Autore: 
Daniela Lupo

Non si può dire che non ce l’avessero detto: puoi sapere l’età di tuo figlio, puoi immaginare di togliere strategicamente una o due taglie ai vestiti che comprerai per lui e forse ci azzeccherai, ma le scarpe, lì non puoi preventivare, congetturare, qualsiasi previsione fallirà miseramente.

Increduli acquistammo vestiti, calzini, scarpe per un bimbo di tre anni (la sua età effettiva) e per un bimbo più piccolo di un anno. Riempimmo una valigia di vestitini di due taglie differenti e inserimmo due paia scarpe, un paio più piccolo e uno più grande. Ricordo il nostro imbarazzo di fronte alla commessa del negozio che non aveva nascosto il suo disappunto di fronte a due genitori sprovveduti e distratti che non conoscevano l’esatto numero di scarpe del proprio figlio e che soprattutto preferivano comprare scarpe di due taglie differenti piuttosto che portare in negozio il proprio figlio e provargliele. Ma non poteva sapere né avevamo voglia di spiegare.

In valigia mettemmo anche un orsacchiotto morbido e minuto, del tutto simile a quello che avevamo portato la prima volta, durante il primo viaggio e che avevamo ingenuamente donato e affidato al nostro bambino, come promessa del nostro ritorno, e che già al secondo viaggio non avevamo ritrovato più, un pupazzetto da stipare insieme a tutto il resto, sotto lo sguardo vigile e sospettoso della gatta che fino all’ultimo ci aveva sperato, ma che in quel momento vedeva svanire così il progetto di una valigia-cuccia tutta per lei.

Eppure lo avevamo tenuto in braccia quel bambino, ingolfato di vestiti troppo grandi, con giubbottini dai colori sgargianti in contrasto cromatico con i pantaloncini e le calzamaglie a costine.

Eppure lo avevamo stretto a noi e le dita erano affondate su strati di abitini a percepire un corpicino esile, un costato minuto e totalmente privo di grasso infantile. Era più piccolo rispetto ai suoi anni e sottopeso, era evidente.

Al terzo viaggio sarebbe diventato nostro figlio per lo Stato russo e per quello italiano e dunque, com’è prassi, in istituto ce lo consegnarono autorizzando la “vestizione”… Certo i vestiti che avevamo portato erano un po’ grandi, le magliette erano miniabiti e i pantaloni avevano bisogno di qualche svolta in più. Ma le scarpe? Era vero, con le scarpe non puoi abbozzare, sbaglierai sempre e di tanto. E dunque gli calzammo quelle scarpe-scialuppe, dove i suoi piedi si perdevano senza trovare appiglio.

Andammo in centro sulla strada pedonale di Nizhny Novgorod, che culminava trionfalmente con una terrazza sul maestoso Volga e lì trovammo quel che non ci saremmo mai aspettati di trovare in una città dell’Est, un enorme negozio Adidas dove entrammo a comprare delle occidentalissime scarpe da ginnastica della lunghezza corretta per quei piedini appena conosciuti ma già così profondamente nostri e cari.

Scarpe per correre e per camminare, finalmente giuste per Sasha che riempì di gridolini di gioia le ore di quel tardo pomeriggio in quella strada cittadina correndo e sfidandoci a rincorrerlo, fuggendo e ritrovando i nostri abbracci e così fino a sera.

Scarpine bianche con le strisce blu che presto diventarono grigie della polvere delle strade russe prive di asfalto, scarpine che ho pulito con cura, che presto sono diventate piccole, che non ho avuto voglia di dar via e che ancora ci raccontano di due adulti impacciati, di un bambino generoso e allegro, di una città maestosa e tetra insieme, affacciata sul Volga.


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Data di pubblicazione: 
Domenica, Maggio 14, 2023

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