A Settembre 2021, in un Parliamone CON della Sezione di Roma di Genitori si divent, la dott.ssa Emanuela Cedroni, Assistente Sociale, già Coordinatrice GILA ASL Roma 3, ha descritto l’evoluzione del modo di lavorare dei Gruppi di Lavoro Integrati Adozioni - GILA - della Regione Lazio (si tratta delle equipes adozioni). In particolare ha parlato del loro funzionamento e della linea di pensiero che ne guida il modo di agire. Quello che segue è un resoconto, rivisitato dalla relatrice stessa, della parte generale di quell’incontro, cui succedettero molte domande. Speriamo possa essere utile a tutte le coppie in attesa per comprendere meglio il ruolo che giocano i servizi nell’iter pre-adottivo.
Il percorso che negli anni ha preso forma e che qui di seguito tenterò di rappresentare, è l’espressione di un confronto tra operatori dei GILA regionali, che regolarmente si sono incontrati ed hanno condiviso pensieri, metodologie, prassi lavorative. Questo è stato reso possibile perché la Regione Lazio ha sempre dimostrato una grande sensibilità all’istituto dell’adozione e dell’affidamento familiare e negli anni, periodicamente, ha investito sia sulla formazione degli operatori, che nella ricerca di buone prassi e la loro messa a sistema in protocolli metodologici operativi. La presenza di questa cornice istituzionale è un elemento fondamentale; non si può pensare ad un modello che sia espressione di una “filosofia” dei servizi se non si crea una intelaiatura strutturale che la sostiene, l’alimenta ma soprattutto la legittima.
Ripensare a come negli anni si è modificato l’approccio dei Servizi al percorso adottivo obbliga a direzionare lo sguardo più che all’esterno verso l’interno, ed è qualcosa che rimanda con il pensiero al lavoro svolto in questi ultimi venti anni dai professionisti che si occupano di adozione. Come operatrici ed operatori siamo portati nei vari contesti a parlare ed esporre riflessioni sulla genitorialità adottiva, sull’iter adottivo e su tutti quegli aspetti che caratterizzano la lenta costruzione di un legame affettivo tra genitori e figli, ma, siamo molto meno avvezzi a parlare di noi, a rappresentare quale è stato il processo, perché di processo parliamo, che ha modificato il nostro approccio ed il lavoro con le coppie. Molto è cambiato in questi anni, e questo cambiamento sta sempre più diventando un “patrimonio collettivo” consolidato.
Nonostante però i Servizi abbiano intrapreso un percorso “trasformativo” del modo di lavorare con le coppie che presentano la loro disponibilità ad adottare, persiste ancora oggi un sentire abbastanza comune che attribuisce alla coppia di operatori/trici una funzione sostanzialmente valutativa e giudicante. Quando questa percezione prevale nella relazione tra coppia e servizio, imbriglia sia i professionisti che le coppie dentro dei cliché, la comunicazione e la relazione stessa sono ostacolate, non permettendo al servizio di accompagnare la coppia verso una maggiore consapevolezza delle competenze specifiche necessarie per una genitorialità adottiva.
Eludere questi vissuti non giova. Qui sia la coppia che il servizio devono metterci del loro per superare questo ostacolo. Dal punto di vista dei servizi, il perdurare di questi vissuti indica che gli/le operatori/trici devono mettere maggior cura, più di quella messa in campo finora, nel comunicare come intendono lavorare. Presentare il percorso che si farà insieme, dare degli elementi che permettano alla coppia di capire qual è la filosofia di riferimento, è come offrire una bussola per orientarsi in una notte senza stelle.
Scandagliare i contenuti della genitorialità adottiva è di estrema importanza per accompagnare gradualmente le coppie in questo nuovo universo, ma non dobbiamo dimenticare che all’inizio, proprio quando ci si incontra, durante le primissime battute le coppie hanno “fame” di conoscere chi sono queste due persone che entrano senza essere invitate nella loro vita. Ancor prima di raccontarsi hanno bisogno di avere degli elementi di conoscenza, sapere chi siamo, come lavoriamo, come intendiamo accompagnarli in questo nuovo percorso, sentire che la relazione che intercorrerà tra loro e noi si baserà su un patto di sincerità, propedeutico per un rapporto fiduciario. Nella mia esperienza ho compreso che inizialmente è molto importante dedicare attenzione ed il tempo necessario al bisogno, del tutto comprensibile, di avere maggiori elementi che permettano alle coppie di cogliere il senso di ciò che sono chiamati a fare, comprendere le correlazioni, per esempio, una su tutte: l’iter obbligato che debbono fare per adottare un/a bambino/a.
I Servizi conoscono i percorsi dell’adozione nazionale ed internazionale, le similitudini e le differenze, la complessità sia sul piano sociopsicologico che sul piano giuridico e burocratico, ma la coppia entra in un contesto conosciuto attraverso le esperienze per interposta persona, “i sentito dire” o i siti dedicati all’argomento, ma nel momento in cui iniziano il cammino si passa “dall’avere delle informazioni” al “mettersi in gioco”, e la strada può essere facilitata se ci sono delle segnalazioni che indicano il senso e la direzione.
VALUTAZIONE O ACCOMPAGNAMENTO? QUESTO È IL DILEMMA
La legge 184/ 83 e le successive modifiche dispone che l’indagine socio psicologica sulle coppie che presentano domanda di adozione, attraverso la relazione finale, metta in luce tutti quegli elementi utili a far sì che il Tribunale per i Minorenni possa decidere se accettare o rigettare la disponibilità della coppia. Ed è bene ricordare che la relazione dei Servizi è uno degli elementi a disposizione del TM per ottemperare a questa sua funzione. Sottolineo questo passaggio perché le coppie continuano a rappresentare le equipe adozioni come coloro che hanno il potere di decidere sulla loro disponibilità, mentre va sempre ricordato che è in capo al TM la responsabilità della scelta. Con questo non voglio affermare che i Servizi non svolgano una funzione importante e centrale dell’intero percorso. Attraverso la conoscenza della coppia ed il lavoro fatto insieme ad essa i/le professionisti/e contribuiscono, attraverso il loro specifico, a fornire quegli elementi che aiuteranno il TM a decidere se accettare o rigettare l’istanza di domanda. E questo non è cambiato, era valido quando ho cominciato ad occuparmi di adozione, è valido ancora oggi.
Agli/alle operatori/trici è conferito l’incarico di “sondare” la genitorialità (o potenzialità genitoriali) dell’aspirante coppia adottiva. Capire se e quanto gli aspiranti genitori sono in grado di crescere e prendersi cura dei bisogni complessi di un bambino adottato, attivare strategie riparative ed accompagnarlo durante il processo evolutivo. Ora la genitorialità rappresenta una funzione assai complessa, difficilmente valutabile quando non si può osservare la relazione che c’è tra un bambino e i suoi genitori. Ad esempio, non si può essere genitori sempre allo stesso modo perché ogni bambino è unico, come unico il momento in cui arriva, senza tener conto che le differenti età dei figli implicano modalità comunicative e interattive diverse, molteplicità che richiedono una capacità di rivisitare continuamente il proprio stile educativo, adattandolo ai cambiamenti che la vita porta. Quando queste argomentazioni vengono espresse, le tensioni riferite alla valutazione e al giudizio, si ridimensionano, ma poiché, almeno inizialmente le coppie immaginano di dover sostenere un “esame”, la domanda che viene rivolta ai professionisti è più o meno la seguente: “Se le competenze genitoriali sono difficilmente osservabili e se non è un percorso che mira a dare un giudizio qual è l’obiettivo dell’iter adottivo?”. Ed è proprio qui che occorre dare tutte le informazioni che necessitano per far comprendere il contesto, i ruoli e le funzioni di ogni soggetto che incontreranno durante l’intero percorso.
Il contesto nel quale stanno entrando si compone di due dimensioni: giuridica e psico sociale, dimensioni che hanno linguaggi e mandati istituzionali differenti, ma che tra loro dialogano per giungere ad una conclusione del loro tragitto. La funzione del tribunale è quella di decidere se accogliere o meno una disponibilità della coppia ad adottare. La funzione dei servizi è sì quella di inviare una relazione dettagliata al Tribunale per i Minorenni nei tempi e nei modi richiesti, ma il come guardare, e come giungere a questo obiettivo è un qualcosa che gli/le operatori/trici hanno voluto ripensare a partire dalla considerazione di valutare insieme alle coppie l’opportunità di procedere verso l’adozione in quel momento specifico della loro vita.
L’attenzione inizialmente si concentrava sull’ identificazione delle risorse che una coppia poteva mettere a disposizione per un ipotetico bambino, fare una valutazione delle competenze genitoriali, rappresentare come in una “fotografia” tutti i contenuti che venivano richiesti dal TM in una relazione dettagliata, per aver dato così seguito al mandato conferitoci. Ma la fotografia ferma un’immagine in un momento preciso, la cristallizza, mentre, abbiamo compreso con l’esperienza che, ha più senso rappresentare i processi evolutivi che la coppia ha attraversato, un esempio su tutti: come ha maturato la scelta adottiva. Ora quest’aspetto della coppia come risorsa è qualcosa di comprensibile se pensiamo ai bisogni di un bambino in stato di abbandono, ma se non si tiene conto che la coppia è un sistema in continuo movimento, perdiamo di vista uno dei vertici del sistema, mentre è un insieme che va curato, accompagnato, perché a sua volta sia in grado di prendersi cura di un bambino adottato.
C’è il rischio che considerare la famiglia come una risorsa tout court, può apparire agli occhi di chi si appresta a dare la propria disponibilità, come qualcosa di meramente strumentale, qualcosa di inanimato e di immutabile, che come una riserva mineraria deve essere pronto lì per farsi “sfruttare”. Ed invece l’esperienza ci ribadisce che le famiglie sono qualcosa di più di una risorsa, sono piene di possibilità, ma anche di contraddizioni ed ambiguità, come è tutto ciò che riguarda le cose umane, e sono l’insieme di questi aspetti che influiscono nel determinare desideri, aspettative, scelte. Occorre quindi non solo osservare ma mettersi in gioco e lavorare per mettere dentro non escludere, legittimare ogni tipo di pensiero e sentimento, dargli un significato, che non abbia neanche lontanamente un profumo di valutazione.
Nonostante, però, questo nuovo modo di avvicinarci alle coppie e alla loro disponibilità, l’immagine di servizi giudicanti e valutativi non si è modificata del tutto. La percezione che i servizi siano un prolungamento del tribunale condiziona tantissimo la relazione. Dobbiamo continuare ad interrogarci perché si innesca questo corto circuito, e soprattutto se non è possibile neutralizzarlo, cercare di ridimensionarlo il più possibile. Corto circuito che non permette a noi di guardare le coppie diversamente, continuando a considerarle come coloro che non si svelano autenticamente ai nostri occhi, e a loro non consente di utilizzare lo spazio offerto dal servizio come uno spazio di riflessione di comprensione dei complicati meccanismi di una genitorialità e di una filiazione adottiva.
Sappiamo che le coppie vivono il percorso con i servizi come un vincolo, un obbligo al quale non ci si può sottrarre perché altrimenti non potrebbero adottare. Sappiamo anche che le modalità con cui sperimentano questo vincolo è diverso da coppia a coppia. Ci sono alcune che lo vivono come un qualcosa di estremamente intrusivo e invadente, altre che lo vivono con più “leggerezza”, altre ancora come un’opportunità, e questo fa parte di come ognuno di noi è strutturato, ma lo smussare questi vissuti, per dare un senso a questo percorso, ha il suo valore, e la modificazione di queste iniziali posizioni, è un indicatore importante per comprendere come evolverà la relazione con il servizio. Dipende anche dagli operatori e dalle operatrici ingegnarsi per rimuovere questi condizionamenti. Questo è possibile, solo se le coppie sentono di essere entrati in un servizio che accoglie anche le ambivalenze e le contraddizioni, che non esprime giudizi in merito ai loro vissuti né tanto meno, per questo loro esprimersi, definire se possono diventare genitori.
Offrire uno spazio alla coppia per potersi soffermare sulle aspettative, i dubbi, le certezze acquisite, il loro desiderio di diventare genitori e al contempo attivare pensieri e riflessioni, è il campo d’azione individuato dai servizi per far sì che la coppia si senta pronta a diventare una coppia di genitori adottivi. Un accompagnamento che non punta a definire e selezionare gli aspiranti genitori adottivi in “adeguati o inadeguati”, bensì un percorso di osservazione e di analisi condivisa di un sistema familiare che propone un movimento di cambiamento che partendo dal desiderio di una genitorialità biologica approda alla genitorialità adottiva.
Il proposito degli/delle operatori/trici è di mettere a disposizione della coppia una esperienza maturata negli anni che li può aiutare a riflettere sulle possibilità reali di definire meglio la loro idea di accoglienza rispetto ad un eventuale bambino/a. Avere consapevolezza dei propri strumenti e delle proprie possibilità, permette di comprendere fin dove ci si può impegnare nel prendersi cura di un/a bambino/a della sua storia, delle sue esperienze sfavorevoli, e dove, stante la propria realtà e le proprie caratteristiche, è meglio non avventurarsi. Questo che apparentemente può sembrare un’azione limitativa delle possibilità di adottare da parte di una coppia, (e riconosco che non è privo di fondamento questo pensiero) svolge però, al contempo, un’azione di “messa in sicurezza” dell’intero nucleo familiare per esempio rispetto alla tenuta del progetto stesso, e questo è un obbiettivo primario per chi lavora nel campo delle adozioni.
Accompagnare il cambiamento e governarlo, darsi delle chiavi di lettura condivise per affrontare la quotidianità dell’essere genitori e dell’essere figli in un’ottica di modello inclusivo di famiglia, è il compito degli operatori e delle operatrici che si occupano di genitorialità e filiazione adottiva. L’attenzione, pertanto, durante tutto l’arco dell’intervento si sposta sulla costruzione di una relazione collaborativa con le coppie. Il passaggio fondamentale si attua solo se tutti servizio e coppia, assumano la dimensione che il lavoro è con la coppia enon sulla coppia e che l’obbiettivo dell’iter ha come intento la co-costruzione processuale del risultato finale. In questo modo le coppie possono avere la percezione che dal percorso fatto “si portano a casa” un’esperienza diversa da come se l’erano immaginata, sia nei contenuti che nella relazione con il servizio.
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