Autore: 
Simone Berti

Da molto, troppo tempo il mondo dell'adozione non se la passa bene. Solitamente lo si esprime esclusivamente riportando i dati che sottolineano l'ormai inarrestabile calo delle adozioni internazionali e che nelle ultime rilevazioni evidenziano un vero e proprio crollo numerico in quasi tutta la nazione. Ma sono cifre che si limitano a guardare il fenomeno esclusivamente in questa prospettiva. Questi dati non riescono a restituirci la reale problematicità e criticità delle adozioni realizzate, le difficoltà dei ragazzi che crescono e delle loro famiglie per lo più lasciate sole lungo tutto il complesso e difficile percorso che si trovano ad intraprendere. Proprio per questo è diventato urgente che si guardi con sincerità e senza paura alle difficoltà che crescono nel mondo adottivo e se ne possa riconoscere fino in fondo quali sianoi reali bisogni. Mancano parole e pensieri all'adozione. Parole che possano restituirne un ritratto realistico con la sua complessità fatta di chiari e scuri e pensieri che possano tenere in vita una riflessione necessaria e non rinviabile.

Raccontare l'adozione significa anche non temere di denunciare il progressivo e inesorabile calo di sostegno a fronte di un deciso aumento di costi e difficoltà. Le famiglie che adottano negli ultimi anni sono portate a fare spesso scelte ancora più complesse che negli anni precedenti. Di fronte a un aumento progressivo delle situazioni di bisogno sembrano al momento svaniti nel nulla i nuovi fondi per le adozioni, a più riprese promessi e a volte pubblicamente dichiarati o stabiliti e addirittura si fa fatica a mantenere il fondo adozioni stabilito alcuni anni fa. Lo stato dovrebbe guardare all'adozione anche come uno strumento sociale sapendo che per molti minori senza una famiglia resta l'unica possibilità di esercitare un diritto fondamentale ma questo aspetto, seppur dichiarato, nei fatti appare sempre più dimenticato se non misconosciuto.

Anche in una politica che dichiara apertamente di favorire la direzione delle pari opportunità si può constatare come vi siano tra pari opportunità quelle che come ritorno forse sono più redditizie e vengono favorite. Altrimenti resta difficile spiegare alcune scelte che lasciano il mondo adottivo agli ultimi posti nella distribuzione delle risorse e sempre più solo, dimenticato.

Perché i bisogni vengano realmente riconosciuti vanno capiti nella loro realtà equindi servirebbero dei dati che possano narrare l'entità del disagio.  Questi dati non vengono raccolti o non vengono dichiarati esplicitamente. Evidentemente non interessa farlo. Perché? Forse perché manca un progetto reale, concreto che voglia servire da sostegno alle famiglie adottive e incontrarne le necessità più urgenti.

Raccontare dell'adozione, parlarne, sembra non essere facile quando si tratta di ritrarre una famiglia nella sua quotidianità. Anche nella letteratura o nella finzione cinematografica, eccetto pochissimi casi, sembra che l'orfano sia in grado di attirare l'attenzione fino a che deve affrontare le sofferenze e le privazioni legato al suo status, ma non lo si riesce più a raccontare quando trova dei genitori adottivi e porta le sue complessità e le sue specificità in una famiglia come le altre. Casomai lo ritroviamo di nuovo rappresentato quando diventa nodo drammatico della narrazione il ritorno o la ricerca del genitore biologico.

Questa difficoltà a trovare una parola, un discorso, una riflessione autentica sul mondo adottivo e sulle difficoltà che lo attraversano risuona ancora più forte di fronte alle numerose parole inutili o vuote con cui la nostra stampa riesce a dare la peggiore rappresentazione di sé. Quando intorno a un avvenimento drammatico si passa sui dolori rincorrendo soluzioni facili e banali in cui ogni sofferenza è confusa e mischiata ed emergono solo le solite etichette incaricate di mettere ordine e rassicurare. Un'etichetta vale l'altra, parole vuote, interscambiabili. Parole violente.

Parole che travolgono la sofferenza delle famiglie, delle madri, dei padri, deifratelli e delle sorelle, parole che calpestano la profonda fragilità di ragazzi che arrivano all'adolescenza con storie marcate da interruzioni e frammentazioni. Allora il disagio diventa in maniera cruda fatto di cronaca e si riportano orrori quotidiani a uso e consumo di una platea di lettori che si suppone interessata pruriginosamente agli aspetti più sensazionalistici del male degli altri.

Recentemente abbiamo letto a più riprese una notizia in cui al suicidio di un giovane uomo si accompagnava ancora una volta il premeditato omicidio di una giovane donna vittima di quell'uomo debole, preda del suo rancore. Si parla anche di adozione  e di un forte disagio avvertito più volte e già manifestatosi.

Molte cose lasciano sgomenti in questa terribile storia e soprattutto colpisce la consapevolezza che a volte conoscere i problemi ed affrontarli (nel modo giustoo sbagliato... chi può dirlo?) non porta come conseguenza implicita una soluzione accettabile. Ma altrettanto colpisce la brutalità con la quale al dovere dicronaca e alla rivelazione della sua premeditazione si è arrivati a pubblicare il delirio di parole che accompagnano e precedono quel gesto. Un delirio strappato a una lettera che doveva restare privata ed invece esibito, ridotto in frammenti  accompagnati da commenti banali. Il tutto risulta essere per lo meno di un'inutilità disarmante ma anche di una estrema violenza nei confronti di coloro la cui vita risulterà essere irrimediabilmente travolta.

Come avrete notato questo numero esce con un discreto ritardo. Piccoli inconvenienti di un giornale che è fatto tutto con il lavoro di pochi volontari. Vogliate scusarci.

Data di pubblicazione: 
Martedì, Ottobre 21, 2014

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