Autore: 
Sara Leo

Quanto tempo della nostra vita abbiamo passato tra i banchi di scuola? O se ci sei ancora ti senti a tuo agio? Queste domande sono per te, che tu sia insegnante, studente o genitore.

Io ho riflettuto molto sullo stare bene a scuola negli ultimi mesi. In particolare, dopo il convegno del 13 maggio, organizzato da Genitori si diventa a Collegno (To). “Una scuola aperta all’adozione, tra differenze, confronti e ascolto, per l’inclusione e il benessere a scuola” condotto da Anna Guerrieri e Monica Nobile. Un evento pensato per i docenti e i dirigenti delle scuole, di ogni ordine e grado e per i genitori interessati.

Stare bene a scuola

Ho ripensato alla mia carriera scolastica e a me, oggi, mamma di un piccolo alunno della scuola materna. Mi sono rimasti bene impressi due aspetti, che si rivelano due importanti risorse, lo spazio e il tempo. Per essere più precisi il vero valore è dato dal creare quello spazio in cui ci si ascolta reciprocamente, secondo i propri tempi e bisogni, senza forzatura alcuna.

La mia memoria mi riporta anche al pensiero di equità su cui ci siamo soffermati. Sì, quel principio per il quale è importante il diritto all’istruzione come “conquista del più elevato livello di competenza possibile”, riconoscendo le specificità di ogni bambino o ragazzo, siano esse risorse come anche vulnerabilità.

Riflessioni

A distanza di un paio di mesi ho voluto fare quattro chiacchiere con due insegnanti che hanno partecipato al convegno, per sapere quali considerazioni hanno fatto dopo l’incontro. Ho posto alcune domande alla maestra, Enza Niglio e alla professoressa di scuola superiore, Alessandra Saccon.

Quali riflessioni sono sbocciate in te dopo aver partecipato al convegno “Una scuola aperta all’adozione”?

Maestra Enza: “Uno dei miei primi pensieri ha riguardato la formazione. Mi sono chiesta quanto sarebbe importante che gli insegnanti avessero l’opportunità di una formazione specifica per l'accoglienza in classe dei bambini adottati e quanto sarebbe importante che fossero proprio le istituzioni ad offrirla. Secondo me, una buona accoglienza ed integrazione dei bambini adottati a scuola, parte dall'elezione privilegiata di un approccio interculturale e quindi dalla promozione dell'aggiornamento professionale degli insegnanti”.

Professoressa Alessandra: Il convegno ha presentato moltissimi spunti di riflessione; come insegnante di liceo ne ho raccolto soprattutto uno: l’invisibilità dei ragazzi adottati nelle scuole superiori, come se dal punto di vista scolastico il problema fosse solo l’inserimento iniziale, l’eventuale apprendimento di una nuova lingua, la gestione di una storia personale difficile. Invece, alcuni studi mostrano che gli alunni adottati sono sotto-rappresentati negli indirizzi liceali e sovra-rappresentati nelle scuole professionali. In molti casi frequentano scuole paritarie, manifestando così l’esigenza di un ambiente più protetto ed accogliente; inoltre rivelano percentuali superiori alla media di disturbi dell’apprendimento, talvolta difficilmente riconoscibili e diagnosticabili, perché frutto di deprivazione cognitiva nell’infanzia, più che di un vero e proprio disturbo”.

Prima dell’incontro avevi avuto già modo di confrontarti con esperti sul tema scuola-adozione?

Maestra Enza: “Si, ho parlato dell’argomento con una psicologa e con alcune colleghe interessate per vari motivi all’argomento, in virtù del fatto che mia figlia adottiva era in procinto di iniziare la scuola dell’obbligo”.

Professoressa Alessandra: Il tema per me non era nuovo, ma la mia esperienza non è rappresentativa perché sono una madre adottiva prima che un’insegnante: non credo che l’avrei approfondito se non fossi stata coinvolta in prima persona”.

L’adozione come esperienza di crescita per tutta la classe…se rivelata

Hai avuto alunni adottati in classe? Cosa ti è rimasto del rapporto con loro e con le loro famiglie?

Maestra Enza: “Ho avuto un alunno adottato nello scorso ciclo, dalla prima alla quinta. E’ stata un’esperienza proficua, credo per tutti i ragazzi della classe, perché hanno potuto riflettere liberamente su alcuni argomenti da me introdotti o scaturiti spontaneamente. La famiglia del bambino è stata sicuramente fondamentale nel fornirmi notizie e darmi consigli su come approcciarmi alla realtà del loro figlio. Allo stesso modo io ho dettagliatamente descritto i progressi fatti dal mio alunno sul piano dell’autostima che alla fine gli ha permesso di finire il ciclo di studi con risultati eccellenti sia sul piano puramente scolastico che su quello sociale (ha molti amici).Con lui abbiamo veramente parlato di tutto… addirittura un giorno, in mensa, mi ha espresso tutto ciò che pensava di sé stesso, del suo abbandono, della voglia di sapere della sua mamma biologica e del bellissimo rapporto con la sua mamma adottiva. Il giorno dopo è venuto a ringraziarmi per avergli dato l’opportunità di parlarne”.

Professoressa Alessandra: “La mia esperienza professionale conferma i dati forniti durante il convegno: insegno da circa vent’anni nei licei, ma non ho mai avuto alunni adottati, o meglio alunni o famiglie che mi informassero della situazione adottiva. Sono alunni invisibili, che non vogliono uscire allo scoperto, forse perché percepiscono che la loro diversità non verrebbe accolta, soprattutto nel gruppo classe. Credo che anche a livello di famiglie stia cambiando l’immagine e la cultura dell’adozione: un tempo si taceva la condizione adottiva addirittura ai figli stessi, e comunque si tendeva a considerare l’adozione qualcosa da non rivelare all’esterno, come se tale informazione potesse ledere l’immagine di famiglia o la possibilità di integrarsi della persona adottata”.

Creare uno spazio di ascolto: possibilità o utopia?

Pensando ai tuoi alunni/studenti e alla vostra quotidianità, quali suggerimenti condivideresti per creare uno spazio di ascolto dove tutti possano raccontarsi?

Maestra Enza: “L'insegnante è una persona e la classe è un ambiente che espone enormemente alla paura: paura delle critiche, paura dell'ostilità, paura di perdere il controllo, paura della sofferenza. Se solo si potesse trovare uno spazio accogliente e sicuro in cui affrontare le emozioni, dichiararle e poterle guardare, forse si potrebbe fare molto per migliorare il clima della classe, il benessere di chi ci vive dentro e ciò avrebbe sicuramente una ricaduta positiva nel processo di insegnamento/apprendimento. Purtroppo, però, questo è ancora un po’ utopico nella scuola e troppo si lascia alla buona volontà del personale che spesso non ha i mezzi per praticare concretamente ciò che vorrebbe”.

Quanto conta per te il “tempo” come risorsa in classe per creare spazi di dialogo con gli alunni e per il benessere della classe? Nella tua classe si “naviga a vela” o a volte ti senti pressata ad accendere i motori?

Maestra Enza: “Per me, il tempo in classe si ferma. La giornata di solito non è scandita in compartimenti predeterminati. Le attività vengono proposte di solito con molta calma e scaturiscono le une dalle altre secondo la risposta dei bambini. C’è la giornata che richiede più spazio per la lettura di storie che suscitano poi una miriade di domande; altre in cui invece si sente la necessità di “allenarsi” nei compiti scritti. La discussione poi è sempre privilegiata. Non è mai considerata una perdita di tempo. Posso dire dunque, che nella mia classe si naviga assolutamente a vela e non si sente la necessità di accendere i motori perché la velocità nel viaggio si acquista quando si trova il vento giusto”.                       

La professoressa Alessandra non si è espressa su queste ultime due domande spiegando come si sviluppano le dinamiche organizzative nella scuola media, così come in quella superiore, dove le discipline si differenziano tra diversi insegnanti che si alternano ogni ora. Mi chiedo quindi se il sistema scolastico della scuola secondaria, così come organizzata oggi, sia davvero così limitante o se invece gli studenti, le famiglie e gli stessi insegnanti possano contare sulla forza del lavoro di squadra per costruire un dialogo costruttivo, che parta dal reciproco ascolto.

La scuola come risorsa per gli studenti e le loro famiglie

Pensi che la scuola possa essere davvero una risorsa per aiutare i bambini adottati a costruirsi un’immagine forte nella vita? 

Maestra Enza: “Sono certa che la scuola nel momento in cui si lascia coinvolgere da ogni bambino possa essere una risorsa importante per contribuire a costruire un’immagine forte e sicura nella vita.  Questo però, a patto che venga coinvolta la famiglia. La famiglia è fondamentale per costruire l’abito giusto per ogni scolaro. Che siano biologici o no i bambini vivono una realtà in famiglia che la scuola non può disconoscere e che anzi deve valorizzare”.

Professoressa Alessandra: “Credo che nella scuola italiana si sia fatto molto, soprattutto a livello di scuola primaria: l’incontro con bambini adottati e con le loro famiglie ha portato a una nuova consapevolezza, ha messo in questione pratiche consolidate, ha sviluppato una nuova sensibilità. Ci sono ancora molte cose da fare, ma sicuramente c’è stato un grande sforzo, una rimodulazione della didattica, un impegno delle istituzioni, delle scuole, delle famiglie, delle associazioni, che hanno fatto crescere una cultura dell’adozione. Quando il bambino passa alle medie, si considera ancora la sua condizione adottiva, ma si finisce per dire che “in fondo ha gli stessi problemi e le stesse insicurezze degli altri”, anzi sembra addirittura privilegiato perché mediamente ha una famiglia che se ne occupa con attenzione, impegno, presenza costante. Alle superiori il tema dell’adozione sparisce, rimane solo un’informazione comunicata agli insegnanti, ma talvolta neppure quello. E’ come se l’adozione fosse vista come un problema e non come una questione identitaria: una malattia da superare, con una convalescenza più o meno lunga, in cui i sintomi a poco a poco si attenuano fino a scomparire, e non come un evento che fa parte indelebile della vita e della storia della persona. Oltre a non rendere giustizia al percorso di crescita del bambino adottato e delle sue difficoltà emotive con cui convive e combatte quotidianamente, si perdono i suoi punti di forza e la ricchezza dell’esperienza adottiva non confluisce nell’ambiente scolastico. Si finisce per non fare vera inclusione, non solo perché manca il riconoscimento delle difficoltà, ma soprattutto perché non viene accolto il valore della diversità”.

Il rapporto scuola – famiglia

Nella tua esperienza d’insegnamento, quanto è importante la relazione con la famiglia e cosa consiglieresti ai genitori?

Maestra Enza: “Il patto educativo diventa indispensabile per costruire un percorso positivo di integrazione, purché questo patto sia fondato su basi chiare e durature, con una precisa distinzione di ruoli, che definisce conoscenze e competenze. Affinché l’accoglienza di ogni bambino sia efficace la scuola deve avvicinare la famiglia e trovare spazi dove essa possa raccontarsi e raccontare il proprio figlio. Questo pone le basi per la costruzione di una comunità educante in cui acquistano valore sia la scuola che la famiglia nel rispetto reciproco. La famiglia, secondo me, deve stare attenta ai segnali che provengono dalle emozioni esternate dai piccoli. Se si nota un malessere o atteggiamenti che suscitano perplessità è importantissimo parlarne con gli insegnanti per comprendere e trovare soluzioni. Purtroppo, mi rendo conto che non sempre ciò può risultare facile ed è per questo che il personale della scuola dovrebbe essere aperto ad una sorta di formazione permanente”.

Professoressa Alessandra: “Le famiglie hanno la grande responsabilità di aiutare la scuola a cambiare e ad acquisire nuova consapevolezza delle difficoltà e delle risorse degli studenti. Si ha spesso un’immagine piuttosto statica, immobile, inattaccabile dell’istituzione scolastica, ma la didattica quotidiana cambia in rapporto agli studenti, al loro modo di relazionarsi, alle storie di cui sono portatori, alle loro fragilità e ai punti di forza. Le famiglie possono fare molto: nessun problema, didattico o disciplinare, può essere veramente affrontato senza la collaborazione delle famiglie: non sempre è facile creare un clima di ascolto da entrambe le parti, ma la collaborazione è la condizione ineliminabile per il successo scolastico e per la crescita personale”.

Se la scuola fosse un viaggio?

Ho immaginato il percorso scolastico come un viaggio che parte dalla scuola dell’infanzia per arrivare alle superiori. Quanto sarebbe bello se, durante questo tempo, si potessero incontrare persone appassionate che sappiano accompagnare tutti gli studenti in un cammino di scoperta di sé e dell’altro, dove tutti si sentano liberi di essere sé stessi e di raccontarsi? E poi, se penso all’adozione, penso alle tante storie di bambini e ragazzi che si scontreranno e si ritroveranno nei loro ricordi o nella loro assenza. E penso all’adolescenza che tutto trasforma e ridefinisce, nella ricerca confusa della propria identità. Sarebbe un viaggio in divenire, tanto emozionante quanto sconquassato nella sua unicità.

Ti consiglio due letture per questo viaggio: il libro “Una scuola aperta all’adozione” e le Linee d'indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati.

Data di pubblicazione: 
Giovedì, Luglio 27, 2017

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