Autore: 
Raffaella Ceci

Il nostro primo viaggio in Nepal l’abbiamo fatto da turisti, nella settimana a cavallo di Capodanno.
In attesa dell’abbinamento avevamo letto tutto ciò che si trovava su Internet sul Nepal e casualmente abbiamo trovato un forum in cui una ragazza toscana parlava di una guida nepalese che conosceva bene l’ italiano. Siamo riusciti ad ottenere l’indirizzo email dell’amico, Raji: lo abbiamo contattato ed è iniziata l’avventura.
Quando siamo arrivati all’aeroporto e siamo stati assaliti da un gruppo di taxisti, abbiamo passato due controlli con militari
armati e ci siamo avviati verso Kathmandu. La sensazione provata è stata strana: avremmo voluto già poter vedere tutto, immagazzinare per il prossimo viaggio, per il futuro, ma la luce giallognola dei lampioni non ci ha permesso inizialmente di vedere molto. Ci siamo stupiti delle salite e discese infinite. Il primo vero e proprio impatto visivo con la zona abitata è stato devastante: sembra una città sopravvissuta ad una guerra, con macerie accantonate agli angoli e in mezzo alle strade, in parte non asfaltate, con buche anche profonde.
Poi per magia si gira nel quartiere Thamel e ci si ritrova nelle solite vie asfaltate di una qualsiasi città.
L'indomani la nostra guida camminava con passo spedito e intanto ci raccontava. Noi abbiamo cercato di catturare tutto con la macchina fotografica: le vie di Thamel, quartiere turistico affollato pieno di alberghi e negozi a livello stradale, con l’ingresso protetto da qualche gradino perché non ci sono marciapiedi (a Kathmandu ci sono i monsoni!).
Non ci sono strade a senso unico, tranne rare eccezioni; in generale ci sono le strade dove le auto riescono a passare e quelle dove non ci passano.
Ovunque circolano le moto, i risciò e le biciclette. Chiunque, indipendentemente dal mezzo usato per spostarsi, si sente autorizzato a fermarsi in mezzo alla strada a salutare chi incontra: conseguenza di ciò è che i conducenti delle auto suonano il clacson ed urlano contro le altre auto, le moto, i risciò, le bici ed i pedoni, i conducenti delle moto suonano ed urlano contro le altre moto, i risciò, le bici ed i pedoni e cosi via, in ordine “gerarchico” discendente, reclamando il diritto a passare prima degli altri. E’ buffo, lì dopo un po’ ti ci abitui; quando siamo rientrati in Italia ci sembrava di passare in strade quasi silenziose.
A Thamel si trova qualsiasi cosa; basta cercare. Ci sono mille insegne, luminose e non, che pubblicizzano gli articoli in caratteri non sempre da noi leggibili. Ci siamo tornati più volte, anche nel viaggio per l’adozione, e abbiamo comperato di tutto: magliette con gli occhi del Buddha, stoffe, pantaloni, gonne, borse, collane, orecchini, pantofole, the, spezie, un borsone per portare a casa ciò che avevamo comprato…
Ad ogni angolo di strada c’è o un tempio induista, o uno stupa (tempio buddhista), o una statua di una divinità induista, le bandiere e le ruote di preghiera. Donne con gli abiti colorati che vendono mandarini o fiori appoggiate su teli nelle piazze o nei pochi slarghi agli incroci fra due strade…
Si resta incantati dalla bellezza, il colore e l’intensità dello sguardo del Buddha, che ti controlla dall’alto dello stupa nella piazzetta accanto.
Ed in questa atmosfera da favola, poi, ti cade l’occhio sulle case ancora in costruzione (o in parte distrutte ? Raji ci ha spiegato che in Nepal i mattoni sono molto cari, quindi vengono riutilizzati gli stessi mattoni della casa che viene abbattuta, poi le donne si siedono in strada e puliscono con scalpellino i mattoni per poterli riutilizzare….neppure tornando al viaggio successivo siamo riusciti a capire se quelle case le stavano ancora distruggendo o ricostruendo), e poi i cavi elettrici che si annodano e si ritorcono attorno ai pali, in contraddizione con le più elementari leggi del buon senso ma anche della fisica: elettromagnetismo e forza gravitazionale probabilmente a Kathmandu funzionano diversamente!
Abbiamo anche incontrato un Buddha Dental Shop, con un paio di vetrinette piene di dentiere in bella mostra, nonché un vassoio con tutti i denti estratti ai clienti fino a quel giorno. Ci hanno spiegato che il numero di denti era una garanzia sulla bravura del “dentista”.
Poco più avanti (appesa al muro a circa un metro e mezzo da terra) una specie di scultura con centinaia di monetine inchiodate al suo esterno con lo spazio per posizionare lumini: è per coloro che non possono permettersi il “dentista” ed hanno mal di denti: pare sia sufficiente inchiodare il soldino e pregare gli dei accendendo un lumino per non soffrire più.
Già, la religione.. noi non siamo molto religiosi, ma un po’ di anni fa per oratori ci bazzicavo: mai visto persone credenti e fedeli come in Nepal ! Raji ci ha accompagnati in un luogo sacro induista: la strada, in discesa, che porta al tempio; sui bordi della strada bancarelle con collane di fiori secchi gialli o rossi (colori delle benedizioni), di polveri gialle e rosse, di frutta, di galline e capre vive. Una coda di persone ferme sui gradini; la coda continuava per almeno 300 metri, in discesa verso il tempio: si trattava di fedeli venuti a fare offerte agli dei. Ci ha spiegato Raji che si fanno le offerte per fare delle richieste oppure per ringraziare gli dei di quanto di positivo può essere accaduto, per esempio per la guarigione da una malattia o per la nascita di un figlio. I fedeli erano in coda, scalzi, con le offerte in mano, e pregavano o cantavano nenie tutti in coro; i primi venti/trenta della fila erano in piedi sull’ultimo tratto di percorso prima del tempio, i piedi sporchi di sangue, perché nel tempio (che comunque non era chiuso, quindi il tutto avveniva alla vista di tutti) venivano sgozzati gli animali, poi tagliate di netto le teste che rimanevano in pagamento agli sgozzatori (carica particolarmente importante, ci spiegava Raji, e tramandata di padre in figlio) e restituiti gli animali grondanti sangue ai proprietari, che poi risalivano in parte il sentiero e si fermavano a cuocere la loro offerta su varie griglie messe lì a disposizione. Nel frattempo gli altri parenti (che non erano in coda per l’offerta) preparavano il fuoco e camminavano avanti e indietro lungo i muri perimetrali del tempio, dove c’erano delle campane e dei cimbali che venivano suonati per richiamare l’attenzione degli dei sul fatto che loro erano lì a pregare. C’erano poi dei suonatori vicino al tempio, quindi musica, nenie, trambusto degli animali, campane, cimbali, urla eccitate di chi era arrivato al tempio e stava per sacrificare il proprio animale, odore di sangue, di bruciato, fedeli concentrati nelle preghiere, con l’abito della festa, bambini splendidi con abiti colorati e gli occhi truccati col kajal (utilizzato come disinfettante, contro le malattie e gli insetti).. se ne esce storditi, ma coinvolti, poi pensi al tuo mondo così diverso, così volto al consumismo, dove credevi di avere tutto e ti accorgi di avere ben poco.
Siamo stati in un luogo dove insegnano ai bambini (intorno ai 7/8 anni, scelti e prelevati dalle famiglie per crescere lì con il Brahmino capo) a diventare Brahmini in futuro; siamo stati a Pashupatinath, luogo di cremazioni alla periferia di Kathmandu. Anche qui ci ha colpito la dignità delle persone, la convinzione di non dover piangere i loro cari, perché li stavano accompagnando in un posto migliore. Agli uomini appartenenti alla famiglia in lutto, vengono tagliati i capelli a zero, lasciando un ciuffetto in mezzo alla testa. La stessa sorte tocca alla moglie nel caso di morte del marito. I capelli poi vanno regolarmente tagliati, perché non ricrescano per un anno. Le famiglie più abbienti possono acquistare legna nuova da utilizzare sulla tavola della cremazione, le famiglie povere acquistano ceppi già utilizzati e raccolti dentro al fiumiciattolo in cui vengono rovesciate le ceneri ed i resti della cremazione. A raccoglierli un padre con i suoi figli, bambinetti scalzi, dentro a quell’acqua sporca.
Siamo stati benedetti da un santone con una tika (impiastro rosso o giallo che viene appiccicato in fronte, a dimostrazione del fatto che uno si è presentato al tempio a pregare), poi il santone ha richiamato indietro mio marito e gli ha messo una collana di fiori secchi al collo. Raji ci ha detto che era di buon auspicio, così usciti dal tempio, siamo andati ad acquistare un
braccialetto di 22 perle lavorate in legno, infilate su elastico, per pregare per il nostro futuro figlio era il primo gennaio.
Abbiamo visitato paesini della valle di Kathmandu, sempre controllati dai militari (posti di blocco- mitra in spalla, soprattutto sulle strade che portano alle montagne, dove allora si nascondevano i maoisti). Strade dissestate, sulle quali si dovevano superare pulmini sovraffollati con persone anche sul tetto del veicolo, che procedevano a pochi chilometri all’ora, o bufali che trasportavano ceste stracolme; una volta abbiamo incrociato anche un elefante. Sembrava di volare nel tempo, di tornare a più di un secolo fa, case di argilla e sassi, rigagnolo di scolo che passava davanti alla porta, donne che si lavavano alla fontana e che lavavano i panni, donne sedute in terra su stuoie intessute da loro stesse, che pulivano riso, semi, aglio, i bambini piccoli legati sulla schiena, quelli più grandi che giocavano fra i templi.
Mamma mia, quanti bambini abbiamo visto ! In gruppetti di tre o quattro per volta, pronti a sorriderti e salutarti per una biro o qualche caramella. Tutti di una bellezza sfolgorante, anche se sporchi e con gli abiti stracciati.
Abbiamo visitato una scuola di campagna, ci hanno fatto vedere la classe dei piccoli: una cinquantina di bimbetti fra i 3 ed i 5 anni assiepati in tre file di banchi, con quadernetto e matita in mano, sorrisi sdentati splendenti di gioia e curiosità per questi stranieri che si intrufolavano nella loro classe.
Siamo tornati a casa più ricchi, felici che nostro figlio ci avrebbe riportato in Nepal, che ce lo avrebbe ricordato sempre nei suoi occhi, nel suo viso, che saremmo sempre stati legati a questo meraviglioso paese per tutta la vita. Il 22 gennaio di quell’anno ci ha telefonato la psicologa dell’ente per l’abbinamento ed il 3 febbraio abbiamo ri-volato a Kathmandu per incontrare nostro figlio.

Data di pubblicazione: 
Domenica, Ottobre 21, 2007

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