Autore: 
Avv. Heidi Barbara Heilegger

Nel mondo dell'adozione sono in atto da tempo importanti cambiamenti. I costi, eccessivi e non sempre preventivabili, le tempistiche, lunghe e soprattutto incerte, l'aumento dell'età dei minori adottabili e dei bambini con bisogni speciali, i sospetti sulla legalità delle procedure attuate in alcuni Paesi esteri, sono solo alcuni dei fattori che indicano la necessità di un ripensamento di questo importante istituto.

Ciò non significa che in futuro l'adozione non rappresenterà più una risorsa per i bambini privi di una famiglia che li accolga ed accompagni nella crescita, né che sia destinato a scomparire – una preoccupazione che spesso serpeggia nei dibattiti e convegni dedicati all'adozione – piuttosto, più realisticamente, che dovrà adattarsi all' evoluzione sociale e culturale.

In particolare occorrerà anche interrogarsi in merito all'emergere di nuove forme di protezione dell'infanzia e, di riflesso, di nuovi modi di intendere e vivere la genitorialità assicurando eventualmente loro anche una adeguata veste giuridica. Quando si parla di nuove forme di protezione dell'infanzia il pensiero corre inevitabilmente all'adozione aperta. Con questa espressione si intende la possibilità, per il minore adottato, di mantenere, in vari modi e misura, i contatti o di frequentare la famiglia di origine con l'assenso e la cooperazione della famiglia adottante.

La premessa fondamentale da cui muovere è che, nel nostro ordinamento, questa forma di adozione non è espressamente contemplata né normata (se pure nemmeno vietata) ed è unicamente frutto di una, ad oggi limitata, applicazione giurisprudenziale. Tutt'ora, in Italia, la legge 184/83 prevede che il minore adottato assuma lo stato di figlio legittimo degli adottanti e che cessino completamente i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine. Si tratta di una visione dell'adozione che la immagina come una forma di tutela dell'infanzia molto diversa ed anzi antitetica rispetto all'affido dove non vengono interrotti i rapporti con la famiglia di origine ed anzi si ha come obiettivo quello del reingresso del minore in seno alla suddetta.

Diversamente dall'adozione, dunque, l'affido ha carattere temporaneo, sebbene la durata di molti affidi “sfori” i due anni ipotizzati dalla legge ed anzi in alcuni casi si evolva nei c.d. affidi sine die. Il legislatore, ad ogni modo, ha costruito un sistema rigidamente binario in cui non parrebbe esserci spazio per soluzioni per così dire intermedie quale appunto potrebbe essere l'adozione mite o aperta. Negli ultimi anni, tuttavia, si è andata delineando una nuova sensibilità che suggerisce come la miglior forma di tutela ed accoglienza di un minore che si trovi in stato di abbandono (che, se ritenuto irreversibile, è poi il presupposto per la dichiarazione di adottabilità) non implichi, sempre e necessariamente, la netta recisione di ogni legame con la famiglia di origine, ciò anche come conseguenza di una nuova attenzione, non solo da parte del diritto, a temi delicati come la c.d. ricerca delle origini.

Questo non significa che si sia autorizzati a leggere nell'adozione aperta la panacea di tutti i mali né che quest'ultima sia destinata col tempo a sostituire l'adozione così come oggi la conosciamo. E' piuttosto probabile che, in relazione a singoli casi specifici, la giurisprudenza inizierà a considerare, sempre più spesso rispetto al passato, anche strade alternative che superino appunto il dualismo adozione – affidamento. La rigidità del modello proposto dalla legge sull'adozione unitamente all'applicazione residuale ed ai limiti legati all'adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184/1983ii, ha indotto alcuni Tribunali per i Minorenni ad un'interpretazione di tipo evolutivo dell'attuale normativa: pertanto, pur nell’ambito dell’adozione legittimante, considerata più tutelante nei confronti del minore, si è ritenuto che il presupposto dell’interruzione dei rapporti con la famiglia di origine dovesse essere limitato ai soli rapporti giuridici, mantenendo la possibilità di preservare i rapporti di fatto.

La lettura proposta può trovare e di fatto ha talvolta trovato applicazione nelle situazioni comunemente definite di “semi-abbandono permanente” dove la famiglia di origine, pur carente, abbia nella vita del minore un ruolo in un certo qual modo positivo e che non è, quindi, nell'interesse del medesimo cancellare (si pensi ad esempio ad un genitore con una patologia psichica che incida pesantemente sulle competenze genitoriali, ma che sia affettivamente presente) . Si tratta ad ogni modo di casi limitati, frutto di un'attenta e ponderata valutazione di ciò che sia meglio per quello specifico bambino in quel particolare caso. Al centro di ogni riflessione e decisione ci deve essere, sempre e comunque, il preminente interesse del minore non già in astratto, ma calato nella concretezza della realtà. Se da un lato non vi è dubbio – sul punto la legge sull'adozione è molto chiara – che è diritto del minore crescere nella sua famiglia di origine, con la conseguenza che la decisione di adottabilità dovrà rigorosamente evitarsi laddove le criticità, anche serie, dei genitori, siano eventualmente superabili, dall'altro in nessun modo i giudici saranno autorizzati a sposare il “comune sentire”, troppo spesso acriticamente solidale con i genitori biologici, preservando un legame pericoloso e disfunzionale.

Quello descritto è l'attuale stato delle cose in Italia. Non è dato sapere se l'apertura della giurisprudenza rispetto a nuove forme di adozione verrà in futuro strutturata in una nuova legge o in una modifica di quella attuale (ad oggi i disegni di legge presentati sono rimasti lettera morta). Certamente è auspicabile che le famiglie adottive vengano accompagnate nel post-adozione da operatori validi e competenti e non lasciate sole nel gestire una situazione che potrebbe rivelarsi particolarmente delicata e complessa, non ultimo per le implicazioni psicologiche che un “canale comunicativo” aperto con la famiglia di origine può comportare.

Va detto, per completezza, che, diversamente che in Italia, in altri paesi, ad esempio negli Stati Uniti, l'adozione aperta è un modello già esistente ed applicato da anni. La “open adoption” viene, ad esempio, proposta come possibile alternativa all’aborto nel caso di gravidanze indesiderate. Non solo. Esiste anche una correlazione tra adozioni aperte e adozioni realizzate per il tramite di privati intermediari che in alcuni Stati dell’Unione non sono vietate: può così accadere che i genitori biologici diano delle indicazioni o addirittura scelgano essi stessi la famiglia adottiva per il figlio, concordando anche le future modalità di incontro. Appare evidente come in questi casi ci sia però il rischio di decisioni non conformi all'interesse del minore quando non contaminate dallo scopo di lucro. Al netto di ogni giudizio, è chiaro come alla radice dell'approccio statunitense ci sia una visione dell'adozione culturalmente oltre che giuridicamente lontana anni luce da quella accolta nel nostro ordinamento: pertanto detto approccio non può essere trasposto, così com'è, nel nostro paese .

Alla luce delle considerazioni svolte, possiamo concludere come oggi in Italia, almeno sotto il profilo giuridico, non sia possibile affermare a priori che l'adozione aperta rappresenti una risorsa per la tutela dell'infanzia così come, specularmente, non si può neppure affermare che non lo sia.

Ai giudici è richiesto di rifuggire dalla tentazione di abbracciare soluzioni ideologiche verificando sempre, nel concreto, quale soluzione realizzi meglio l'interesse del minore: solo entro questo ampio, ma invalicabile perimetro l'adozione mite o aperta potrà imporsi come un'opzione da valutare senza pregiudizi, ma anche senza facili illusioni.

 

Note

i) Per un approfondimento si rinvia agli articoli dedicati alla ricerca delle origini presenti nel BLOG

ii) Secondo l'art. 44 della legge n. 184/83 " i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 (ossia quando non è stato dichiarato lo stato di adottabilità): a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

Per un approfondimento del tema dell'adozione in casi particolari si rinvia a "L'adozione in casi particolari: evoluzione e prospettive di impiego" di Heidi B. Heilegger.

Data di pubblicazione: 
Martedì, Settembre 18, 2018

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