Autore: 
Marta e Alberto

Era adorabile, silenzioso, socievole con i pari: proprio un bel bambino, a detta di tutti. Anche bravo a scuola, smentendo le statistiche sui figli adottivi che hanno un rapporto molto travagliato con la storia e l’inglese. E aveva aderito a tutte le proposte scolastiche ed extrascolastiche incontrate nella sua ricca infanzia piena di stimoli ed esperienze coinvolgenti: aveva praticato judo e pallanuoto, aderito con entusiasmo agli scacchi, al corso d’inglese e di francese della scuola, aveva voluto acquistare persino il pianoforte, e modellare la creta.

Andava in vacanza con chiunque glielo proponesse: a Londra con il primo della classe per il corso di potenziamento estivo di lingua, come in una landa deserta dove montare una tenda su un prato senza erba e arrostire dei wurstel scaduti con il suo gruppo scout.

Poi, improvvisa come il temporale, è suonata la sveglia dei tredici anni.

Una sera ha dichiarato: “Da domani non leggo più un libro e non studierò neanche tanto. Quel figlio che conoscevi non ci sarà più”.

Io ho accennato un sorrisetto ironico e mi sono scrollata subito di dosso le sue parole. Anche se la frase fulminante mi ha suscitato un brivido leggero lungo la schiena. Sono andata a dormire un sonno senza sogni. Siamo genitori preparati – mi sono detta - sappiamo che l’età di mezzo ci metterà in crisi, siamo pronti a scendere in campo. Con energia e consapevolezza. E tanta ingenuità.

Ci è piombata addosso così l’adolescenza, senza altri segnali premonitori.

Ha iniziato a spuntare qualche timido cinque a scuola, un paio di foto promiscue sui social. Sono stata presto espulsa dai suoi profili online. E sono arrivati impietosi i primi, suoi, inappellabili “no”! L’escalation dei rifiuti si è fatta dirompente. No alle vacanze con gli storici amici di famiglia, no agli scout e a tutte le altre attività organizzate, no ai vestiti borghesi da bravo ragazzo, no ai pranzi di famiglia con gli altri cugini più o meno coetanei cicaleggianti, no alle uscite con genitori e sorella nei suoi ristoranti preferiti, no ad un film visto insieme sul divano. Senza appello né possibilità di replica.

La sua camera sempre più caotica, il suo divieto ad entrarci assolutamente perentorio. La sua riservatezza ancora più impenetrabile. Dai 13 ai 18 anni si è aperto davanti a noi un lungo tunnel con poche luci e molta nebbia. Abbiamo iniziato ad arrancare, le idee sempre più confuse, la crisi come un fiume in piena, che rischia di travolgere gli argini.

“Con chi esci oggi?” “Con i soliti” “Scusa, ma chi sono i soliti?” “Uffa, i soliti! E tu sei la solita impicciona (impicciona è la traduzione aulica del termine che fiorisce sulla sua bocca)!”.

I soliti non hanno quasi mai le sembianze dei suoi compagni di classe, troppo tranquilli, troppo studiosi e ordinari. I soliti si trovano al parchetto, hanno almeno un orecchino e un tatuaggio. E collezionano insufficienze nelle scuole più scalcagnate della zona.

È cominciata la caccia alle informazioni, fiutando brandelli di indizi per capire qualcosa della geografia dei suoi movimenti. Sono diventata una stalker, online e offline, non me ne vergogno. Ho cercato di lasciarlo andare, pentendomene subito dopo. L’ho inseguito con il pensiero e con il cellulare, tentando di non perdere le tracce dei suoi spostamenti.

Un’unica attività extrascolastica, oltre alla playstation, lo ha tenuto vivo in questi anni: l’unico sport senza pieno diritto di cittadinanza a casa nostra. È entrato in una sgangherata squadra di calcio di quartiere, con un improbabile allenatore, sgrammaticato nel linguaggio e nell’azione educativa. Solo a citarlo rischio l’attacco di panico. E mio figlio si è scoperto pure bravo con i tacchetti: lo abbiamo assecondato, siamo diventati - nostro malgrado - improvvisamente tifosi, frequentatori dello stadio e del fantacalcio.

Le conversazioni a casa sono a singhiozzo. Lui arriva tardi a tavola, spesso porta aria di tempesta. Anche i gusti alimentari sono cambiati: bandite le verdure che tanto gli piacevano (!) da bambino. Vivrebbe di hamburger e maionese.

Noi solo oggi, a distanza di anni da quella primavera apparentemente precoce, bizzarra e tagliente con le sue raffiche di vento freddo, abbiamo accusato il colpo. E quando fiorisce il sorriso di una frase gentile, il battito d’ali di un cambiamento leggero, intravediamo qualche squarcio di azzurro che ci rasserena lo sguardo. Siamo ancora un po’ storditi, ma più allenati e forse meno spaventati. Forse.

 

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Data di pubblicazione: 
Mercoledì, Marzo 23, 2022

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