Autore: 
Daniela Lupo

-Scusa, mamma, ma tu sei la mia mamma?- e alla domanda accompagni l’espressione interrogativa e sorniona di chi la risposta la sa già e si aspetta uneffetto annunciato. É un copione che conosco, uno dei giochi che preferisci da quando eri piccolo, una domanda che è un piccolo artificio di ripetizione di parola e a te da sempre piace giocare con il suono delle parole, ma è una domanda che apre orizzonti lontani, difficili da afferrare appieno per te e per me. Nella chiarezza delle cose, la nostra storia familiare di adozione, questa domanda per me rappresenta sempre una sfida, innesca grovigli razionali ed emotivi e credo di non aver mai risposto nello stesso modo. Molto dipende da come sto io in quel momento e da come immagino stia tu.

-Sono la tua mamma- in tono assertivo è la risposta della serenità, della chiarezza di un amore che è lì, ingombrante ed evidente, difficile non
accorgersene. Ma a volte, la condizione del momento mi porta a pensare a risposte più complesse, articolate. É
 quando intravedo in te un interrogativo più profondo, un bisogno di rassicurazione, un incespicamento emotivo. Sento la tua insicurezza, non posso sapere esattamente cosa provi o se un fatto, una situazione, qualche considerazione che ti è arrivata dal mondo di fuori ti abbia smosso qualcosa dentro. Allora lì rispondo analitica, specificando il mio essere mamma che accoglie, mamma che ama, mamma che nutre e che ti vuole sano e felice, ma non mamma che ti ha partorito...come se tu non lo sapessi.

La leggerezza diventa peso ed io trasformo il gioco definendo, puntualizzando, distinguendo. Cose che tu sai perché è il nostro pane quotidiano, ma le verità vanno ripetute sempre, come le fiabe e le preghiere, tutte le volte è sempre una volta nuova e il rito si compie.

-Ma perché proprio io con voi?- mi domandi in maniera esplicita qualche volta. E lì non è facile. Vorrei tanto risponderti offrendoti una spiegazione certa, un motivo irrefutabile, indicando un disegno alto, quasi divino ma non posso. Quand’eri più piccolo ti dissi che alcune persone fra l’Italia e la Russia avevano fatto in modo che ci incontrassimo, ma eri un bambino e forse avrai pensato a trame segrete di fate e gnomi che lavorano per questo, per creare famiglie. Ma ora hai sedici anni e il tuo interrogativo è profondo e coinvolge il tuo equilibrio di persona che si sta formando e il tuo bisogno di costruire la tua identità conferendo senso a una storia, rinsaldando pezzi, cucendo frammenti, trovando risposte. Sai che esistono gli enti per l’adozione internazionale, sai che ci sono degli operatori in Italia e in Russia e che loro hanno lavorato perché ci incontrassimo. Ma la tua domanda è: perché io? perché voi? Ti rispondo come posso in quel momento.

Le tue domande non mi fanno mai paura, possono turbarmi o spiazzarmi, ma so che non posso sbagliare più di tanto perché ti voglio bene e mi faccio guidare dall’autenticità di quello che sento per te e dall’imperativo categorico di non mentire mai né a te né a me. Dunque ti rispondo un po’ filosoficamente che molti aspetti dell’esistenza sono retti e dominati dal caso. In fondo anche il concepimento è un caso, l’incontro fortuito di due cellule (un classico). Mi guardi serio con la faccia di uno che la sa lunga -Mamma, il caso non esiste. Era giusto che andasse così- .

Gioisco di questa risposta e della fiducia che esprimono queste parole. Fiducia nella vita, nelle persone, negli eventi, fiducia che spesso vacilla in me ma che ritrovo salda in te. Rispondo richiamando il senso di realtà -Non lo so, ma ora siamo qui insieme, è questo che conta-.

- Ma voi mi avete scelto?-

-No, non avremmo potuto né voluto-

Forse ti deludo, avresti forse voluto sentire che fra tanti bambini abbiamo scelto proprio e soltanto te, ma non posso, perché è falso. Sapevamo poco o niente di te e la prima volta che ti vedemmo eri l’unico bambino accompagnato da tanti adulti che parlavano una lingua per noi incomprensibile. Ti dico però che ti abbiamo “riconosciuto” fra decine di bambini, già la seconda volta che ti abbiamo visto, perché eri diventato ormai il nostro Sasha, per sempre.

-Ma allora spiegami perché il primo giorno giocavamo a rincorrerci per abbracciarci- mi incalza. -Non lo so, Sasha, forse perché ti volevo già bene...-Ti guardo dritto negli occhi e sorrido. -E tu perché mi abbracciavi? Non mi conoscevi ancora... - 

-Forse perché intravedevo in te una potenziale mamma- Meravigliosa risposta, Sasha, mio piccolo filosofo. Ogni entità è un potenziale che si sviluppa e prende forma diventando aristotelicamente atto. É proprio vero, ero una mamma potenziale ma poi ho preso forma, grazie a te che hai permesso questa straordinaria trasformazione.


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Data di pubblicazione: 
Venerdì, Dicembre 16, 2022

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