Autore: 
Anna Guerrieri

L’adozione intreccia biografie e pensare l’adozione come possibilità reale ed umana di costruire famiglie significa credere nella possibilità di scambiarsi parti di vita intime e potenti solo perché ci si è potuti un giorno incontrare. Accettare il potere di questa possibilità è tutto il lavoro di ogni famiglia nata attraverso l’adozione. Che si tratti di famiglie evidentemente adottive o meno, che i figli vi arrivino a pochi mesi o meno, quello che conta è l’incontro di storie e la creazione di una storia assieme, una storia concreta e quotidiana dove ognuno ha il suo posto, i genitori quello di chi si prende cura e responsabilità, i figli quello di crescere, di essere, trasformarsi, di prendersi cura e responsabilità delle proprie vite. Le famiglie comunque nascono, cambiano, attraversano periodi intensi, splendidi, tremendi. Le vite degli uomini e delle donne sono fatte di queste relazioni, di quel che resta dopo la vita trascorsa assieme, di quel che resta nella dolcezza dell’amore e nella solitudine e nel terrore della perdita e della morte. Siamo storie fatte di altre storie e forse uno dei gesti più gentili che si può fare nel tempo è quello di narrarci l’un altro le nostre storie per scoprirci insieme umani e simili e vicini nonostante le differenze. Sara Anceschi nel suo libro fa tutto questo, raccontandoci la propria storia, la sua adozione, il suo crescere e diventare madre. Con grande semplicità ci dona le sue emozioni e le sue riflessioni. Per questo lasciamo la parola a lei, scegliendo solo alcuni dei brani che costruiscono il suo libro appena pubblicato "Mamma, tu in che pancia sei nata?" per la Collana Genitori si diventa, Edizioni ETS.

Mentre contemplavo mio figlio che prendeva il latte dal mio seno, mi accorsi di non essere sola. Accanto a me c’era la mia mamma. Ci guardammo, avremmo voluto dirci tante cose ma non riuscimmo. L’emozione era tanta e lo sguardo commosso di entrambe disse molto di più di qualsiasi parola. In quel momento ero diventata mamma e mia mamma era diventata nonna, recuperando quella parte di percorso che la natura le aveva negato e che stava vivendo con me e con il suo nipotino appena nato.

Ricordo molto bene un episodio particolare che vissi un giorno mentre Mattia piangeva disperato. Era accanto a me e io lo guardavo impotente, in una sorta di trance ipnotica. In quel momento mi identificai in Mattia che piangeva, senza ricevere le cure e l’affetto di cui avevo bisogno. Ci fu come una trasposizione, come se si fossero invertiti i ruoli. Ero neonata come Mattia, mi trovavo in Brasile e nessuno si occupava dei miei bisogni fisici e di accudimento. Provai una disperazione infinita e appena mi ripresi, piansi insieme a lui, mentre lo cullavo, cantandogli una ninna nanna che lo calmò fino a farlo addormentare.

Non passò molto tempo e tornò con una nuova domanda. Stavamo guardando il suo cartone animato preferito, Titti e Silvestro, e improvvisamente chiese: «Mamma, ma tu nella pancia di chi eri? Non in quella di nonna Anna, vero? E allora nella pancia di chi?». Rimasi un po’ sorpresa da quella domanda e gli risposi: «Amore mio, non conosco la signora che mi aveva nella pancia, non so nulla di lei. So solamente che mi ha lasciata su una panchina davanti ad una casa in cui si occupano dei bambini che sono senza una mamma e senza un papà». Mattia incredulo rispose: «Ma mamma, ma non è possibile che non conosci quella mamma. Non è che adesso vai in Brasile a trovarla?». Per lui fu difficile credere che io non conoscessi chi mi aveva messo al mondo; sembrava dispiaciuto per me e quasi stupito dalla serenità con cui ne parlavo. Come può un bambino di nemmeno cinque anni, concepire che si può non conoscere la mamma che ci ha fatto nascere?

"La maggior parte della letteratura e della ricerca scientifica dell’adozione si è orientata in questi anni ad indagare l’infanzia e l’adolescenza dei figli adottivi. L’attenzione dei ricercatori è stata, per lo più, rivolta a determinare l’adattamento sociale e psicologico dei ragazzi con alle spalle una storia di adozione per rispondere alle domande di fondo: L’adozione rappresenta una risorsa per questi ragazzi? Essa può rappresentare la cura delle esperienze preadottive, spesso sfavorevoli? Quale il percorso della famiglia adottiva, le sue sfide, il suo successo? Molto è stato detto e scritto su “questi” ragazzi, mentre poco abbiamo loro offerto come possibilità di raccontarsi, di esprimersi rispetto ai loro vissuti, al significato che ha assunto nella costruzione della loro identità l’esperienza adottiva. Questo libro è, dunque, un’occasione rara, soprattutto nel panorama italiano dove ancora residuale è il fenomeno delle community di ragazzi adottati adulti, che siano desiderosi di farsi “soggetto” attivo nelle politiche di protezione dell’infanzia. Uno strumento per porsi in ascolto, avvicinarsi e comprendere l’adozione attraverso il loro sguardo. In questo libro l’autrice racconta la propria storia, gioca con i tempi della sua vita, ricostruendo il passato, per sostenere il presente e sognare il futuro1."  

Ascoltiamo nuovamente la storia, perchè dare voce, significa ricevere ciò che arriva, scevro da interpretazioni. 

Quel giorno, fuori dall’ospedale, ero così sconvolta che chiamai immediatamente mia mamma sfogando, quel dolore grande. Lei mi disse dolcemente: «Sara, devi farti forza, so cosa stai provando, perché ci sono passata anche io; non c’è nessuno che può capirti più di me. Pensa a Mattia che è la cosa più importante che hai e vai avanti. Supererai anche questa, sarà dura, ma sono certa che ci riuscirai». Nessuno avrebbe potuto confortarmi più di lei in quel mo- mento. Non l’ho mai sentita così vicina come in quella telefonata. Ora capivo quello che aveva provato lei tanti anni prima; il dolore profondo nel vedere donne incinte, neonati in carrozzina e l’impotenza nel non sentirsi in grado di portare avanti una gravidanza.

Il racconto di Sara ci porta attraverso questo dialogo interiore ed intenso con le persone della sua vita ed in particolare con il figlio bambino, con i figli attesi, con la sua mamma e con la sua mamma di origine. Ci narra le sue relazioni, il suo donarsi e affidarsi, il suo avere fiducia e il suo interrogarsi. Nelle pagine si intrecciano pensieri sul passato, ricordi ed in particolare il ricordo del suo viaggio in Brasile, con i pensieri sulla costruzione di una vita assieme al suo compagno. In un continuo flusso tra passato, presente e futuro ci descrive se stessa, come è.

Ho riletto queste pagine molte volte e tra le parole ho ritrovato la vera Sara, quella che nessuno ha mai conosciuto nel profondo. Scrivere mi ha dato la possibilità di viaggiare dentro me stessa, regalandomi un nuovo inizio e da questo voglio ripartire.

Non solo a vendere e a comprare si viene a Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi tutt’intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili, o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice – come “lupo”, “sorella”, “tesoro nascosto”, “batta- glia”, “scabbia”, “amanti” – gli altri raccontano ognuno la propria storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per resta- re sveglio al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio.

Italo Calvino, Le città invisibili

 

1. Abitare l’inquietudine dell’età adulta: una crisi “generativa” alla ricerca del senso di Sé di Joyce Flavia Manieri - appendice al libro.

Data di pubblicazione: 
Martedì, Maggio 7, 2019

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