Autore: 
Greta Bellando, pedagogista

Tempo... “Quante volte utilizziamo questa parola e quale significato gli attribuiamo?”

Se ciascuno di noi si chiedesse cos'è il tempo probabilmente darebbe una risposta diversa e credo sarebbe interessante chiederlo soprattutto ai bambini.

Il tempo per un bambino avrà lo stesso valore che per un adulto?

Possiamo immaginare che le risposte dei più piccoli potrebbero rimandarci ad altro; ad un tempo fatto di giochi, ad un tempo curioso, ad un tempo di stupore, ad un tempo che alle volte ci richiede di rallentare. Nel libro “Aspetta” di Antoinette Portis si coglie molto bene come, in un giorno in cui tutto procede con una mamma frettolosa, che non fa altro che dire: “Presto!”, Forse perché è tardi, perché c’è da fare questo e quello, il bambino sa cogliere avvenimenti curiosi e divertenti in ciò che gli passa intorno e così un “Aspetta” può divenire essenziale per condividere assieme.

Inoltre, credo che ad ogni “tempo” spetti un bisogno che non riguarda tutti i bambini ma “quello specifico bambino” che indossa una storia, la “sua”.

A tal proposito il libro “Che cos’è un bambino?” Di Beatrice Alemagna ci può aiutare molto a fermare il tempo per cogliere il bisogno del “qui ed ora” senza necessariamente guardare già altrove.

Penso ai bambini che incontro ogni giorno nella mia professione, ognuno mi insegna a “viaggiare” in un “tempo” diverso, con un ritmo diverso che so che potrà variare ad ogni nostro incontro. Alcune volte mi accorgo come il mio “tempo” non sia in sintonia con il loro, così devo rallentare fissandomi sul quello che è necessario in quello specifico momento.

Ci sono storie che, più di altre, ci insegnano a rallentare a riavvolgere il nastro per tornare indietro per recuperare un “tempo mai vissuto”; penso ad alcune infanzie che hanno viaggiato ad un ritmo distante da quello che generalmente vorremmo per ogni bambino, e così ci ritroviamo in una stanza avvolti da “giochi da piccoli” che sono però un ponte necessario per recuperare una parte di esistenza mai vissuta per davvero.

A volte devo rallentare anche con le famiglie di quei bambini per ridefinire obiettivi, per cogliere i bisogni, per valutare insieme l’importanza di recuperare per poi progredire.

Ci sono bambini con la testa “altrove” che sembrano cancellare i progressi fatti seppur il giorno prima ci facessero credere il contrario; il loro “tempo” ricorda un pendolo che oscilla da una parte all’altra, poiché alcune volte basta un odore, un sapore o un rumore per viaggiare verso altro, a volte, a noi sconosciuto. Ritornare “là” con la mente in alcuni casi è piacevole mentre altre volte è faticoso, quasi pauroso; penso a quella bambina che non appena qualcuno le parla più forte, il suo cuore inizia a galoppare e so che quell’insegnante non voleva spaventarla ma inevitabilmente è successo.

Perché questo accade? Perché quella bambina ha bisogno di consolidare il tempo della fiducia quello in cui deve sperimentare giorno dopo giorno che la voce più alta può essere semplicemente perché sono dall’altra parte dell’aula e altrimenti non potrei sentire. Ma per questo ci vuole tempo, perché quella voce risuoni amica e non spaventosa e ci vuole flessibilità per trovare una strategia affinché si possa richiamare quella bambina in un modo che la faccia sentire tranquilla magari avvicinandosi a lei o dicendo ad un compagno di andarla a chiamare.

Penso a quel bambino che si scansa ad ogni carezza e detesta essere stretto in un abbraccio soprattutto da chi non conosce; a quel bambino servirà “tempo” per capire che le mani e le braccia possono essere affettuose e non far male; si faranno passi avanti solo giorno dopo giorno, rispettando il suo distacco, non vivendolo come sfida, ma come necessità, così da trovare una giusta vicinanza divenendo davvero accoglienti.

Penso anche a quei suoni che ci fanno scattare, come ad esempio la campanella a scuola che scandisce il cambio d’ora o la ricreazione o ancora l’uscita; ho conosciuto bambini che la odiavano perché quei suoni richiamavano ritmi diversi, rigidi e faticosi come quelli dell’istituto e l’inizio della “lotta” per ottenere un bisogno primario, ed ecco che mentre sono in classe la mia testa viaggia altrove.

E ancora per la strada, a quanti rumori e sirene siamo esposti ogni giorno? E seppur molti siano i bambini spaventati e preoccupati nel sentirle, per alcuni riattivano percezioni legate ad un trauma, magari quando sono arrivati i poliziotti o ancora l’ambulanza, perché mamma non stava bene e da lì la vita è cambiata per sempre.

Alcune volte ho accolto storie difficili e adulti disperati perché ci sono bambini che mettono alla prova con costanza e fermezza in ogni luogo in cui l’adulto in questione possa sentirsi “nudo” e disarmato e lì sarà lo stesso tempo a mostrare di “tenere” di resistere, di “non mollare” e quei bambini si sentiranno così sempre più “visti” e amati.

Penso alla storia di una bambina che, seppur piccola al momento dell’adozione, i genitori avevano notato come ogni mattina, al suo risveglio, si fermasse a guardare il soffitto sorridendo; quel suo modo di fare oltre a parlarci della sua serenità ci raccontava di come per lei quel soffitto, giorno dopo giorno, sempre lo stesso, fosse divenuto oltre che casa, anche affetto, famiglia, certezza... probabilmente la prima.

Voglio chiudere con una citazione di Rousseau: “Bisogna perder tempo per guadagnarne”; queste storie ci insegnano come ogni volta che facciamo qualcosa di apparentemente banale, scontato, inutile, in realtà ci possa essere la possibilità di connettere momenti, dare valore a storie, recuperare, scoprire e stupirsi ancora.

Data di pubblicazione: 
Lunedì, Dicembre 10, 2018

Condividi questo articolo