Autore: 
Anna Guerrieri

Leggo di adozione da più di dodici anni, da prima di incontrare il mio primo figlio. Ne leggo da quando ho deciso in cuor mio di adottare. Ne ho letto durante il percorso con i servizi. Ne ho letto aspettando il mio primo bambino. Ne ho letto dopo, cercando di decifrare lui anche attraverso le pagine scritte da altri. Ne ho letto per capire me stessa e quel che mi stava accadendo. Ho continuato a leggerne dopo, e ho cominciato a scriverne io stessa. Ho cominciato a raccontare di me e soprattutto ad ascoltare le storie degli altri. Sono entrata in Genitori si diventa soprattutto per questo, perché mio figlio e mia figlia mi hanno costretta a capire chi ero io e cosa era la società che vivevo. Mi hanno cambiata e mi hanno portata a cercare di cambiare un poco anche il mondo intorno a me.

In tutti questi anni, quasi mai ho trovato una risposta concreta e sincera a quel che mi accadeva come madre. Mi sono chiesta se non fosse soprattutto una cosa dovuta a me, alla storia della mia famiglia. Magari ero io ad aver reagito in maniera piuttosto scomposta all'adozione dei miei figli. Forse non ero pronta, ero impreparata. Oppure era andata così ed avevo trovato io dei figli piuttosto "intensi". Me lo sono chiesta tante volte se non fosse una cosa solo mia, ma non credo che sia così. Quello che ho scoperto frequentando tante famiglie adottive è che l'adozione è sempre complessa, intensa, travolgente e porta con sé gioia splendente come anche dolori acuti. Ho scoperto di non essere "sola".  Ed ho anche scoperto che tante, troppe famiglie anno dopo anno si sentivano "sole". Tante credevano di essere uniche nei propri affanni. Spesso li minimizzavano per giusto pudore. Lo stesso pudore che sentivo anche io e che mi impediva di dire: "A volte essere una madre adottiva è maledettamente difficile per come siamo noi stesse, per come sono i nostri figli e per come è questo accidenti di mondo in cui viviamo!"

Ho visto come i genitori adottivi si rifugiassero nei forum dedicati (io stessa ho scritto a lungo e su più di un forum), vedo come scrivano ora anche cose intime di se stessi nei gruppi di Facebook. Ad un video si sussurrano più facilmente infelicità e disagi. Più facilmente si trovano le parole per ammetterle e per proteggersene immediatamente dopo.

Sono stata, su invito, a Convegni per addetti ai lavori. Mi sono anche sentita come la "cavia da esperimenti" che ascoltava di soppiatto quello che si pensava delle cavie come lei. Ho sentito parlare di "famiglie" in modo spesso astratto, lontano dalla realtà, quella vera che vivevo io ogni giorno. Ascoltavo delle cose che talvolta mi parevano così assurdamente distanti dalle necessità forti di tanti da restarne costernata. Quando si parlava dell'adozione internazionale e delle sue storie nei paesi di origine dei bambini ho a volte dovuto alzarmi ed allontanarmi un poco, tanto forte era lo "scollamento".

Semplicemente sentivo che mancava qualcosa. Qualcosa che scorgevo altrove, nei gruppi di mutuo aiuto della mia associazione, nelle conversazioni e nelle riflessioni tra genitori, in alcune pagine di libri, in alcuni materiali francesi, americani, inglesi, norvegesi che mi capitavano tra le mani. Materiali in cui non ci si nascondeva dietro ipocrisie, dove le difficoltà erano descritte "nero su bianco", dove le crisi di rabbia non venivano addolcite da parole sfumate, dove le fughe, i furti, le trasgressioni di ragazzi e ragazze erano declinati con chiarezza, dove ai genitori si dicevano delle cose concrete e interessanti, sulla tenuta in famiglia, sui disturbi di apprendimento, sul crescere dei figli "special needs", sul razzismo e sul come potesse avere senso reagire senza vittimizzare i figli, sulla ricerca dei genitori biologici e soprattutto sul convivere con il pensiero di questi altri genitori. Trovavo in questi materiali chiavi di lettura, indicazioni significative, storie. Trovavo parole sincere.

Ecco per me, nel nostro paese, continuiamo ancora troppo a mancare di concretezza. Continuiamo a tessere attorno all'adozione il mantello del "grande gesto d'amore e d'altruismo" finendo per ignorarne la realtà. Realtà che non è affatto cupa o spaventosa, ma che è complessa, intensa, talvolta francamente difficoltosa. Credo che l'adozione sia complicata per tutti: per chi ci lavora, per chi la fa. E' soprattutto complicata per chi adottato lo è per davvero, i nostri figli.

E noi lo dobbiamo ai nostri figli, glielo dobbiamo tutto il nostro impegno per rendere più accogliente, più solido il loro nuovo mondo. Glielo dobbiamo perché loro si meritano di crescere forti, amati, stimati, guardati, voluti. Per farlo serve aiutare i genitori, star vicini ai loro genitori. Sarei felice se con le pagine di questo Notiziario fossimo in grado di riempire un poco di questa assenza, non credo che ci si stia riuscendo ancora, ma la scommessa è questa e il cammino è lungo. Ecco sarei felice, alla fine, di poter dire che assieme abbiamo contribuito a riempire un pochino di "quel che manca".

Data di pubblicazione: 
Lunedì, Ottobre 17, 2011

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