Autore: 
Cristina Bilardo

L’ATTUALE NORMATIVA

Dalla lettura del testo dei Decreti attuativi del Job’s Act non emergono notizie confortanti per quanto riguarda i permessi previsti per i genitori in caso di malattia del figlio adottivo e affidatario; sarebbe stata un’ottima occasione per il Governo per mettere finalmente mano alla disparità legislativa presente in materia tra filiazione naturale e filiazione adottiva, ma purtroppo abbiamo perso anche questo treno per vedere riconosciuta una maggiore tutela nei confronti dei lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici/padri e madri adottivi.

Se infatti da un lato si è provveduto ad estendere sino a 12 anni dall’ingresso in famiglia la possibilità di fruire dei sei mesi di congedo parentale (che sono rimasti sei) o del suo prolungamento (tre anni complessivi previsti solo per i casi di handicap grave del minore), nulla di nuovo è stato disposto in merito ai permessi non retribuiti per la malattia del figlio che sia stato adottato o affidato, dal compimento del suo 6 anno di età in poi.

Infatti, le uniche novità introdotte dal decreto attuativo del Job’s Act che interessano le famiglie adottive o affidatarie sono quelle contenute nell’art. 10 (Modifiche all’articolo 36 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di congedo parentale nei casi di adozione e affidamento) che testualmente stabilisce:

1. All’articolo 36 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 2 le parole ”entro otto anni dall’ingresso del minore in famiglia” sono sostituite dalle seguenti: “entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia”

b) il comma 3 è sostituito dal seguente: “L’indennità di cui all’articolo 34, comma 1, è dovuta, per il periodo massimo complessivo ivi previsto, entro i sei anni dall’ingresso del minore in famiglia.”.

Ma facciamo un passo indietro sul panorama legislativo che regola la materia: 

Il d.l. 151 del 2001 all’art. 47 prevede che “entrambi i genitori alternativamente abbiano diritto ad astenersi dal lavoro per malattie del figlio di età non superiore a tre anni” per tutti i periodi certificati come malattia dallo specialista pediatra appartenente a struttura pubblica.

L'articolo 50 del medesimo decreto estende il congedo per malattia del bambino anche alle adozioni e agli affidamenti, elevando al sesto anno di età del bambino, il limite per cui i genitori possano astenersi dal lavoro alternativamente, senza limiti temporali e senza retribuzione, mentre dai 6 agli 8 anni d'età del bambino, in caso di malattia dello stesso, entrambi i genitori hanno diritto alternativamente a soli 5 giorni di congedo l'anno, sempre non retribuiti e coperti da contributi figurativi. 
E’ lo stesso articolo 50 al comma 3, infine, a precisare che, qualora all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia un'età compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo per malattia del bambino è fruibile nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore. 

Ribadiamo che tale assenza non è mai retribuita ed è coperta da contributi “figurativi” ovvero, in termini banali, calcolati in base a particolari parametri retributivi che generalmente li rendono più bassi di quelli che si maturerebbero prestando effettivamente attività lavorativa.

E’ evidente quindi che - nel caso di bambini adottati di circa sei anni di età - il beneficio che nell’art. 47 è previsto per i genitori naturali, senza limiti temporali, sino al terzo anno di età del bambino, per quelli adottivi possa essere fruito solo in minima parte (5 giorni l’anno!)

La realtà del mondo delle adozioni e degli affidamenti che tutti noi abbiamo sperimentato, invece, dimostra che i bambini che vengono adottati già grandini (in prossimità se non addirittura oltre il sesto anno di vita) sono più frequentemente affetti da patologie più o meno gravi o croniche o dagli esiti di quest’ultime, per le quali la presenza del genitore è indispensabile per poter effettuare terapie, accertamenti, riabilitazioni, ricoveri in day-hospital per controlli, quando non addirittura interventi chirurgici e convalescenze più o meno lunghe, ecc.. Infatti, tanto più a lungo i bambini siano rimasti in istituti dove non si è provveduto a cure adeguate alle loro patologie, tanto più a lungo si sposta il limite temporale entro il quale hanno necessità di assistenza da parte di uno dei genitori (anche a costo della temporanea perdita della retribuzione da parte di questi ultimi).

Inoltre è probabile che di tali patologie – non conosciute né dai genitori né dall’Ente incaricato al momento dell’adozione, e quindi non indicate nella cartella sanitaria da cui questi piccoli sono accompagnati (non sempre) al momento dell’adozione o affidamento ai loro genitori - ci si renda conto dopo un notevole lasso di tempo dall’arrivo in Italia. (Cito per tutti l’esempio di un bimbo proveniente dal Madagascar che dopo parecchio tempo dall’ingresso in Italia ha cominciato a presentare crisi convulsive che, solo a seguito di lunghissimi accertamenti, si scoprirono essere dovute ad un parassita endemico in Africa che era a suo tempo penetrato nel suo organismo sino a raggiungere le meningi che ora reagivano, nel tentativo di espellerlo, con crisi epilettiche).

E, come questo, quanti altri casi abbiamo sentito nel corso dei nostri incontri, raccontare da qualcuno? Quante volte abbiamo sentito una mamma adottiva dire “adesso mio figlio/a sta meglio, certo al lavoro non sono più potuta tornare”? 

Infatti, la necessaria presenza del genitore, specialmente della madre, quando il piccolo presenza difficoltà sanitarie particolarmente delicate e complesse – ma non riconoscibili “handicap grave” tale quindi da dar luogo ad una maggiore tutela legislativa – spinge molto spesso le mamme ad avvalersi sin quando possibile di tutti i mezzi  messi a disposizione dal diritto del lavoro per dare assistenza al proprio bambino, esauriti i quali non rimane che la rinuncia al posto di lavoro volontaria o anche consequenziale, in questo momento di particolare crisi economica, ad operazioni di risanamento aziendale che determinano l’esubero e la messa in mobilità dei lavoratori meno produttivi!

D’altra parte alcuni di noi sanno quanto sia difficile che il Sistema Sanitario riconosca al bambino adottato o affidato il cosiddetto Handicap grave (art. 3 comma 3 della L. 104/92), i cui parametri sono particolarmente stringenti: uno stato invalidante, tale da determinare “impedimento nella vita di relazione” “impossibilità di svolgere le normali attività quotidiane e di cura alla propria persona in maniera autonoma” e via dicendo.

E’ noto anche che il riconoscimento di questa maggior tutela legislativa venga concesso dalle competenti istituzioni (ASL e più recentemente INPS) solo per brevi periodi di tempo e venga poi sottoposto a revisione per la verifica della permanenza dei parametri sanitari prescritti come invalidanti.    

Dunque, laddove non sia stato riconosciuto o riconfermato l’Handicap grave (e quindi la possibilità di avvalersi del congedo straordinario fino a due anni previsto dall'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, o del prolungamento del congedo parentale regolato dall’art.33 e seguenti del d.lgs. 151/2001), per chi abbia adottato un bambino con problemi di salute che abbia più di 6 anni di età, la legislazione del lavoro in Italia ha messo a disposizione esclusivamente i due anni di permesso nell’intera vita lavorativa, non retribuito e senza contributi previsto dalla L. 53/2000 per generici “problemi personali” e concesso solo a discrezione del datore di lavoro. E’ evidente che trattandosi di un permesso non retribuito e senza contributi le conseguenze economiche negative che ne derivano al genitore/lavoratore sono enormi. Il fatto inoltre di essere legato alla discrezionalità del datore di lavoro, lo rende una tutela del tutto aleatoria.

Sembra a questo punto estremamente opportuno e maggiormente equo che si attuasse una tempestiva revisione dell’art. 50 nel senso di spostare il limite temporale entro il quale poter fruire dei periodi non retribuiti in caso di malattia del bambino, sino ai dodici anni dall’ingresso in Italia dello stesso (e comunque entro la maggiore età), in modo analogo a quanto ha recentemente previsto il Job’s Act per istituti giuridici simili (i citati sei mesi di Congedo parentale ordinario ex art. 36 secondo comma d.lgs.151/2001, ed il Prolungamento del congedo parentale ex artt. 33 e seguenti d.lgs. 151/2001, fruibile quest’ultimo come sopra dicevamo, solo nei casi e per lo stretto periodo di tempo in cui l’handicap del bambino venga riconosciuto “grave” dalla ASL).

Abbiamo appreso tutti con rammarico dalle statistiche del drastico calo delle domande di adozione in Italia; non vorremmo davvero che la amara realtà di una sensazione di abbandono e di sostanziale indifferenza da parte delle Istituzioni e degli Enti preposti che viene percepita dalle coppie che hanno adottato bambini, specie grandini e con difficoltà, scoraggiasse chi abbia in mente di attuare atti coraggiosi ed umanitari come l’adozione. 

Il fatto che non sia stata presa in considerazione nei lavori legislativi che hanno preceduto la promulgazione del Job’s Act, l’ipotesi di adozione o affidamento di bambini oltre i 6 anni, (oltretutto la più frequente) denota purtroppo una scarsa conoscenza da parte del legislatore del mondo delle adozioni sia sotto il profilo dello stato di salute in cui versano questi bambini, sia sotto il profilo della tempistica particolarmente lunga che richiede in Italia la procedura adottiva e che determina che l’età del bambino non sia sempre quella della prima infanzia.

 

LA NOSTRA PROPOSTA LEGISLATIVA

Dall’analisi delle norme recentemente emanate emerge che permane, anzi diremmo che si accentua, la sperequazione tra la filiazione naturale e la filiazione adottiva nel caso di adozione o affidamento nazionale ed internazionale di bambini grandicelli e non in buone condizioni di salute.

Infatti , mentre i genitori naturali,  grazie al recente Decreto sul lavoro, si trovano spostato in avanti  sino a 12 anni di età il limite entro cui fruire del congedo parentale ordinario, invece i genitori adottivi di bambini oltre i sei anni non potranno recuperare mai la possibilità di fare ricorso, anche per lunghi periodi di malattia, al un istituto giuridico di tutela del lavoro di più semplice, rapido e certo accesso (il permesso non retribuito per i periodi di malattia del figlio) che dal compimento del sesto anno di vita continua ad essere drasticamente limitato a 5 giorni l’anno!

Ma cosa c’è dietro questa “disattenzione” normativa? Si tratta di una semplice “svista legislativa”, si confonde forse il congedo parentale (sei mesi con stipendio ridotto al 30%) con il permesso (non retribuito e concesso solo a fronte di idonea certificazione medica pubblica) per i giorni di malattia dei figli? 

Si ritiene che oltre il sesto anno di età il bambino adottato o affidato quando si ammala possa essere lasciato solo a casa in attesa della guarigione o sia in grado di recarsi autonomamente a svolgere le terapie di cui necessita che abbiano durata maggiore di 5 giorni all’anno?

Questa disattenzione è dovuta piuttosto alla carenza di fondi a copertura del versamento dei contributi “figurativi” (che garantiscono quindi al lavoratore il mantenimento del diritto alla pensione anche per i periodi in cui fruisce di tali permessi)? 

Ma guardiamo concretamente i numeri! Sarebbero poi così tanti in Italia i lavoratori/genitori adottivi di bambini malati oltre i sei anni di età, che abbiano già esaurito i sei mesi di congedo parentale ordinario, che non possono avvalersi di figure familiari che li sostituiscano, quindi in condizioni di difficoltà tali da scegliere di rinunciare per quei periodi di malattia alla propria retribuzione?

Non sarebbe alla fine un ridotto numero di casi di persone seriamente in difficoltà? 

Se è questo il problema, una soluzione normativa concreta ed equa potrebbe essere quella di limitare il periodo in cui si possa fruire, in presenza di malattia del minore certificata da pediatra di struttura pubblica, di permessi non retribuiti ad esempio ad un massimo di 60 giorni all’anno.

Oppure ampliare per i genitori adottivi in dette condizioni il periodo di congedo parentale ordinario ad esempio sino a 18 mesi anziché 6 (meno conveniente però per il datore di lavoro perché dovrebbero comunque corrispondere al lavoratore uno stipendio al 30%).

In tal senso ricordiamo che l’Onorevole Milena Santerini di Scelta Civica ha provveduto, tramite il collega Dellai Lorenzo a presentare alla Camera dei Deputati la Risoluzione in commissione n 7-00594 in data 11 febbraio 2015  volta ad ottenere appunto maggiori periodi di congedo parentale per i genitori adottivi o affidatari di bambini oltre i sei anni malati o una rettifica del citato articolo 50, al fine di spostare il limite temporale entro il quale i genitori adottivi o affidatari possono fruire del periodo di permessi non retribuiti in caso di malattia del bambino, dai tre anni, attualmente previsti, agli otto (adesso dodici) anni dall'ingresso in famiglia del bambino e comunque non oltre la maggiore età dello stesso, in modo tale da sostenere con una azione concreta e positiva famiglie che adottano o accolgono in affidamento bambini grandini che presentano patologie. 

Nello stesso senso si sono mosse l’Associazione ANFAA ed il Coordinamento CARE con la nota indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed altre Istituzioni del Governo in data 11 marzo 2015, contenente la stessa istanza di tutela sociale dei lavoratori padri e madri adottivi.

Entrambe le iniziative sono rimaste a tutt’oggi senza esito.

 
Data di pubblicazione: 
Venerdì, Ottobre 14, 2016

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