Autore: 
Sonia Oppici

Bruno è arrivato con la faccia sporca, gli occhi che scavano e il sorrisetto strafottente che sfida ogni tentativo di accudimento. Ha pochi anni ma la rabbia è quella di un adulto. Sputa e tira calci. Non è facile stargli vicino.

Lui in comunità non ci vuole stare e ogni tua distrazione diventa una sua occasione di fuga. Le prova tutte. Porte, cancello, finestra. E noi a rincorrerlo. A nascondergli le scarpe pensando che una corsa a piedi nudi possa dissuaderlo dalla voglia di casa.

Bruno parla un italiano ruvido. È indisponente, maleducato. Fiero e silenzioso ti fa capire che non gliene importa.

L’hanno preso mentre borseggiava una signora in metropolitana. È la quarta volta in un mese. In tasca un coltellino, un cellulare e un pacchetto di caramelle gommose. Gusto cappuccino.

Finalmente lo convinciamo a farsi un bagno. Quando esce, ripulito, ha un aspetto meno minaccioso. Azzardo qualche domanda…

Con parole incerte mi dice che il campo rom in cui vive non è lontano. Che non va a scuola. Che non stava rubando. Che sono i poliziotti che ce l’hanno con lui. E che gli sto facendo perdere tempo perché arriverà in ritardo per la cena.

Puoi cenare da noi…” fa una smorfia con la linguaccia e quando, più tardi, gli riempio il piatto si volta di spalle e non tocca cibo. Arriva la sera e di mettersi il pigiama non se ne parla. Spengo la luce e lui è ancora vestito. Si infila sotto le coperte. Con gli occhi spalancati. Sono certa che tenterà di scappare e resto vigile. Infatti, dopo poco, si alza e si siede sul divano, pericolosamente vicino alla porta. Io di fianco a lui. Non una parola.

Alla fine il sonno vince entrambi e ci risvegliamo in piena notte . I suoi piedi premuti contro la mia pancia.

Ora posso tornare a casa?". Mi chiede. Io sfinita: “E se invece andassimo a letto e ne riparliamo domattina?” “Va bene. Torno a casa domani mattina”.

Arriva il secondo giorno e anche il terzo. Arrivano i primi racconti di come si vive al campo, dei ragazzini che ascoltano la musica, che si fidanzano a dieci anni e si sposano a quindici. Perché quando sei un uomo, nessuno può più dirti quello che devi fare.

Parla di come cucina la mamma e ti chiede in continuazione per quanto tempo dovrà restare. Lo assicuriamo che i genitori sono stati informati del fatto che sta bene e che non c’è motivo di preoccuparsi. Tra qualche giorno verranno a trovarlo. Bruno non riesce a capire cosa stia accadendo alla sua vita. Cosa sia il Tribunale, il giudice, cosa abbiano fatto di sbagliato i suoi genitori e perché non possa rivedere i fratellini. Mi chiedo se abbia un senso spiegarglielo.

Dopo una settimana non è più necessario marcarlo stretto… Qualche gioco con gli altri ragazzini del gruppo. Qualche mezzo sorriso. Seduto a tavola, ingoia senza quasi masticare, e qualche volta, si mette in bocca un’arancia intera tra lo stupore e l’ammirazione generale degli altri, che ci provano ma rischiano di soffocarsi. In alcuni momenti lo vedi con la testa fuori dalla finestra, a respirare un po’ del mondo a cui è stato sottratto.

Ti manca il campo?
Si… Potresti accompagnarmi almeno per salutare…
Non si può... Lo sai”.
Non si può fare niente. Ma come fate a vivere così?
Non è poi così male vivere così…
È una prigione. Però si mangia bene”.

Il pomeriggio successivo è inquieto. Ipervigile, aspetta il momento giusto e corre velocissimo.Tentiamo l’inseguimento. In un lampo è davanti al portone. Aperto. Perchè gli altri bimbi stanno rientrando da scuola.

Ed è subito strada.

Si volta e, per la prima volta, spalanca la bocca in un sorriso bellissimo. Bruno è davvero bellissimo. Me ne accorgo solo ora mentre mi fa ciao con due mani e urla un “grazie”. Ci metto un po’ a capire se è una presa in giro. Non lo è. 

Dopo due giorni, lo ritrovo alla portineria della comunità. E non è solo.

Mi saluta e, indicandomi l’amico, spiega: “Gli volevo far vedere dove sono stato. Non ci credeva che è bello e che voi trattate bene i bambini. Possiamo mangiare qui?” A fine pasto mi chiedono due biglietti della metropolitana: “Così i poliziotti non pensano che siamo ladri”. Lo scherzo
non è divertente. Lo capiscono e Bruno precisa che non ha più rubato.

Ovviamente non gli credo.

E mi domando se davvero nulla vada perduto. Decido di sì. Almeno per oggi.

Data di pubblicazione: 
Giovedì, Novembre 22, 2007

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