazione. Quello che sanno circa la storia di adozione spesso dipende da quanto il ragazzo stesso e la famiglia hanno voglia di condividere. Il dubbio che qualcuno ci ha confidato è che potrebbero non essere a conoscenza della provenienza da adozione di alcuni ragazzi.

Nella quasi totalità dei casi, gli operatori non hanno una competenza specifica sui temi adottivi.

Dentro le comunità

Siamo entrati in comunità (poche per fortuna!) che ci hanno lasciato una pessima impressione, addirittura un senso di soffocamento: spazi angusti, in contesti difficili, condivisi da adolescenti e adulti, con operatori affaticati e disillusi.

Abbiamo però soprattutto trovato ambienti accoglienti, dove gli educatori pongono la massima attenzione alle diverse situazioni, attraverso progetti educativi personalizzati, portandoli avanti con impegno e passione, nonostante le innumerevoli difficoltà e carenze del sistema.

Attraverso il dialogo

Operatori che ci hanno raccontato con entusiasmo del lavoro quotidiano con i ragazzi e, più o meno a distanza, con i loro genitori che, nonostante tutto, anche quando sembrerebbe che si sia giunti ad una rottura definitiva, continuano ad essere figure di riferimento persino per l’adolescente più introverso o arrabbiato. Del complesso lavoro con le altre realtà territoriali: le scuole, le società sportive, i servizi territoriali, il mondo del lavoro. Dell’importanza, nelle situazioni di crisi, dei padri, che possono diventare un ponte per ricostruire il legame, spesso più conflittuale, con la figura materna. Della difficoltà dei genitori a mettersi in discussione, forti del decreto di idoneità che avevano ottenuto da un Tribunale. Delle difficoltà e delle chiusure nella comunicazione, soprattutto quando si tratta di affrontare le tematiche legate alla storia prima dell’adozione, alla famiglia di origine. Di figli che si sentono sbagliati e temono di non essere stati all’altezza delle aspettative di genitori che non hanno saputo accoglierli per quello che sono. Della comunità che può essere luogo di decantazione di conflitti e tensioni eccessive, dove si può lavorare per ristabilire le condizioni per un rientro a casa.

Ci siamo portati a casa la convinzione che si debba continuare a lavorare per la preparazione preventiva delle coppie che si avvicinano all’adozione e dell’importanza del lavoro in rete in ogni fase del percorso.

Storie di...resilienza e ricostruzione

Abbiamo sentito racconti di storie difficili, ma anche di resilienza, per cui non si può certo parlare di fallimento adottivo: anche nelle situazioni più complesse e compromesse, se noi genitori, pur con i nostri errori e le nostre debolezze, non ci arrendiamo e veniamo supportati con le debite competenze, possiamo continuare a sperare nella ricostruzione del legame con figli che, nonostante tutto, continuano a credere e a contare sul nostro amore.

LINK al Dossier INTRECCI

 

Data di pubblicazione: 
Mercoledì, Febbraio 26, 2020

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