Autore: 
Monica Nobile – pedagogista, tutor dell’apprendimento, counselor.

Genitori si Diventa occupa da molti anni uno spazio caldo nel mio cuore.

È un’associazione nazionale tra famiglie adottive, un importante punto di riferimento, ha il grande merito di aver costruito, in tanti anni, cultura dell’adozione.

Partecipare all’assemblea che ogni anno l’associazione organizza è un’emozione grande. Comincio a sentire lo sfrigolio nella pancia già in treno e penso a tutte le volte che andarci mi ha regalato abbracci, calore, condivisione e sempre risate. Quest’ultima assemblea è stata speciale. Dopo tre anni di chiusura, a causa della pandemia, ho respirato il desiderio più forte che mai di stare insieme. Tante, tante persone. E poi i bambini, di tutti i colori e di tutte le taglie, belli e trotterellanti. Tenerezza, vicinanza, affetto.

Nel mio percorso Genitori si Diventa è stata preziosa opportunità di crescita e arricchimento, personale e professionale. Nei tre giorni di assemblea abbiamo respirato il sentimento di appartenenza e ne siamo usciti arricchiti e grati.

A me è stato affidato il privilegio di stare con le ragazze e i ragazzi, una quarantina in tutto, una piccola folla. Cercherò di raccontare le emozioni e le riflessioni che mi hanno regalato. Mi sono dedicata a quelli che avevano dai dodici agli oltre vent’anni, talvolta semplicemente chiacchierando, altre volte incontrandoli durante le attività che ho proposto, nel corso delle tre intense giornate in cui siamo stati insieme.

Quando i ragazzi mi affidano le loro confidenze prometto sempre di custodirle; il mio patto è di coinvolgere i loro genitori solo e soltanto se si trovassero in una situazione di pericolo. Potrò quindi raccontare come sono stata con loro, cosa abbiamo fatto insieme e le loro riflessioni durante le attività che ho proposto. Solo quelle che abbiamo concordato di condividere con gli adulti, stabilendo insieme che sarebbe stato importante raccontare il loro punto di vista.

Per prendere confidenza con loro e dare modo di conoscerci un po’, ho attivato una ventina di giorni prima una chat, partendo dalla semplice richiesta di organizzarci, per portare qualcosa da mangiare e da bere quando saremo stati insieme. È stata una prima occasione di conoscere le loro aspettative: in tanti avevano soprattutto il desiderio di fare nuove amicizie, qualcuno ha chiesto se c’erano solo attività obbligatorie o se si poteva invece stare liberi, c’è stato chi si è sincerato che ci fosse un pallone con cui giocare insieme, chi ha chiesto che tutti portassero le caramelle, chi si è interessato ai gusti musicali degli altri, chi si è presentato con il proprio nome e poi, immagino, ha partecipato senza intervenire. La chat è rimasta aperta anche dopo l’assemblea e alcuni di loro stanno scrivendo per sapere quando e dove sarà il prossimo appuntamento. 

Quando finalmente ci siamo incontrati c’era chi ronzava intorno, chi in cinque minuti ha fatto amicizia, chi ha riabbracciato amiche e amici che già aveva conosciuto.

Tutti, in ogni caso, mi hanno guardata con sospetto. Certo, ero un’adulta e, dal loro punto di vista adolescente, una potenziale guastafeste.

Mi sono guadagnata tre buoni punti quando ho contrattato con i camerieri la disposizione dei tavoli, affinché i ragazzi potessero stare insieme e lontani dagli adulti, ma uno me lo sono subito perso quando ho fatto togliere le bottiglie di vino. Non credo che desiderassero particolarmente bere alcolici, ma mi hanno vista come una che non si fida di loro e, quasi sicuramente, hanno pensato che erano grandi e che non avevano certo bisogno di me a far loro da baby sitter.

Mi sono guadagnata almeno altri due punti quando ho chiesto che una stanza fosse riservata a loro, invitando gli adulti presenti ad andare altrove. Il bisogno di stare tra pari è importante e ritengo che in quest’epoca la presenza degli adulti ovunque e comunque sia assillante. Già gli spazi che dovrebbero essere dedicati ai bambini, sono spesso ingiustificatamente invasi dagli adulti, comprendo che per i ragazzi questa presenza diventi davvero eccessiva.

Durante tre giorni di raduno tra famiglie, è facile che i genitori invadano ogni spazio. Eravamo circa trecentocinquanta! Non c’è stato solo dibattito e riflessione all’interno di una sala, è stata un’occasione per stare insieme, nel parco, in ogni saletta, a pranzo, a cena, al bar. I grandi chiacchieravano dappertutto, come è bello che sia, ma i ragazzi avevano bisogno di un loro spazio off limits agli adulti. Un po’ come quando si chiudono nella loro camera, spesso affiggono cartelli con divieto d’accesso, chiedono di essere riconosciuti nella loro crescita e nella loro esigenza di indipendenza. Qualche volta guardavano anche me come adulta di troppo e in quei casi capivo fosse importante lasciarli soli.

Quando mi allontanavo e me ne stavo seduta sulla panchina del parco, dopo un po’ arrivavano in ordine sparso, mi stavano intorno senza apparente motivo, attaccavano discorso. Credo sia così tante volte con gli adolescenti, devono essere loro a decidere di cercarti, possono avere bisogno dell’adulto, ma devono avere la possibilità di stabilire loro il come e il quando cercarlo.

Il venerdì sera è quindi andato così, mi sono presentata, ho proposto qualche gioco, soprattutto sono stata ad osservarli a distanza, nel parco, mentre giocavano, chiacchieravano, capivano anche loro come collocarsi in una situazione tutta da scoprire.

Avevo organizzato due gruppi distinti secondo le fasce di età, uno fino ai quattordici anni e uno dai quattordici in poi. Alcuni portavoce tra i più giovani, attratti dai più grandi, mi hanno chiesto di stare tutti insieme. Ho accolto la loro richiesta, pur vedendoli poi, nel corso delle tre giornate, desiderosi di ritrovarsi tra coetanei e un po’ affaticati dal dover reggere il confronto con quelli più grandi. È l’età in cui si vuole crescere in fretta, c’è bisogno di mostrarsi all’altezza, timore di apparire infantili. È il loro andirivieni da un’età all’altra che, penso, dobbiamo comprendere rimanendo pronti ad offrire loro uno spazio sicuro quando si sentono disorientati e desiderosi di fare un passo indietro.

Il sabato mattina ho proposto loro un gioco, a ciascuno ho consegnato una specie di fiore con un cerchio nel mezzo e cinque cerchi intorno. Ho chiesto che ognuno mettesse nel cerchio in centro il proprio soprannome, o un’immagine, o un semplice segno con cui distinguersi. Ho chiesto poi che nei cerchi intorno scrivessero, con una parola o una brevissima frase, qualcosa di importante del loro modo di essere: i loro gusti, le loro abitudini, indicazioni a loro scelta con cui si volevano descrivere. Quando tutti hanno finito ho disposto un tabellone: potevano guardare cosa c’era scritto nei cerchi degli altri e poi disporre il proprio fiore, in modo che cerchi contenenti parole secondo loro analoghe, attinenti, corrispondenti, si toccassero.

Così si sono incontrate tante timidezze, tanti amanti del sonno, qualche nervoso, qualche solare, molti mangioni. La scuola ricorreva in molti cerchi: chi andava bene, chi male, chi la odiava, chi non vedeva l’ora che finisse.

Il cerchio con "odio la scuola e preferisco l’amore" ha riscosso notevole successo, in tanti hanno voluto agganciarsi e l’autore ne è stato visibilmente gratificato. Si sono riconosciuti vicini anche attraverso i gusti musicali, i cibi preferiti, un amante della carne si è tenuto alla larga da una vegetariana. Chi all’inizio non voleva partecipare si è incuriosito, si è dapprima divertito a guardare gli altri, senza darlo a vedere, ma poi quasi tutti, alla fine, hanno ceduto e si sono aggregati. Mi è piaciuto vederli diventare un po’ più amici, un po’ più disposti a conoscere e a farsi conoscere.

Ho pensato fosse fondamentale non essere in alcun modo investigativa, ho evitato consegne categoriche come definisci il tuo carattere, o descrivi una tua emozione importante. Chi preferiva rivelarsi solo un po’ poteva scrivere del suo animale domestico e così un cane si è agganciato a un gatto. Mi ha fatto sorridere che qualcuno abbia scritto il nome di una serie televisiva e qualcun altro abbia scelto di agganciarsi con patatine.

Spesso ho scritto dell’importanza dell’ascolto e mai come in queste occasioni, verifico che quando noi adulti sappiamo starcene un po’ in disparte, i ragazzi dimostrano di avere un mondo di cose da raccontare.

Al pomeriggio, in una seconda attività, ho chiesto ai ragazzi e alle ragazze che dicessero tutto ciò che veniva loro in mente in risposta alla frase: "siamo qui insieme all’assemblea di genitori si diventa". Ecco le loro parole:

curiosità; coraggio di fare amicizia; voglia di conoscersi; siamo stati tutti abbandonati; fra di noi non ci giudichiamo; la gente non capisce; chissà se resteremo in contatto; l’adozione fa parte della nostra storia; non ci sono solo cose negative ma anche emozioni che ti riempiono il cuore e ti fanno stare bene; per avere coraggio bisogna passare per la paura; famiglia/famiglie... solo qui mi ricordo di essere stato adottato.

Quest’ultima frase colpisce tutti e ce ne stiamo un attimo in silenzio. Solo qui mi ricordo di essere stato adottato. Si forma un capannello, borbottano qualcosa tra di loro, qualcuno ridacchia. E poi un ragazzo se ne esce con potremmo chiedere all’assemblea se si possano invitare anche i non adottati. La proposta ha raccolto il consenso di molti altri. Forse hanno pensato si sta così bene qui, sarebbe bello far conoscere GSD a tutti gli altri.

Sono stati poi capaci di disegnare le parole che avevano detto e creare un’opera collettiva, così densa di particolari che ci ho messo un bel po’ a cogliere nella sua ricchezza. 

Alla sera, l’associazione aveva organizzato per loro, nella sala dell’albergo, una discoteca. Ho consegnato a ciascuno una candela, un po’ per creare atmosfera sui tavoli, un po’ perché accendendola si poteva dire qualcosa ad un amico o al gruppo. La maggior parte di loro si è commossa, chi con parole di amicizia, chi in silenzio e con occhi felici, chi con un impacciato ti voglio bene. C’è stato anche chi ha voluto uscire dall’imbarazzo con uno spero che moriate ma nessuno gli ha creduto e a lui stesso è venuto da ridere. Succede che i ragazzi se ne escano con frasi infelici, può essere che dietro ci sia uno stato d’animo che vogliono nascondere. Spesso sanno sbrigarsela tra loro, sanno capire quando non si tratta di parole offensive, ma di fatica a esprimere emozioni intense.

Straordinario come siano riusciti in due giorni a sapersi riconoscere e a diventare gruppo, ciascuno con il proprio passo e il proprio modo di stare. 

La mattina seguente si è svolto l’incontro finale dell’assemblea. Ho raccontato ai partecipanti l’ipotesi emersa durante le attività potremmo invitare i non adottati, chiedendo che fosse per tutti noi occasione di riflessione.

Vorrei tenere aperto un dialogo su questa esperienza, credo sia importante ascoltare i ragazzi; talvolta la loro prospettiva riesce a sollecitare in noi un movimento creativo.

L’associazionismo costituisce una risorsa preziosa. Consente di ritrovarsi, a partire da idee e esperienze comuni, all’interno di un gruppo di persone che condividono linguaggi e percorsi. Essere parte di una associazione rende ciascuno più forte, attraverso il senso dell’appartenenza e della possibilità di un agire comune. Penso che proprio questa forza permetta di confrontarsi all’esterno con maggiore sicurezza. 

Quanto più un gruppo acquisisce una sua identità definita, tanto più ha la possibilità di aprirsi ad altri gruppi e trarne ricchezza e occasione di crescita.

Ripenso all’esperienza importante di "educAzioni", un progetto durato diversi anni che proponeva il confronto e la riflessione sui temi dell’educazione e della genitorialità. Era nato dal desiderio di un gruppo di genitori, quasi tutti membri di associazioni di familiari adottivi, di aprirsi al dialogo con gli altri genitori, quelli biologici, e di trovare possibili occasioni di scambio e di crescita comune.

Sono nati così gruppi in molti territori del Veneto, che organizzavano incontri e percorsi su tematiche educative. Nell’ambito di questo progetto proponevo temi assolutamente trasversali: il rapporto con gli schermi e il cellulare; l’educazione all’affettività e alla sessualità; l’orientamento scolastico... L’obiettivo era quello di aprire il confronto tra molti tipi di famiglie, all’interno di un percorso che potesse essere costruttivo e arricchente.

Mettere insieme tanti tipi di genitorialità non è stato sempre semplice; l’ago della bilancia tendeva a pendere da una parte o dall’altra. Quando si è molto concentrati sulla propria particolare esperienza, può essere più faticoso condividere con altri, portatori di altre storie, riflessioni comuni sulla crescita dei figli.

Penso che i genitori adottivi, nelle fasi delicate e complesse del loro percorso familiare, abbiano il giusto bisogno di ritrovarsi tra loro. Molte volte è così difficile spiegare l’esperienza adottiva che si sente la necessità di stare insieme a chi questa esperienza l’ha vissuta e sa di cosa si tratta. Tuttavia la possibilità di allargare il cerchio consente non solo di riflettere sui temi educativi in una prospettiva più allargata, ma anche di trarre insegnamento dalla molteplicità delle esperienze.

Credo che solo a partire da uno spazio di confronto e di scambio che sa aprirsi a tanti tipi di adultità, possiamo davvero rendere possibile la comunità educante, inclusiva, accogliente, tutelante, generosa e creativa.

I ragazzi che hanno partecipato all’assemblea mi hanno mostrato il loro piacere - e in molti casi anche il loro bisogno - di ritrovarsi tra loro e di riconoscersi attraverso una importante esperienza comune.

Qui non ci sentiamo giudicati hanno affermato. Credo che abbiano tratto benessere dalla possibilità di trascorrere del tempo insieme ad altre persone che hanno vissuto tutte una particolare e fondamentale esperienza. Credo anche che si siano raccontati nella pienezza e nella interezza delle loro vite: studiare, ascoltare musica, innamorarsi, giocare...

L’adozione è una condizione esistenziale, penso, ma non può essere il tratto esclusivo che connota l’intero arco della vita. Un ragazzo che ha partecipato all’assemblea, mi ha salutata prima di partire e mi ha detto questa è l’ultima volta, per me si apre un altro capitolo.

Ho guardato il ragazzo che ha affermato solo qui mi ricordo di essere adottato stare bene con gli altri, a suo agio. Si può parlare, penso, della propria adozione e di tanto altro: gli amici, lo sport, la scuola, una storiella...

Quei ragazzi ci ricordano che ritrovarsi in un vissuto comune non esclude, per fortuna, la possibilità di aprirsi a tante altre, ottime occasioni di crescita. Ascoltarli aiuta anche noi a restare aperti.

Grazie ai bambini e ai ragazzi che sempre ci insegnano.


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Data di pubblicazione: 
Martedì, Maggio 30, 2023

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