Autore: 
Francesca Boracchi

Quando, da neoabilitata psicologa, mi sono affacciata al mondo dell’adozione, la mia prima fatica è stata comprendere il concetto di rischio giuridico, non tanto a livello concettuale, quanto a livello emotivo e psicologico.

Dal punto di vista giuridico tutto sommato la comprensione del termine “rischio giuridico” non è difficile ed esiste consolidata dottrina e giurisprudenza. Sappiamo che il rischio giuridico caratterizza ogni Adozione Nazionale e si riferisce alla possibilità che, nonostante il minore sia stato abbinato ad una coppia che ha dichiarato la propria disponibilità e sia stato affidato ad essa con un decreto di collocamento provvisorio, dopo un tempo che non può essere definito a priori, il minore debba fare ritorno nella propria famiglia di origine. La dichiarazione di adottabilità di un minore, infatti, come ogni altro provvedimento giuridico può essere oggetto di opposizione e la famiglia di origine può ricorrere in Appello e poi in Cassazione per vedere nuovamente riconosciuta la propria responsabilità genitoriale.

Ma cosa succede ai bambini e alle famiglie adottive?

Quali sono i costi emotivi del vivere una situazione di continua precarietà ed incertezza?

Quali sono i compiti della famiglia adottiva e che ruolo la famiglia adottiva ricopre nel rischio giuridico? 

Ecco, è qui che le cose diventano complesse e dolorose, che le domande iniziano a non avere delle risposte lineari e prevedibili, perché quando i provvedimenti giuridici vengono tradotti nella vita reale delle persone non sempre è facile conviverci.

Partiamo dal presupposto che al momento della proposta di abbinamento il Giudice spiega alla futura coppia genitoriale il rischio giuridico specifico per il bambino di cui stiamo parlando, ma resta comunque una valutazione ipotetica basata su dati come la conoscenza pregressa con la famiglia di origine, i motivi che hanno portato alla dichiarazione di adottabilità, le eventuali azioni di lavoro terapeutico e riabilitativo proposte o attuate dalla famiglia di origine: il Giudice però non può garantire, ad esempio, che una famiglia fino ad allora poco collaborante o disinteressata, al momento del ricevimento della dichiarazione di adottabilità del proprio figlio o nipote (perché anche i parenti fino al quarto grado hanno la facoltà di impugnare il provvedimento) non ingaggi comunque una battaglia legale per riprendersi la responsabilità genitoriale. Ne consegue che ogni coppia che dichiara la propria disponibilità all’adozione nazionale potrebbe ritrovarsi a convivere per anni con la precarietà di una adozione a rischio giuridico.

Ci sono poi situazioni in cui alla coppia viene proposto un abbinamento con un bambino la cui dichiarazione di adottabilità con esito praticamente certo, è ancora in corso ; a livello giuridico la pratica risulta in essere e quindi sin da subito i genitori sanno che stanno convivendo con una situazione in continuo divenire.

Che ruolo viene richiesto alla famiglia adottiva?

Dal punto di vista del coinvolgimento nel procedimento giuridico nulla, nel senso che la famiglia adottiva non è parte in causa nel processo e quindi i genitori adottivi non sono attori ma ignari spettatori. La famiglia adottiva non viene infatti informata dell’eventuale avvio di un processo di opposizione da parte della famiglia di origine. E quindi? Una delle domande che le coppie mi pongono più spesso è proprio come poter capire se l’adozione sta procedendo regolarmente o se il rischio giuridico è diventato realtà. Da non esperta in materia giuridica mi sento di rispondere che se dopo 6/7 mesi dall’ingresso in famiglia del minore con decreto di collocamento provvisorio non abbiamo ancora ricevuto il decreto di affido preadottivo possiamo ragionevolmente pensare che sia iniziata una battaglia legale per la tutela del minore. Nel momento in cui viene emesso il decreto di affido preadottivo, infatti, la procedura di adozione può considerarsi definitiva.

Dal punto di vista psicologico il duro compito della famiglia adottiva è di vivere la propria quotidianità come se non ci fosse una guerra nelle retrovie, non coinvolgendo il bambino nelle proprie fatiche ed investendo nella costruzione del legame di appartenenza senza farsi distrarre dalla paura che da un giorno all’altro questo legame possa essere interrotto. Tutte queste tematiche giuridiche appartengono infatti “al mondo dei grandi” ed il bambino ha il diritto di esserne protetto, di entrare in una famiglia solida, sicura, che investa ogni secondo di ogni giorno nella costruzione di una storia condivisa che guardi ad un futuro insieme.

Ma perché non aspettare?

Questa dal mio punto di vista è la risposta più semplice: perché i bambini non hanno tempo. Un neonato lasciato in ospedale riceverà certamente cure adeguate e accudimento da parte del personale infermieristico, che altrettanto certamente svilupperà con lui un legame affettivo ma nulla di paragonabile al legame di attaccamento con una figura genitoriale che sia esclusiva, prontamente rispondente ai suoi bisogni e che provi quell’amore incondizionato che nasce dal profondo desiderio di accogliere un figlio.

Parimenti un bambino che sia stato allontanato da un nucleo famigliare inadatto porta con sé delle ferite e dei traumi che devono trovare cure immediate, e non c’è cura migliore dello “stare bene in famiglia per chi è stato male in famiglia”. Anche se questa famiglia non dovesse essere per sempre? Anche qui mi sento di dire di sì. Vivere in una famiglia funzionale, adatta ad accogliere i bisogni fisici ed emotivi di un bambino, in grado di dare degli strumenti per affrontare il proprio dolore e dare un senso alla propria storia ha un valore immenso, anche a costo poi di dover affrontare una nuova eventuale separazione.

Come si fa a vivere con questa incertezza?

Questa è la domanda che sempre le coppie mi pongono, con gli occhi lucidi, il cuore appesantito dalla paura del domani e la testa stanca dal peso dei continui pensieri.

Mi piacerebbe avere una risposta che magicamente possa alleggerire la quotidianità di queste famiglie, ma posso solo aiutarle a trovare delle piccole boe a cui aggrapparsi quando le onde diventano troppo forti.

In primo luogo possiamo metterci la fiducia nel sistema giudiziario e in tutti quegli organi che hanno portato alla decisione che quel bambino, nostro figlio, non potesse continuare la sua storia con la sua famiglia di origine. Sappiamo per certo che la decisione di interrompere la continuità di un legame famigliare viene presa solo dopo avere esplorato e sperimentato tutte le alternative possibili, che sia aiutare i genitori biologici, pensare ad un progetto di affido intrafamiliare, ad un affido professionale temporaneo con incontri protetti, e molti altri progetti che possono essere pensati per il mantenimento e/o il recupero del legame biologico.

In secondo luogo la valorizzazione del nostro ruolo genitoriale, che sicuramente noi vorremmo fosse per sempre, ma che dobbiamo imparare a vivere giorno per giorno, godendo di ogni piccolo passo in più nella creazione di un legame che fa tanto bene sia a noi che a nostro figlio.

Un’altra fonte di ricarica è osservare il cambiamento dei nostri figli, la luce che torna a splendere nei loro occhi, gli incubi notturni che piano piano scompaiono, il fisico che torna a fiorire, le risate che aumentano e tutti quei segnali che ogni genitore sa interpretare come indice di benessere del proprio bambino. Io invito sempre i genitori adottivi, periodicamente, a fotografare il volto del proprio bambino, a fare dei brevi video del suo modo di giocare e di stare in relazione con loro e con il mondo, così da avere poi modo di confrontare il prima e il dopo e poter oggettivamente osservare il percorso di rinascita e crescita psicologica del bambino.

So che è difficile pensare al “per sempre” quando dobbiamo girare con in borsa il decreto di collocamento provvisorio che possa giustificare “chi è quel bambino che vive con noi”, quando il dirigente scolastico al momento dell’iscrizione ci chiede “ma quindi quale cognome ha il bambino?”. Se all’interno della bolla della nostra casa è forse più facile scordarsi di quello che sta accadendo nelle aule dei Tribunali, la realtà ci mette a confronto con la caducità e la precarietà di quello che stiamo vivendo, ed è nostro compito portare invece anche all’esterno la forza e la legittimità di una famiglia che giorno dopo giorno lotta per il proprio lieto fine. Lieto fine che nella quasi totalità dei casi avviene, perché non scordiamoci che l’adozione è uno strumento di tutela del minore, per dare ad un bambino la migliore famiglia possibile e, anche se a rischio giuridico, è stato deciso che quella famiglia siete voi.


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Data di pubblicazione: 
Giovedì, Luglio 22, 2021

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