“… la maternalità nasce con il desiderio di un figlio e continua con la realizzazione del progetto, che comprende la gravidanza e il parto, per compiersi infine con l’accudimento del bambino fino al periodo in cui, divenuto grande, conquisterà l’autonomia psichica”
Per la maternità adottiva bisognerebbe inventare tutto un pensiero che la sostenga, perché non c’è quasi nulla nell’adozione che sia solo intimamente della madre.
Viene analizzata la coppia da subito (nell’indagine dei servizi sociali e del Tribunale), è la coppia che si mette in gioco, che va a corsi e percorsi, che si presenta a colloqui con giudici ed enti. E’ importante che sia la coppia, perché l’adozione è una presa in carico di un bambino che già esiste e che è stato fortemente ferito da incuria e abbandono e marito e moglie devono esserci assieme e fortemente. Non si scherza sulla vita di bambini che vanno in adozione.
E’ la coppia che viaggia, che incontra, ed è ormai noto a tutti quanto, nell’adozione, i padri abbiano un ruolo immediato e vasto, da subito. Nell’adozione ci sono tante attese e tempi dilatati, ma c’è poco spazio di intimità per le madri. Non c’è il bimbo dentro di te, non c’è il tempo del tuo pensiero solo per lui o per lei, non c’è il tuo segreto e il tuo silenzio condiviso con qualcuno che è già in te. Ci sono tempi di solitaria ed impaziente impotenza, quando aspetti di essere chiamata da enti e tribunali e non riesci quasi a immaginarti con un bambino che viene fuori da te, ci sono rapidissimi momenti di trasformazione quando le parole di un operatore ti raccontano di una bambina precisa, di quei due fratelli lì, di quel bambino con la sua storia. E tu sei lì, madre in divenire, con tuo marito e davanti a qualcuno che quasi non conosci e che ti “parla” di tuo figlio, di tua figlia, dei tuoi figli. Non hai il tempo per accarezzarne il pensiero, non hai il tempo per portarli dentro quello spazio interiore che ti eri costruita per accogliere i figli, non hai tempo per soffrirne e gioirne, quasi non hai tempo per le emozioni.
In una sorta di parto asettico e formale, senza sangue e senza carne, solo con uno sguardo, una decisione e una firma, diventi madre. E se invece si dice no, perderai dei figli, abortirai, ma sempre senza sangue e dolore, quasi in un lutto muto che non potrai esprimere all’esterno perché fatto solo di pensieri profondi ed indicibili, senza il corpo a mostrare i segni del tuo dolore.
Si dice sempre: “L’adozione è un atto pubblico”, ed è giusto che sia così; ma credo non si possa rinunciare ad una riflessione su cosa voglia dire pubblico nella maternità, per la maternità.
Un pensiero per la madre adottiva: si mi piacerebbe. Un pensiero che la faccia sentire meno sola. Un pensiero che le stia accanto e la coccoli e la nutra e che sappia esserle di aiuto quando si sentirà spiazzata e in crisi e fuori posto.
Un pensiero per dire che non è facile, mai, diventare madri in assenza del proprio corpo; nonostante questo è possibile ed è necessario (non fraintendetemi, per me certi doveri sono importanti quanto la vita stessa). Perché senza noi madri, i figli non sarebbero mai figli. Non troverebbero le risorse per scommettere di nuovo sulla vita, per sbocciare, per crescere, per essere a loro volta sorgenti di nuova vita. Siamo noi madri a poter toccare e aprire le loro emozioni più profonde, a definirne il corpo, a nutrirne la pelle, a trasportarceli dentro per farli uscire di nuovo, sempre e sempre, in ogni fase di passaggio.
In tutto il caotico cammino che ci porta a diventare madri per adozione, abbiamo pochi spazi per la nostra femminilità, per il nostro corpo. In tante ci si sente estraniate, spaesate, spaventate, specialmente al momento dell’abbinamento, specialmente quando incontriamo i figli. Può essere questione di un attimo per alcune, o di giorni, mesi per altre, ma la sensazione di “irrealtà” è lì dietro l’angolo per tutte. Ignorarlo credo non valga la pena. Certe sensazioni non vanno giudicate, viste in un’ottica di facili moralismi, vanno solo vissute ed accettate per come vengono. Ci vuole tempo, sempre per diventare veramente madri, anche biologicamente. Lo dicono tutti, per essere madre non basta far nascere un figlio, bisogna saperlo pensare, saperlo porre al centro del nostro mondo psichico. E così per una madre adottiva, non basta desiderare un figlio ardentemente e iniziare un percorso di adozione, non basta leggere, ascoltare, informarsi e neanche dire “si” ad un abbinamento. Bisogna trovare il modo, in un tempo-spazio assolutamente intimo e personale, per pensarli questi bambini. Costruire uno spazio che ci permetta di avvolgerli nelle nostre emozioni, accarezzarli con la mente ed il cuore, costruire per loro quasi una placenta di pensieri che li accolga e li protegga, che li tenga al caldo dentro di noi. Inventare un tempo perché loro possano avere un posto nelle storie che ci siamo sempre raccontate, quando da piccole cullavamo le bambole e giocavamo a “madre e figli”. Uno spaziotempo solo nostro, imperfette come siamo, fragili e isteriche, tenere e accoglienti, dubbiose e impaurite, sicure e forti.
In questo spazio e in questo tempo i nostri figli adottati verranno alla luce dei nostri occhi e del nostro cuore e alimentati da noi troveranno la forza di essere nella vita, di cambiare il mondo attorno a loro e di pensarsi fecondi.