Autore: 
Anna Guerrieri

Data di pubblicazione in "Adozione e dintorni" 6 novembre 2007

Genitori e insegnanti

A scuola la famiglia adottiva entra in contatto con le mille sollecitazioni della società, per questo è proprio l’ambito della scuola che viene vissuto dai genitori come carico di ansie e difficoltà. I genitori si “preoccupano” di quel che accade a scuola, temono l’inserimento a scuola dei figli, raccontano delle interazioni “difficili” con le insegnanti.

I “problemi a scuola” sono tante volte i primi problemi che le famiglie raccontano nei gruppi in cui si parla di post-adozione.

Dialogando con le insegnanti tuttavia si avverte altrettanto spesso un’analoga sensazione di solitudine e di difficoltà. Quotidianamente viene chiesto alle insegnanti di attivarsi con competenza sulle molteplici urgenti necessità portate dai bambini in classe e, in una singola classe, possono esserci allo stesso tempo bambini e bambine con serie difficoltà psico-fisiche (più o meno accettate e riconosciute dalle famiglie), bambini con famiglie disgregate, bambine immigrate appena arrivate, bambini adottati.

Ci si aspetta che chi insegna sappia affrontare tutto questo, lo sappia fare con sensibile competenza ed abbia i mezzi (anche semplicemente strutturali) per farlo al meglio.

Ponendosi dalla parte di chi entra ogni giorno in classe, di chi lo fa con le poche risorse messe a disposizione dall’istituzione scuola, è un compito immane. Quel che si può fare è di cercare di essere solidali con chi insegna, infrangendo quell’idea recondita, che spesso alberga in noi genitori, di una scuola che ci debba fornire un servizio dovuto, senza crearci problemi, senza stress. Mettiamoci invece accanto a chi accoglie i nostri bambini per raccontargli chi siamo noi, le famiglie adottive.

I bambini

Quel che davvero serve ai nostri bambini, è l’impegno attivato dalla consapevolezza. Un impegno che non significa affatto, per un’insegnante, diventare all’improvviso “esperta” di adozione, bensì sensibile a cosa significhi essere figlio adottato, pronta a farsi flessibile rispetto alle esigenze che questi bambini portano nel gruppo classe.

Spesso non ci si rende conto che si può parlare di “adozione” (pre-vederla) indipendentemente dalla presenza o meno di bambini adottati in classe. Si fatica a comprendere che affrontare tematiche adottive rimanda immediatamente non a tematiche di integrazione interculturale ma a parlare di famiglia e appartenenza.

Essere adottati significa soprattutto arrivare in famiglia avendo subito una perdita, essere portatori di ricordi e vissuti che vanno accolti e rispettati: sono queste le consapevolezze da tenere a mente, consci che la capacità più grande che si può insegnare (si deve insegnare) ad un bambino è quella di “desiderare la vita”, perché il desiderio è il fondamento di ogni apprendimento. 

E’ importante dunque non rifuggire il pensiero della perdita per vedere in concretezza cosa significa, cosa comporta. I bambini vengono: lasciati in ospedale, lasciati per strada, lasciati in istituti, cresciuti in istituti, maltrattati. Vengono non pensati, non visti. Crescono quasi senza sapere di sé stessi: questi sono i bambini che diventano i nostri figli.

Un bambino pensa a partire dai pensieri che riceve. Le cure sono un tutt’uno, sono un corpo che viene toccato ma anche pensato da chi lo tocca.

Occuparsi di un bambino in maniera meccanica, curarne solo il corpo senza mai pensarlo, lo avvia sui sentieri della solitudine, e molti bambini trattati in questo modo scelgono la rinuncia e lo sprofondamento nella follia. 

S. Marinopoulos, “Nell’intimo delle madri”

In loro convivono tante età differenti, un’età fisica, un’età psichica ed un’età emotiva non sempre in accordo tra loro, crescendo hanno bisogno che la loro storia “differente” venga accettata per quello che è, senza stupori.

Portano dentro di sé la famiglia di origine, appartengono e si identificano con la famiglia adottiva. Essere loro accanto, anche da insegnante, significa per prima cosa vedere i bambini per come sono, immaginare il loro mondo interiore.

Il dialogo

Il  dialogo, tra genitori ed insegnanti, è sovente complicato dal non comprendersi a vicenda. Le difficoltà tra scuola e famiglia, le reciproche sfiduce o incomprensioni ricadono sui bambini appesantendo il faticoso lavoro di auto-costruzione della loro identità.

Questa è la scommessa su cui come genitori e insegnanti dobbiamo investire assieme: scoprire modi e luoghi per parlarci, per dirci chi siamo e come possiamo, assieme, sostenere i nostri bambini.

Quella che desideriamo infatti è una scuola che non chieda di essere “forti”, ma in cui sia possibile non essere né forti né deboli, e accettare assieme le fragilità della vita.

Benasayang e Shmit, "L’epoca delle passioni tristi"

Data di pubblicazione: 
Martedì, Novembre 6, 2007

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