Autore:
Monica Nobile - pedagogista, tutor dell’apprendimento, counselor
Ho provato, un po’ per gioco, a digitare su Google “genitori troppo” e mi ha travolta la quantità di affermazioni che sono uscite dalla ricerca. Ne riporto alcune, invitandovi a fare lo stesso gioco e a verificare cosa ne esce:
genitori troppo presenti e protettivi fanno male ai figli; quando i genitori fanno troppo per i figli; genitori troppo esigenti e crisi d’autostima; genitorialità ‘normale’ e patologica; genitori troppo presenti: la sindrome dell'eccesso di cura; ventuno cose che solo chi ha avuto genitori severi può capire; genitori troppo esigenti: quali conseguenze? genitori perfezionisti? Ecco cosa rischiano i figli; genitori troppo permissivi e figli infelici. Ecco quali errori evitare; genitori troppo amici dei figli; cinque caratteristiche dei genitori "dittatori “; genitori troppo invadenti; genitori troppo presenti nella vita scolastica dei figli, risvolti psicologici; comportamenti tipici dei genitori che causano problemi ai figli; chi sono i genitori tossici? i genitori possono rovinare la vita dei figli? genitori di oggi più infantili dei figli. Creano danni
Sempre gettonate le madri:
come si comporta una madre cattiva? come riconoscere una madre manipolatrice? come è una mamma narcisista? le madri si vestono come le figlie, imitano la loro gioventù; madri manipolatrici e gli effetti dell'amore tossico sui figli; mamme che amano troppo; tipologie di mamme e ripercussione in età adulta; gli uomini adulti che hanno una madre dispotica spesso hanno difficoltà a raggiungere la felicità e l'indipendenza. Vediamolo in dettaglio…
Credo che fare i genitori sia in assoluto l’attività più esposta al giudizio. Non l’attività professionale, né la carriera scolastica eguagliano – a mio avviso – la spesa di perle di saggezza investita dagli altri che guardano il nostro modo di allevare i figli.
Dai vicini di casa agli esperti in materia, dai passanti agli insegnanti, transitando per la cerchia di amici e conoscenti, tutte e tutti ci guardano, bisbigliano, affermano – talvolta con invidiabile sicurezza- quello che stiamo sbagliando e come dovremmo invece fare.
Si pubblicano decine di manuali con regole precise sul bravo genitore, sulle regole da seguire o ancor peggio sulle ricette per la riuscita educativa.
Spesso ho parlato e scritto sull’importanza della comunità educante, della quale tutti siamo chiamati a far parte. Partendo dal presupposto che bambini e ragazzi sono capitale sociale di cui avere molta cura e considerando la complessità della società in cui viviamo e mettiamo su famiglia.
Nessuno ce la fa da solo, penso. Ma siamo sicuri che impartire continue lezioni su cosa sia giusto o sbagliato, ammonire e far sorgere dubbi e sospetti sulle conseguenze del nostro agire, siamo sicuri soprattutto che questo continuo giudicare e instillare il senso di colpa possa giovare? Leggendo questi trattatelli sullo stile educativo migliore, diventiamo davvero più efficaci nella relazione con i figli?
Essere parte della comunità educante – a mio avviso – significa rendersi disponibili a un percorso di ricerca e riflessione comune, nella consapevolezza che nessuno di noi abbia le verità in tasca ma che ciascuno possa contribuire nella crescita. Certo, gli addetti ai lavori portano un bagaglio importante di competenza, ma al tempo stesso chi vive la relazione con i giovani da adulto – genitore e non – può portare ricchezza, in base alla propria esperienza e sensibilità, in un confronto che non potrà concludersi con una certezza assoluta, ma piuttosto con un possibile modo di affrontare la relazione educativa.
Le scienze umane non possono essere scienze esatte - il termine umano porta con sé l’elemento imprescindibile di variabilità - procedono nel divenire, mutano con i cambiamenti sociali e culturali, offrono approcci, propongono modelli di riferimento, orientano ma difficilmente stabiliscono regole definitive, proprio perché ci parlano di individui, unici, irripetibili, non incasellabili.
Ed è nel costante confronto con l’umanità reale, con i temi che emergono dall’incontro, che si rende possibile l’evoluzione del pensiero teorico, denso di studio ma insieme ricco dell’esperienza e della relazione empatica.
Credo che, tanto per cominciare, potremmo tutti allenarci alla sospensione del giudizio. Prima o poi ci ricadiamo, nessuno escluso, sembra essere più forte di noi: guardando gli altri genitori, cerchiamo l’errore e – in modo esplicito o soltanto pensato – formuliamo una qualche soluzione, stabiliamo come si potrebbe fare meglio. L’esercizio che tutti potremmo fare è quello di metterci in ascolto, con empatia, cercando insieme piuttosto che indicando come si fa. L’allenamento è molto utile anche per tutti noi del mestiere: pedagogisti, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, educatori, insegnanti…
Mi sento di dichiarare ciò che spesso ammetto nei gruppi genitori: da madre ho sistematicamente tradito ciò che affermo come pedagogista, poiché la particolare dimensione emotiva e affettiva che ha connotato il mio essere genitore, mi ha portata spesso su sentieri impervi, talvolta senza scarpe adatte a percorrerli, talvolta smarrendo il segnavia. Qualche volta mi sono persa, mi sono confusa, ho messo in atto comportamenti bizzarri senza rendermene conto. Chissà in quale definizione di Google ricado… Ben venga, dunque, il confronto, lo sguardo più distaccato e obiettivo di chi è meno invischiato, in alcuni casi ben venga anche il contributo dell’esperto, purché ciò avvenga all’interno di un rapporto basato sul rispetto, sull’ascolto attivo, sull’impegno a non emettere sentenze ma piuttosto sulla disponibilità a mettersi al fianco.
Si può supportare, mettendo a disposizione esperienza e competenza, ma poi sarà insieme che si cercheranno le strade da intraprendere, mettendo in conto che potranno esserci deviazioni, ripensamenti e aggiustamenti.
Merita una riflessione la particolare esperienza della genitorialità adottiva. Genitorialità che parte da una sentenza di idoneità da parte del tribunale. Condivido in pieno la legge che prevede un’attenta analisi delle risorse della coppia genitoriale. L’idoneità all’adozione sottende, in questo senso, un principio molto importante e necessario a tutela del benessere primario del minore. Credo altresì che l’attesa - non poco ansiogena - di ricevere il titolo di genitore possa incidere e influenzare il vissuto del proprio ruolo. Per adottare occorre essere disponibili al giudizio. Quando il giudizio si sposta dalle figure professionali, coinvolte nella fase preadottiva, alla gente, le frasi fatte di ignoranza e superficialità, i pregiudizi, le affermazioni che banalizzano e appiattiscono, si sprecano. Nella genitorialità adottiva ci si può sentire, in continuazione, di dover dare spiegazioni. Questo può tradursi in disagio e difficoltà. Le associazioni familiari, in questi anni, hanno sviluppato e creato preziose occasioni, dai gruppi di mutuo aiuto agli incontri con esperti, offrendo molteplici possibilità di crescita e di riflessione. Un aspetto che emerge, in questo tipo di gruppi, è il piacere di ritrovarsi con persone a cui – come spesso affermano i genitori adottivi – non serve spiegare tutto, persone da cui ci si sente accolti e compresi rispetto a un’esperienza che può risultare articolata e complessa. Proprio perché, al di fuori del porto sicuro, si può vivere la pesantezza, nel sentirsi esageratamente oggetto di curiosità e, spesso, di giudizio.
Anche in questo caso può servire l’allenamento. Nei primi tempi credo sia fondamentale trovare uno spazio dove incontrare altri genitori adottivi che possano essere più sensibili e capaci di comprendere. Poi però penso sia importante aprirsi al mondo, affrontare la genitorialità senza fermarsi sempre e comunque alla partenza adottiva. Perché ciò si realizzi occorre quell’autentica apertura a esperienze diverse, già trattata nella prima parte di questo articolo. È un allenamento importante su cui ritengo sia importante mettere impegno. La possibilità di allargare il cerchio consente non solo di riflettere sui temi educativi in una prospettiva più ampia, ma anche di trarre insegnamento dalla molteplicità delle esperienze. Credo che solo a partire dall’apertura a tanti tipi di adultità, possiamo davvero rendere possibile la comunità educante, inclusiva, accogliente, tutelante, generosa e creativa.
Ho intitolato questo articolo “Troppo genitori” perché penso che l’amore verso un figlio, talvolta, possa travolgere. E farci fare tutto e il contrario di tutto, su un’onda emotiva che non ha paragoni.
Se proprio non possiamo fare a meno di essere troppo, cerchiamo di farlo all’interno di una comunità, possibilmente eterogenea e variopinta, fatta di persone alleate che ci aiutino a tenere la barra. Credo davvero che possa fare la differenza.
Data di pubblicazione:
Giovedì, Settembre 19, 2024