Autore: 
Silvia Piaggi

Oggi è un giovane uomo sorridente e generoso, dall'accento romagnolo rotondo che ammorbidisce gli snodi più impervi del suo racconto. Ha intrapreso un lungo percorso terapeutico e, facendo pace con se stesso, i propri errori, la propria vita, ha desiderio di parlare dell'esperienza accumulata negli anni e di condividere pensieri. Lo fa con passione. Io raccolgo le sue parole in un caldo giorno di giugno, lui racconta la sua storia come fosse un romanzo, tratteggiando i personaggi intorno al protagonista, un bambino nato negli anni '80 in un paesino appeso ad una montagna che sembra venire fuori da una fiaba dai toni a tratti foschi. 

Per quanti anni hai vissuto con la tua mamma biologica? 

Sono vissuto con mia madre fino ai 10 anni. Lei proveniva da una famiglia con molte fragilità, accumulate lungo le generazioni. Mia nonna aveva problemi psichiatrici, mia mamma è nata da un matrimonio combinato e a sua volta viveva in un contesto povero da tutti i punti di vista. Mia madre non era una donna cattiva, ma assolutamente fragile, incapace di prendersi cura di sé stessa prima che dei suoi figli. Ho vissuto tante piccole, grandi violenze che mi hanno segnato nel corpo e nella psiche. Ero un bambino taciturno, ma molto intelligente e sensibile, con la turbolenza volevo far capire a tutti che la mia famiglia non era in grado di farmi crescere. 

A sei anni fuggii addirittura da casa e dormii sotto un ponte. Ero ingestibile, facevo disperare, perchè ero molto solo, abbandonato a me stesso: mia madre mi chiudeva per ore in camera e usciva. Forse era il suo modo di proteggermi... 

Non mi dava spesso da mangiare e non si occupava della mia igiene. Ricordo il freddo terribile e l'odore ripugnante che ha intossicato la mia infanzia. Ho sofferto di enuresi fino all'adolescenza inoltrata. Grazie ad una delle fidanzate di mio padre, iniziarono a prendersi carico della mia situazione. Ma non in modo continuativo e risolutivo. Solo intorno ai 7 anni i Servizi sociali si sono occupati un po' più di me e mi hanno affidato, almeno per l'estate e per brevi periodi, ad alcune famiglie di supporto. E finalmente a 10 anni arrivai nella casa dei miei genitori affidatari: fu la svolta della mia vita.

Che cosa ti ha permesso di non andare a fondo nella tua infanzia intrisa di tanto dolore?

Ho molti ricordi tetri. Mia madre si dimenticava di me a scuola o veniva a prendermi negi orari sbagliati. Però ci furono -io le chiamo- delle isole, in un mare di fango tempestoso. Sono nato in un paesino davvero piccolo e tutti mi conoscevano e si prendevano un po' cura di me. Qualcuno mi dava da mangiare o mi faceva fare una doccia, una ragazza mi aiutava tutti i pomeriggi nei compiti, un'altra mi portava al maneggio a cavallo. Quando sono andato via dal paese, mi hanno anche organizzato una festa indimenticabile piena di gioia. Ricordo un signore che lavorava al mulino: andavo da lui molto spesso e mi prometteva che, se fossi stato bravo e non gli avessi fatto i soliti dispetti, mi avrebbe fatto salire sul camion più grande. Riuscii a mantenere la promessa con grande impegno e lui non mi deluse. Queste piccole grandi gioie, queste isole mi hanno permesso di rifiatare, mi hanno messo in salvo, senza chiedere nulla in cambio. 

Ci sono stati alcuni snodi fondamentali nel tuo percorso verso la salvezza... 

Uno è rappresentato dalla terapia che mi ha permesso di mettere al loro posto i tasselli della mia storia e di arrivare a perdonare i miei genitori biologici. L'altro snodo fondamentale è stato l'affido ai miei genitori, due persone intelligenti che mi hanno fatto finalmente sentire a casa, mi hanno regalato quelle basi solide e quell'amore gratuito che mi ha dato le ali per crescere.

Non è stato facile: la mia adolescenza è stata un terremoto. Ne ho combinate di tutti i colori, ho sfasciato motorini e auto, ho preso multe, sono rincasato ad orari impossibili, mi sono ribellato, ho detto tante bugie, commesso tutti gli errori possibili che raccontano di una fragilità enorme. A scuola ero in disastro: mia madre era convocata dai professori ogni settimana. Li ho fatti letteralmente impazzire. Eppure, loro non hanno mollato, ci sono sempre stati. Teneri e fermi allo stesso tempo. Ero loro figlio, al pari di mio fratello, il loro figlio biologico. Soprattutto, mi hanno dato tempo per diventare quello che sono, non mi hanno chiesto di essere performante, di raggiungere risultati.

Con grande naturalezza mi hanno dato tutte le possibilità di cui avevo bisogno, senza fretta, senza scadenza, portandomi a prendere le mie responsabilità, a pagare i miei errori, senza troppi sconti. Con cura hanno rispettato le mie fragilità e mi hanno permesso di sbocciare, lentamente, molto lentamente. Io sono in ritardo su tutto per la società: sono single, ho da poco avviato un'attività lavorativa nel periodo del covid (io sono un fisiologo clinico che si occupa di esercizio fisico per persone con patologie croniche stabilizzate come diabetici o cardiopatici). Ma sono in piedi, ho fatto un percorso dentro il mio dolore di cui posso farmi carico solo io e ho deciso che posso essere l'artefice del mio cambiamento. Quando sei nella grande difficoltà hai bisogno di un abbraccio, non di altro. Io l'ho avuto.

Un altro aspetto importante nella mia vicenda è rappresentato dagli amici, amici sinceri che mi sono sempre stati molto vicini. E' stato il mio migliore amico a mandarmi in terapia dicendomi che era necessario, perché cadevo sempre nello stesso circolo vizioso, che potevo uscirne con l'aiuto di qualcuno. Non era più il tempo delle cure palliative, ma di un intervento radicale, profondo.

La tua storia di affido è stata molto tormentata... 

Nel mio percorso ho dovuto rinnovare ogni anno l'affido fino a 18 anni, e questa cosa ha reso la situazione molto ambigua, sempre incerta e logorante. Mi sono rimasti tanti buchi, tante paure, quella ad esempio di non andare bene, di essere rimandato da dove sono venuto, la difficoltà di non sentirsi mai pienamente a casa. Un timore che si è rinnovato ogni anno, fino alla maggiore età. Ho dovuto mantenere i rapporti nel tempo con la mia famiglia d'origine ed è stato difficile, direi insensato. Legami fittizi, inutili che mi hanno creato grande insicurezza interiore. Quale padre? Quale madre? Questa ambiguità era logorante. Sei di famiglia o non sei di famiglia? E' difficile da spiegare, anche a chi ti sta più vicino. Le situazioni ibride, incerte creano a mio parere sofferenza. O hai la famiglia o non ce l'hai. Io sono per le soluzioni drastiche. 

Anche i Servizi sociali nella mia storia hanno commesso molti errori, non hanno messo i giusti confini. Nessuno mi ha mai chiesto sinceramente il mio pensiero. Io non potevo e non volevo vivere con scadenza e mi ribellavo con le modalità che conoscevo. Perché poi il sistema non prevede un supporto psicologico sistematico per i ragazzi che vivono situazioni così complicate? Se non lavori sulla persona, su tutti i soggetti in gioco nei momenti di crisi, l'impalcatura crolla. 

Che sentimenti nutri oggi verso i tuoi genitori?

Verso la mia famiglia biologica nutro compassione: anche loro hanno perso l'opportunità di crescere un figlio per inadeguatezza e inconsapevolezza. E' una storia di grande sofferenza e disagi profondi, dinamiche malate, un dolore tramandato. Io non faccio più parte di quel mondo semplificato che non mi può capire, non può comprendere quanto mi sia costato diventare adulto. Sto ricostruendo un modello nuovo, ho dovuto però buttare giù tutto per ricostruirmi. Io ho raggiunto il distacco, dopo aver scritto una lettera a mia madre che le ho dato di persona, accompagnato dal mio migliore amico. E ho chiuso il cerchio. Le ho detto "Grazie per avermi lasciato andare, io ce l'ho fatta". Ed è cambiato tutto da quel giorno. Ora non fingo più, vivo la mia vita, con tutta la forza che ho, senza sensi di colpa. 

Verso i miei genitori affidatari nutro gratitudine. Ma mio padre un giorno mi ha detto "Noi non abbiamo fatto niente di speciale, ti abbiamo dato solo un'opportunità, ma ora sta a te farne quello che vuoi".

Un momento cruciale del mio percorso è stato quando, al compimento del diciottesimo anno, scadeva l'affidamento. E io ho iniziato a dichiarare con grande arroganza adolescenziale che avevo scelto loro, ma non vedevo l'ora di andarmene per i fatti miei, di fare ciò che volevo senza chiedere più niente a nessuno. Mio padre allora scrisse un contratto che diceva così: "Hai 18 anni, a essendo parte della nostra famiglia, le regole sono sempre uguali, a prescindere dal cognome, perché siamo un insieme". E mi ha fatto firmare: la mia firma a fianco della sua. E' stato un gesto incredibile, perché avevo bisogno proprio di quello, di non sentirmi abbandonato. E sono stato felice di essere parte della famiglia.

La società, la scuola sono pronte ad accogliere le storie differenti?

La scuola, la società ti attaccano addosso un'etichetta e tu devi non farti bloccare da quella etichetta, non crogiolarti in quella definizione, non imboccare la via preferenziale. Tutti possiamo essere definiti da un'etichetta: il malato oncologico, il disabile, l'adottato, ma noi siamo molto di più di ogni definizione. 

Il sistema dell'istruzione in particolare difficilmente valorizza le diversità. Nell'età dello sviluppo tutti i ragazzi peraltro portano la loro diversità, il loro momento difficile, chi perché ha i genitori separati, o perché sta attraversando un periodo emotivamente forte, magari semplicemente perchè è stato lasciato dalla ragazza. Gli adulti dovrebbero capire, avere un rapporto empatico. Ma sono pochi gli insegnanti all'altezza del compito. Il sapere nozionistico non serve a niente, serve sentirsi bene a scuola per imparare. C'è un tema di sensibilizzazione verso le fragilità da portare avanti. Mi ha colpito il recente fatto di cronaca di quel ragazzo che in America ha ammazzato 19 bambini. Qualcuno si è chiesto come mai si è arrivati a un gesto tanto violento? Chi ha colto una sofferenza tanto grande? Perché nessuno ha visto?

Io a scuola ne ho combinate tante, non ero pronto e pochissimi erano in grado di capirmi. Se esci dal modello, a scuola vieni ingabbiato nella valutazione e spesso non hai possibilità di rinascere. 

La tua strada però con il tempo l'hai trovata...

Si, con fatica, tanta pazienza e umiltà. Mettendomi in ascolto anche di altre storie. Chiedendo scusa perchè non sempre sono stato una bella persona, ho perso occasioni e fatto soffrire altri. Siamo tutti fragili e fallibili, il segreto è quello di riconoscerlo. Ciascuno ha il suo dolore da elaborare. 

Nella vita a tutti possono accadere cose terribili, possiamo attraversare periodi molto dolorosi, ma sta a noi decidere come trasformare tutta quella sofferenza. Possiamo vestire i panni perenni delle vittime oppure trasformare quell'esperienza in una risorsa, per noi e per gli altri. Che cosa ne vuoi fare? O continui a fare la vittima oppure puoi scegliere di cambiare atteggiamento. Non è questione di fortuna o sfortuna... io ho avuto un'altra possibilità, tutti hanno un'altra possibilità. Ma abbiamo ciascuno la propria responsabilità: che cosa voglio fare di ciò che mi capita? Posso rimanere sempre rancoroso e arrabbiato con la vita. O posso diventare une persona migliore, più sensibile ed empatico. Ogni vera rinascita ha bisogno di tempo, cura e un pizzico di follia. 


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Data di pubblicazione: 
Giovedì, Luglio 7, 2022

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