“ Non mi ascolta, mi sfida, fa l’esatto contrario di quel che gli dico”
“A scuola disturba tutti, fa il pagliaccio, non combina nulla... e dire che non è un bambino stupido!”
“Non riesce a portare a termine nulla, anche nei giochi: passa di continuo da uno all’altro, come se si stufasse subito”
“E’ sempre distratto, basta un niente perché la sua attenzione si perda, spesso si fa male proprio perché non sta attento”
“Anche quando ha ascoltato quel che gli ho detto di fare, poi se lo dimentica e non lo fa, come se niente fosse”
“Ha sbalzi di umore, a volte lo vedo diventare improvvisamente triste, ma poi riprende a sfidarmi”
“Non riesce a controllarsi, basta una piccola contrarietà perché esploda in reazioni esagerate”.
Queste sono alcune delle lamentele che generalmente si sentono da genitori o insegnanti di bambini che presentano il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattivita’. Ma di cosa si tratta?
Niente a che vedere con la normale vivacità o distraibilità infantile: si tratta di comportamenti percepiti come eccessivi, al di sopra della norma, da tutti coloro che entrano in relazione prolungata con il bambino, compresi i suoi pari.
Gli psicologi stimano che questa sindrome interessi all’incirca il 5% dei bambini e che, nella forma che si esprime anche con una motricità eccessiva, riguardi prevalentemente i maschi. Le bambine manifesterebbero questo disturbo in forma più passiva, meno dirompente ma per questo anche più subdola e difficile da risolvere. Questo disturbo è caratterizzato da tre sintomi principali:
- difficoltà di attenzione e concentrazione (il bambino non riesce a stare concentrato per un tempo sufficiente allo scopo, non sa rimuovere gli stimoli disturbanti e ne è continuamente distratto, dimentica rapidamente le istruzioni ricevute; per questo gli è difficile portare a termine un compito assegnatogli);
- iperattività (che può modularsi in diversi gradazioni, da un’irrequietezza non vistosa ma costante, all’iperattività incontenibile) ed impulsività (il bambino non pensa prima di agire, passa da un’idea all’altra senza seguire un nesso logico, reagisce in modo immediato a livello affettivo - ad es. non tollera le frustrazioni -, tende a ripetere le azioni anche se sa che sono sbagliate);
- disfunzioni nella “memoria di lavoro” (che è quella forma di memoria in cui collochiamo provvisoriamente i vari ‘pezzi’ con cui dobbiamo lavorare, ad es. la sequenza di indicazioni su come raggiungere un certo luogo o mettere in ordine una stanza; anche se il bambino ha un buon archivio di conoscenze, il fatto di essere carente nella memoria di lavoro gli impedisce di fatto di poterle utilizzare, costringendolo a procedere in modo disordinato ed inefficace).
Questo quadro è generalmente accompagnato da una serie di altre disfunzioni e disturbi che rendono complessa e poco piacevole la vita al bambino e a chi vive con lui: problemi scolastici e di linguaggio, difficoltà a seguire le regole, isolamento sociale, disturbi emozionali come ansia e depressione.
Scarsa stima di sè
Spesso i bambini che presentano queste caratteristiche si sentono degli incapaci, hanno scarsa stima e fiducia in se stessi e tendono a mascherare tutto questo con comportamenti disturbanti ed irritanti che, se scambiati erroneamente per aggressività o ‘capricci’, portano a sgridate e punizioni continue da parte degli educatori, in un circolo vizioso che non fa che peggiorare l ’autostima del bambino .
Intervenire però è necessario, e nel modo appropriato, soprattutto a livello educativo, perché questo disturbo comporta un alto rischio di cronicità: alcuni studi dimostrano che quasi l’80% dei bambini mantiene le difficoltà di attenzione nell’adolescenza, e di questi poi il 50% manifesta ancora il disturbo in età adulta.
I confini tra normalità e patologia, tra ciò che può essere ricondotto ad un ambito di semplice difficoltà e ciò che invece viene etichettato come bisognoso di cure specialistiche, sono definiti dalla psichiatria in base a sistemi di classificazione (ICD-10 e anche DSM) che, proprio perché scientifici, possono essere messi in discussione, ed infatti variano nel tempo.
Attorno al proliferare di diagnosi DDAI ci sono molte perplessità, che lasceremo per ora in disparte, perché quel che ci interessa qui è capire quali strategie si sono rivelate più efficaci per aiutare quei bambini che, con diverse gradazioni d’intensità, manifestano difficoltà relative all’attenzione, all’iperattività e alla memoria di lavoro. Insomma, come aiutare a contenere i comportamenti più esplosivi e socialmente disturbanti? come dare strumenti per rendere più capaci di gestire la propria autonomia e l'apprendimento scolastico? Non entreremo nel merito dell'utilizzo di farmaci nei casi più gravi (argomento questo molto controverso, che esula dalle competenze di chi scrive), per concentrarci sugli aspetti che riguardano la gestione dei comportamenti e il potenziamento delle abilità.
La "gestione delle contingenze"
Innanzitutto l'adulto deve identificare quali sono i comportamenti che desidera modificare nel bambino e l'ambito in cui solitamente si verificano, definire quali sono le priorità e quindi stabilire contratti con regole chiare.
Definire poche regole, commisurandole alle possibilità del bambino e descrivergli di volta in volta, con molta chiarezza, il comportamento atteso, prevedendo anche delle gratificazioni o dei costi: va aiutato insomma il bambino a capire come può correggersi, perché non è in grado da solo di farlo (ricordiamo che lui non si diverte a comportarsi male, semplicemente non riesce a fare diversamente).
I messaggi vanno inoltre formulati in maniera molto diretta, senza giri di parole che possano confonderlo e vanno dati uno per volta perché possa gestirli senza dimenticarli. A fronte dei comportamenti disturbanti e oppositivi, le punizioni si rivelano spesso inefficaci ed inoltre si entrerebbe in una escalation senza fine; la strategia migliore sembra essere quella dell’estinzione, che consiste nell'ignorare il bambino ogni volta che si comporta in modo provocatorio (a meno che non ci sia pericolo per sè e per gli altri). Inoltre va ricordato che un bambino iperattivo si stanca facilmente e che il suo comportamento peggiora nettamente in situazioni ripetitive e poco motivanti.
Le strategie di autocontrollo cognitivo
Anche in questo ambito, dove tende ad agire in modo caotico e disordinato, il bambino va aiutato ad acquisire delle strategie di autoregolazione: l’adulto mostra come un compito va eseguito, fornendosi delle istruzioni ad alta voce in modo da dettagliare i segmenti di comportamento che costituiscono una sequenza operativa ("ora prendo il libro, cerco la pagina, la leggo tutta senza fermarmi"); il bambino potrà all’inizio aiutarsi con questi auto-comandi espressi a voce alta, finché non avrà interiorizzato la sequenza. Compiti troppo lunghi o complessi andranno spezzati in parti più piccole, per mantenere la capacità di attenzione e il controllo sull'obiettivo da raggiungere. Va anche curato l'ambiente di lavoro, che non deve contenere troppi stimoli distraenti (es.: quando si fanno i compiti tenere sul tavolo solo l’indispensabile) e mantenuta sempre viva la motivazione (il bambino iperattivo si annoia presto).
L'insegnamento delle abilità sociali
Per contrastare la tendenza all'isolamento o la difficoltà a mantenere le amicizie, è fondamentale insegnare quelle abilità sociali di cui il bambino è carente. Anche qui sarà l'adulto a dover mostrare i comportamenti sociali adeguati (come chiedere qualcosa senza essere aggressivi, come risolvere un conflitto, come conversare senza interrompere l'interlocutore, ecc.), facendoli poi ripetere in una situazione simulata. Prima di affrontare ambienti in cui si prevede lo scatenarsi di comportamenti agitati (come le feste di compleanno), ricordare al bambino come si dovrà comportare ed intervenire quando si intuisce che sta entrando in crisi.
Per aumentare le competenze sociali va inoltre coltivata la capacità di riconoscere i propri sentimenti e di prevedere quelli altrui, la capacità di ascoltare gli altri e di prevedere le reazioni alle nostre azioni. Sempre si dovrà tener presente che un bambino iperattivo ha un basso senso di sé, si sente un fallimento, ed è per questo che va valorizzato nei suoi aspetti positivi, va sostenuto ed incoraggiato, facendogli sentire la nostra fiducia in lui.
Questo articolo si riferisce ai contenuti del corso "La sindrome di Pierino. Il controllo dell'iperattività" tenuto a Tolmezzo dal dott. Daniele Fedeli, docente di Psicopatologia clinica dell'Università di Udine.
Breve bibliografia per i genitori:
- Fedeli D.(2006), La sindrome di Pierino.Il controllo dell'iperattività, Giunti
- Fedeli D.(2005), Lo sviluppo socio-emotivo. Percorsi teorico-pratici per bambini in difficoltà,
Vannini, Brescia
- Marzocchi, G.M. (2003). Bambini Disattenti e Iperattivi. Cosa possono fare per loro genitori,
insegnanti e terapeuti, Il Mulino, Bologna
- Vio, C., Marzocchi, G.M., Offredi, F. (1999). Il Bambino con Deficit di Attenzione/ Iperattività.
Diagnosi Psicologica e Formazione dei Genitori, Edizioni Centro Studi Erikson, Trento
- Jrina Prekop, Christel Schweizer, Bambini iperattivi, Red edizioni