Autore: 
Monica Nobile

“Me lo sono fatta di nascosto” mi rivela una ragazza quindicenne mostrandomi il piercing sull’ombelico. “Mia madre mi rovina se viene a saperlo!” Le chiedo dove l’ha fatto e mi spiega che l’hanno aiutata le sue amiche, in camera di una di loro mentre i genitori erano fuori. Le ricordo l’importanza dell’igiene e i rischi del fai da te. “Cosa ci potevo fare? Lo desideravo tanto, ma i miei genitori non volevano saperne. Mi dicevano che è volgare, che non si deve torturare il corpo… Mi toccherà usare il costume intero quest’estate al mare con loro. Anche adesso, a scuola, mi tocca cambiarmi in bagno perché loro non mi permettono di usare le maglie corte. Che palle, non capiscono niente di moda. Per loro dovrei girare come una suora”. Mi vengono i brividi a pensare che si sia infilata un ago da una parte all’altra, usando del ghiaccio per sentire meno dolore. Immagino che si sia sentita molto coraggiosa, mi sembra di percepire l’ammirazione delle amiche, eccitate per quell’atto trasgressivo, prova di coraggio, marchio distintivo su un corpo non più curato dai genitori come quando si è bambini.

Possiamo scorgere in questi comportamenti il desiderio di sentirsi parte del gruppo dei pari - pensiamo alla complicità nel fare il piercing tra amiche mentre i genitori sono fuori casa – di essere al passo con i tempi e con la moda dei loro anni. Non si tratta di una mera questione estetica; è anche un modo per esprimere la ribellione verso quei genitori antichi dai quali si vuole ottenere la propria autonomia; la sperimentazione di uno stile può essere letta in relazione alla ricerca identitaria durante una fase evolutiva che segna il passaggio all’età adulta. Le diverse modalità con cui gli adolescenti esprimono qualcosa di sé attraverso il corpo sono frequentemente motivo di conflitto in famiglia, spesso rappresentano una forte preoccupazione del  genitore che chiede di attendere almeno la maggiore età, così da essere più consapevoli delle proprie scelte. Il buco del piercing, e ancor più il tatuaggio, sono segni indelebili, restano per sempre, oltre l’età in cui le scelte sono dettate dalla spinta verso l’autonomia e l’emancipazione da conquistare anche attraverso lo scontro con gli adulti.

Disegnare il corpo

L’adolescente che si fa un tatuaggio vuole un disegno indelebile, dai significati precisi e definiti, scelti da lui come particolarmente importanti. Il tatuaggio è un segno di riconoscimento sulla pelle, un documento d’identità sociale. Attraverso un rito che assume i contorni dell’iniziazione, l’adolescente può sentirsi più forte e più sicuro e acquisire una certa popolarità tra i coetanei.

E’ un’esperienza forte, che i ragazzi cercano di compiere in piena autonomia, fuori dagli schemi degli adulti; spesso è un’esperienza trasgressiva, un atto fuori dalle regole, da raccontare con orgoglio.

Un ragazzo che ha fatto il suo primo tatuaggio a 16 anni mi dice che il suo desiderio è quello di farsene altri più grandi. Mi spiega come sia più attraente la pelle tatuata e quanto sia importante la scelta dei disegni e dei colori. Vuole che tutti possano vederli, vuole farseli in parti ben visibili del corpo, certo della considerazione che gli altri avranno di lui.

Disegnare il corpo, adornarlo, modificare il proprio aspetto, anche attraverso operazioni meno definitive come l’abbigliamento, l’acconciatura e la colorazione dei capelli, può far sentire ai ragazzi una maggiore possibilità di controllo sul loro corpo, in un’età in cui i cambiamenti fisici avvengono repentinamente suscitando spesso disorientamento.

Un ragazzo in forte conflitto con i genitori cerca di spiegarmi che ha scelto di tingersi i capelli per distinguersi e definirsi nella comunità in cui vive. Mi invita ad immaginarlo nel piccolo paese da cui proviene. “Non abito in una città come te” mi spiega. “Dove vivo sono tutti vestiti nello stesso modo e subito pronti a giudicare se ti vesti o ti pettini in modo originale”. Cerca di presentarsi sicuro di sé, deciso a mostrarsi coraggioso e anticonformista. In realtà è un ragazzo alle prese con la sua insicurezza e alla ricerca di una propria identità. Vive con disagio il rapporto con gli adulti: con i genitori che sembrano non comprenderlo, con gli insegnanti che appaiono come giudicanti e incapaci di ascoltare i ragazzi. Rendersi eccentrico è, forse, per lui, un modo per non sentirsi invisibile, per ottenere non solo l’attenzione, ma anche per rivendicare il diritto alla comprensione e all’accettazione senza riserve.

Anche l’abbigliamento è spesso motivo di conflitto tra adulti e ragazzi: i pantaloni strappati o a cavallo basso o le magliette che scoprono la pancia diventano motivo di litigio, sfociano frequentemente in azioni punitive.

Incontro periodicamente una ragazza quindicenne, nell’ambito di una relazione educativa in risposta alle forti preoccupazioni dei suoi genitori. Non ci vediamo mai nel mio studio, ci incontriamo all’aperto, spesso passeggiamo o chiacchieriamo in un bar. All’inizio era molto diffidente nei miei confronti e l’ho potuta agganciare gradualmente evitando situazioni troppo formali. Si metteva frequentemente in pericolo; rincasava davvero troppo tardi per la sua giovane età, si vestiva per la discoteca con abiti molto succinti, cercava compagnie di ragazzi molto più grandi di lei. Il sabato sera ha iniziato a inviarmi messaggi whatsapp con le foto di se stessa vestita per la discoteca e dei suoi amici e compagni di serata. Ha compreso, dopo il nostro percorso insieme, che alcuni comportamenti possono metterla in pericolo. Mi manda le foto perché cerca tacitamente la mia approvazione. Mi informa sul dov’è, con chi, con quali abiti, perché ha compreso l’importanza di fidarsi e affidarsi. Quando ci incontriamo possiamo confrontarci sulla scelta degli amici e sul suo modo di abbigliarsi. Gradualmente riesco a giungere a compromessi e ad aiutarla a maturare una consapevolezza sul significato delle sue sfide.

Volontà di trasgredire e bisogno di essere protetti

Colgo la contraddizione, frequente nei ragazzi, tra la volontà di trasgredire e il bisogno di essere protetti dalle conseguenze delle loro azioni. 

Penso a quanto sia complicato per i genitori trovare un punto di mediazione e quanto sia pericoloso e talvolta inutile opporre un rifiuto netto alle richieste dei figli.

Credo sia opportuno, prima di tutto, mettersi in ascolto, non giungere al giudizio affrettato e al rifiuto categorico, ma tenere in considerazione che da quel rifiuto un figlio possa decidere di fare da solo, mettendosi in pericolo. Ciò non significa che si debba accettare tutto cadendo nel ricatto, ma riconoscere che questo tipo di richieste possano rappresentare bisogni importanti.

Un genitore può proporre di arrivare a un punto di mezzo: vestirsi in un certo modo quando si va a scuola evitando un abbigliamento poco adeguato, essere accompagnate da qualcuno di fidato quando si esce la sera, utilizzare tinte che si possano eliminare dopo alcuni lavaggi, scegliere un piccolo disegno da tatuare, scegliere insieme la posizione del piercing e impegnarsi a seguire tutte le procedure necessarie per la salute e la sicurezza del corpo.

Il punto di partenza, ritengo, è quello di evitare una posizione d’imperio e di elaborare il fatto che il corpo appartenga al figlio - ormai oltre la fase dell’infanzia – figlio che ha richieste apparentemente bizzarre o scapestrate, ma che nascono, invece, da dinamiche più profonde e dense di significato.

Appartenenza e separazione nella famiglia adottiva

Nella famiglia adottiva ascolto e dialogo possono assumere un valore ancor più rilevante.

Nei precedenti articoli abbiamo già affrontato il tema della ricerca di sé e delle possibili difficoltà di sentirsi appartenente alla famiglia e alla comunità per un adolescente con un background adottivo. In quest’ottica decorare il proprio corpo può considerarsi strettamente correlato con l’appropriazione della propria storia e della propria identità. In qualche modo può rappresentare il desiderio di sottolineare una diversità che si sente profondamente dentro.

Un ragazzo con background adottivo si è tatuato sul braccio la data del suo incontro con i genitori adottivi. Li ha lasciati spiazzati perché vive una fase della vita in famiglia fortemente conflittuale e caratterizzata da continui litigi e comportamenti oppositivi.

Eppure è all’incontro con loro che dedica il suo tatuaggio come a voler dire che cerca di allontanarsi da loro attraverso il conflitto, ma che al tempo stesso li ama e li considera saldo punto di riferimento.

Una ragazza mi spiega il significato del suo tatuaggio sul braccio: è un cuore contornato da un filo spinato che richiama al dolore provato nella sua prima infanzia, dolore che l’ha portata a proteggere il suo cuore, cercare di renderlo inaccessibile per non soffrire più.

Un ragazzo mi spiega che ha voluto imprimere sulla sua pelle il segno indelebile della sua storia adottiva: è un disegno che raffigura la morte e la rinascita. Mi dice che per molti ragazzi segnare la pelle rappresenta la prova di un’emozione o di una esperienza particolarmente forte e significativa: “il tatuaggio è la prova di aver vissuto intensamente” afferma con tono deciso e orgoglioso.

Un ragazzo dai tratti africani si liscia i capelli con la piastra. Mi viene in mente il film su Malcolm X dove gli attivisti contestavano ai giovani che si “lisciavano” i capelli di tradire la propria origine e la propria “razza”. Lui mi dice che si piace così. Penso che anch’io per anni mi sono tinta i capelli che iniziavano a crescere bianchi. Non voglio lasciarmi andare alle interpretazioni e mi attengo ad accompagnare e sostenere quel ragazzo nelle sue sperimentazioni. Magari contratto sulla tinta che lui vorrebbe arancione e che io suggerisco possa essere castano scuro con riflessi rossi. Non credo di aver avuto problemi con il mio invecchiare anche se mi tingevo i capelli e non so per certo se quel ragazzo abbia un problema con la sua origine, forse sta solo cercando un’immagine di sé che gli risulti gradevole. So che è importante ascoltarlo e restare al suo fianco e che insieme potremo trovare risposte talvolta inaspettate.

Se come adulti, educatori, genitori, riusciamo a modificare i nostri atteggiamenti rigidi rispetto ai canoni della bellezza e della compostezza, se cerchiamo di superare le nostre posizioni stereotipate e i nostri gusti personali, se evitiamo di trarre conclusioni e ci mettiamo in ascolto, forse possiamo aprire un dialogo sincero che ci consenta di cogliere i messaggi, quasi mai scontati, che gli adolescenti vogliono fare arrivare a noi e al mondo. Parlarne può essere una strada per accompagnarli nelle scelte, forse riuscendo così a giungere al giusto compromesso tra le istanze protettive e le rivendicazioni della crescita.

 

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Data di pubblicazione: 
Mercoledì, Dicembre 7, 2022

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