Autore:
Redazione di Genitori si diventa OdV
Anna Guerrieri ha ricoperto numerosi incarichi nell’ambito della protezione dell’infanzia e dell’associazionismo familiare. È Presidente del Coordinamento CARE e docente dell’Università degli studi dell’Aquila. Per la collana Genitori si diventa di ETS ha già pubblicato nel 2016 Una scuola aperta all’adozione. Alla luce delle Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati.
In libreria ora è uscito il suo nuovo volume: In classe. Per il diritto allo studio di alunne e alunni con storie di adozione, affido e non solo.
«Si tratta di un libro prezioso e sono personalmente molto fiera che sia uno dei “nostri” volumi - ha detto Chiara Valleggi, presidente di Genitori si diventa OdV. - Ho avuto il privilegio di leggerlo prima della pubblicazione e più lo leggevo, più intravedevo quanto le famiglie potranno trovare in queste pagine guida e sostegno, quanto sarebbe bello che diventasse un libro di formazione per chi della scuola vuol fare parte. Vi consiglio di leggerlo e farlo leggere. Questo è ciò che il libro riesce a fare: fa alzare lo sguardo».
Abbiamo intervistato Anna perché ci introducesse alla lettura del suo lavoro.
Perché hai pensato che fosse giunto il momento di scrivere questo libro, tornando sul tema della scuola e dei ragazzi con storie di adozione e affido?
I motivi sono davvero vari ma il principale è che, mai come oggi, penso sia fondamentale parlare di questo tema. La scuola che “costruiamo”, che “pensiamo”, non è solo rappresentazione della nostra società, ma dà, contemporaneamente, forma e struttura al nostro assetto sociale stesso. Se il nostro obiettivo è una società equa, in cui tutti e tutte possano sentirsi visti e riconosciuti, possano avere diritto di parola e sentire la speranza di un futuro in cui realizzare le proprie idee, i propri sogni, in cui la democrazia e il pensiero critico siano valori fondanti, è dalla scuola che dobbiamo partire.
L’irrompere della pandemia ne ha ulteriormente evidenziato l’essenzialità e le fragilità: senza scuola non si può stare e soprattutto non si può stare senza una scuola che (non) sia bene integrata con il proprio territorio. Eppure, siamo usciti dal periodo della didattica a distanza repentinamente e come immemori; ci siamo dati tutti e tutte davvero poco tempo per capire cosa fosse successo e che implicazioni avrebbe avuto.
Discutere dunque di scuola, di didattica, di valutazione, di inclusione, del ruolo degli e delle insegnanti è un gesto politico, significa prendersi cura della polis a partire dall’attenzione alle persone più giovani e al loro crescere.
Questo è stato sicuramente il motivo principale che mi ha spinto a scrivere di nuovo e ancora di scuola. Poi ci sono motivi più contingenti.
Quali sarebbero?
Tre principalmente. La revisione del 2023 delle Linee di indirizzo per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni che sono stati adottati e la necessità di illustrarne le novità è stata una spinta molto concreta a provare a scrivere, avendo lavorato alla ristrutturazione del documento precedente (le Linee di indirizzo 2014) come parte del comitato paritetico del Ministero dell’Istruzione e del Merito e della Commissione Adozioni Internazionali.
Sentivo poi di fondamentale importanza approfondire in un testo tutti gli aspetti inerenti agli alunni e alle alunne in affidamento familiare, in comunità, migranti non accompagnati. Negli anni intercorsi dalla loro attivazione si era, a mio vedere, lavorato troppo sporadicamente sulle Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori dalla famiglia di origine (2017).
Infine, ho voluto cercare di trasportare sulla “carta” quanto, da anni, andavo facendo negli incontri di formazione con insegnanti, genitori, operatori del settore e volontari dell’associazionismo familiare.
Molte scuole oggi hanno un insegnante referente sulle tematiche adottive: semplicemente una figura che si aggiunge alle tante o effettivamente una presenza nella scuola che può sensibilizzare tutto il corpo docente sul versante dell'inclusione e del benessere a scuola?
Non so se davvero “molte” scuole abbiano una figura di riferimento su adozione e affido. Nel 2019 le ricerche del Coordinamento CARE indicavano che solo il 28% degli insegnanti intervistati fossero o potessero contare su insegnanti di riferimento rispetto alle tematiche adottive. Sono cambiate le cose da allora? Io spero di sì, ma da qui a dire che queste figure di riferimento siano sempre presenti e siano sempre formate, a mio vedere, “ce ne corre”.
Quello che è vero, però, è che proprio grazie all’ingente sforzo di formazione che l’associazionismo familiare, in particolare quello delle associazioni del Coordinamento CARE, ha organizzato in questi anni, molti insegnanti si sono resi disponibili, hanno chiesto formazione, hanno partecipato a incontri di formazione sempre più numerosi. E, va sottolineato, non si è trattato solo di insegnanti già toccati dal tema (perché genitori adottivi o affidatari ecc.).
L’altra cosa interessante è che nel tempo sono nate alcune reti di insegnanti referenti e che la richiesta stessa di essere in rete è cresciuta.
Sicuramente quel che serve (alle scuole e alle famiglie) è la presenza di figure di riferimento formate sui contesti e in questo senso è molto importante l’impegno assunto in tale direzione dalla Commissione Adozioni Internazionali e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Attualmente è fruibile un percorso di formazione FAD (Scuola e adozione: approfondimenti e strumenti) che sarà estremamente utile a tutti gli e le insegnanti e in particolar modo a chi si proporrà come referente.
Quali sono le maggiori criticità del rapporto scuola-famiglia e del sistema nel suo complesso a cui porre attenzione?
Poni una domanda ampia e complessa, ci vorrebbe un libro (e forse nemmeno uno solo) per rispondere. Nella mia riflessione io ho provato a mettere al centro dell’attenzione gli e le insegnanti e il loro ruolo proprio perché loro sono essenziali alla fitta tessitura di relazioni che crea la vita della classe.
«La relazione tra l’insegnante e i suoi alunni, le sue alunne è lo strumento attraverso cui passa l’apprendimento. È così che si impara, lo si fa perché si è in relazione con l’insegnante e con i propri compagni e compagne di classe. Per i ragazzi e le ragazze lo sguardo dell’insegnante è fondamentale, li investe e dà loro la percezione di “chi sono”. I pensieri, le credenze e le aspettative delle e degli insegnanti sono “realtà” che studenti e studentesse avvertono, sentono».
«Insegnare, educare, fanno spesso sentire impotenti, non sapienti. Ma forse è in questo venir meno che possiamo trovare forza. Ogni volta che da insegnanti entriamo in classe sappiamo che ci giochiamo tutto in quella “singola ora” di lezione. Si può riflettere sull’insegnamento, si può fare formazione, si possono cogliere consigli e suggerimenti, ma una volta varcata la soglia della nostra classe saremo noi e la classe, in quell’ora che lascia fuori tutto, senza possibilità di “mentire” ai nostri ragazzi e ragazze (perché loro ci “vedono”). Siamo noi, loro e ciò che vorremmo insegnare, che vorremo loro apprendessero. Non è facile, non c’è nulla di ripetitivo, ogni volta è un’“ora” diversa anche se “lo abbiamo fatto tante volte”. Attingiamo ogni volta a ciò che “sappiamo” ma molto di più a ciò che “non sappiamo”, a ciò che scopriamo solo vivendolo, in quell’ora, in quella classe, in quel tempo sospeso».
Insomma, le maggiori risorse e le maggiori criticità stanno tutte lì, nelle relazioni tra le persone, nelle relazioni in classe, tra insegnanti e alunni e tra gli alunni tra di loro, ma anche nelle relazioni tra colleghi, nelle relazioni con i propri dirigenti e naturalmente nelle relazioni con le famiglie stesse.
Per questo per un insegnante è fondamentale, prima di tutto, conoscere i fenomeni dell’adozione, dell’affidamento familiare, dei sistemi di tutela.
Conoscere i fenomeni permette di comprendere, ad esempio, le prime necessità delle famiglie, necessità che se affrontate possono fare tutta la differenza: la possibilità di permettere tempi di ingresso modulati e dilatati (quando servono), la possibilità della “deroga all’obbligo” (quando serve), come proteggere i dati sensibili (nelle fasi del collocamento provvisorio), come affrontare la “storia personale” in modo che faccia sentire rappresentati tutti i bambini, la possibilità di utilizzare le ore della seconda lingua straniera per potenziare la lingua italiana nella scuola secondaria di primo grado, ecc.
Ho volutamente citato alcuni (non tutti) aspetti estremamente concreti perché è proprio dalle “piccole cose” che si costruisce passo dopo passo una “buona accoglienza” dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie. E la “buona accoglienza” è il primo ingrediente in un rapporto basato sulla fiducia, un rapporto che può permettere di affrontare eventuali situazioni più complesse.
Il rapporto tra gli adulti è sempre un punto critico e il dialogo tra insegnanti e genitori è centrale soprattutto quando le cose si complicano, ad esempio quando emergono difficoltà emotive e comportamentali. Quando il dialogo tra gli adulti si interrompe, quando le comunicazioni diventano scomposte, cariche di risentimento e frustrazione, allora si innescano dei cortocircuiti da cui è complicato fare un passo indietro.
Nel testo suggerisco alle scuole alcuni accorgimenti (sicuramente non esaustivi):
– Si ha a disposizione un luogo dove incontrare le famiglie o educatori adeguato o che può essere adattato per offrire la possibilità di un incontro che non sia solo episodico e frammentato (almeno nelle prime fasi)?
– Esistono tempi per informare con chiarezza le famiglie e gli adulti di riferimento delle regole e delle risorse della scuola?
– È possibile dire alle famiglie o agli educatori che seguono i ragazzi che la scuola si è documentata?
– È stata fatta formazione sui fenomeni nella scuola? A quale formazione posso accedere? Con chi siamo in “rete” territorialmente per avere feedback, formazione, sostegno?
– Ci si ricorda di comunicare alle famiglie e agli adulti di riferimento quanto accade di positivo? Si valorizzano i progressi?
Sicuramente in tutto questo la formazione è essenziale per gli e le insegnanti e in questo senso la FAD, citata prima, messa a disposizione dalla Commissione Adozioni Internazionali e il Ministero dell’Istruzione e del Merito, è uno strumento fondamentale.
Nella nostra società sono ancora molto forti gli stereotipi con cui si parla di famiglia, di genitorialità, di figli. Quanto le storie differenti possono aiutare a scardinare pregiudizi e introdurre segnali di cambiamento?
Ogni storia, se la vogliamo ascoltare, aiuta a scardinare i nostri pregiudizi. Il bionormativismo è un pregiudizio radicato nella nostra società, ce ne parla con chiarezza Monya Ferritti in “Sangue del mio sangue”:
«La famiglia riproduttiva non è normale. È solo più comune. Iniziamo la descrizione di cosa sia la bionormatività con una parafrasi di un celebre aforisma della scrittrice newyorkese Dorothy Parker a proposito di “eterosessualità”, in cui affermava “Heterosexuality is not normal, it’s just common”. Sebbene sia evidente che la generatività sia il modo più diffuso per creare una famiglia, è importante tuttavia sottolineare quanto ormai da tempo sia riduttivo parlare di “famiglia” in luogo di “famiglie”».
Si può cambiare? Il cambiamento avviene se ci fermiamo davvero ad ascoltare le storie e ci lasciamo toccare da esse. Se, in una parola, accettiamo la varietà del vivere. Ricevo ancora segnalazioni in cui la “storia personale” viene affrontata in modo bionormativista, ossia in un modo che costringe chi ha una storia differente ad “adattarsi” a griglie pensate per altri. Eppure, modi diversi di approcciare la storia personale esistono e da tempo. Serve semplicemente un passo più avanti per permettere di affrontare l’argomento in modo che tutti i bambini e le bambine (non solo quelli con storie di adozione e affido) si sentano rappresentati.
Serve una riflessione “a monte”, che deve arrivare prima di attivare qualsiasi progetto o unità didattica.
Prima di iniziare con la “storia personale” nella propria classe di seconda primaria, per esempio, io ritengo che, come insegnanti, sia necessario:
– Essere consapevoli delle composizioni familiari presenti nella propria classe per essere in grado di prevedere i punti vulnerabili dei progetti che si realizzeranno.
– Analizzare come viene presentato il tema della “storia personale” nei propri libri di testo. Se le pagine risultano troppo stereotipate si può non usarle, progettando il lavoro in modo diverso.
– Prevedere di avere a disposizione una iconografia variegata che includa la presenza di persone di più etnie, di famiglie evidentemente adottive e/o affidatarie, omogenitoriali, di persone con disabilità, per fornire a bambini e bambine tutti gli strumenti per potersi rappresentare. Prima del pensiero sul proprio tempo, è importante il tempo su se stessi.
– Prevedere di introdurre concetti come “La linea del tempo” e “Le fonti” in modo flessibile e non avvalendosi solo del privato dei bambini e delle bambine. Si può permettere di iniziare la “linea del tempo” da eventi diversi dalla propria nascita (ad esempio l’inizio della scuola primaria, la scorsa estate, un qualsiasi tempo personale ritenuto significativo dal bambino o dalla bambina). Volendo lavorare sul tempo che scorre e su una “linea del tempo” non personale, possono essere osservati i cambiamenti cronologici di una pianta cresciuta in classe (basta sceglierne una dalla crescita rapida), si possono intervistare maestri e maestre, genitori e nonni (se presenti) sul proprio passato, permettendo di creare la loro “linea del tempo” (quella degli adulti intervistati). Si possono coinvolgere adulti prossimi della scuola o del quartiere.
– Immaginare progetti che non impongano una sovraesposizione, che non implichino di dover necessariamente presentare qualcosa a tutti, raccontare la propria storia necessariamente, esporre foto su cartelloni.
– Fare attenzione a non chiedere documenti che contengano dati sensibili. Un certificato di nascita, ad esempio, è un documento che non si deve chiedere. E, in generale, è bene avvalersi di disegni più che di foto.
Mi sono concentrata sulla “storia personale” perché è un esempio significativo che riguarda da subito ogni bambino e bambina, dal primo ingresso nella scuola primaria.
Per concludere: ora guardi il mondo dell’associazionismo e della scuola da un punto di vista più largo, quello della Presidenza del Coordinamento CARE. Cosa vedi da questa prospettiva?
Le associazioni familiari sono spazi di relazione in cui si costruisce, passo dopo passo, il bene comune. Si tratta di organismi che nascono in modo naturale, da bisogni anche immediati e quotidiani, e che trasformano la ricerca di un proprio benessere individuale in quella di un benessere sociale. Il loro ruolo a sostegno delle famiglie e nella costruzione di una “comunità educante” è fondamentale. Partecipano, dunque, molto concretamente alla costruzione di quegli ambienti sociali in cui genitori, insegnanti, educatori, famiglie e altre figure di riferimento per i bambini e i ragazzi, creano alleanze per favorirne il processo educativo e di crescita. È grazie al “mettersi insieme”, infatti, al riconoscersi e ritrovarsi come portatori di necessità ed interessi simili che si trova la forza di diventare propositivi e vocali.
Io credo che si debba sempre essere consapevoli di questa ricchezza e forza. È una importante responsabilità. Le associazioni familiari del Coordinamento CARE, grazie alla propria storia ed esperienza, hanno molto ancora da dire e da dare sul tema scuola. Bisogna far sì che ci siano sempre canali aperti, spazi di dialogo ed incontro. Continuare a lavorare con la scuola significa continuare a lavorare per una società accogliente, una società in cui i diritti dei bambini e dei ragazzi siano sempre rispettati.
C’è ancora tanto da fare. Serve lavorare molto sul tema dei bambini e dei ragazzi in affido, nelle strutture di tutela, dei minorenni migranti non accompagnati; serve continuare a lavorare sull’adozione, sulla creazione di reti di insegnanti formati, di insegnanti referenti. È fondamentale coltivare il rapporto con il mondo accademico affinché la formazione dei futuri insegnanti comprenda sempre di più fin dall’inizio quanto serve su questi temi e serve infine promuovere, favorire, in co-progettazione con l’associazionismo, quella ricerca che può permettere di fare emergere criticità e risorse.
L’Italia è unica in Europa per quanto ha fatto su scuola, alunni e alunne con storie di adozione e fuori dalla famiglia di origine. Questo patrimonio va nutrito e accresciuto e soprattutto non bisogna mai smettere di lavorare affinché le buone prassi non restino sulla carta ma siano realtà quotidiana.
Il sito del Coordinamento CARE mette a disposizione un settore dedicato alla scuola. È un luogo ricco di contenuti messi a disposizione di tutti che continuerà a crescere e a testimoniare l’entità dell’impegno su questi temi.
La nostra associazione organizza attività dedicate alla famiglia adottiva e a chi intende avvicinarsi al mondo dell'adozione. Organizziamo conferenze e incontri dedicati ai temi a noi cari e molte attività dedicate ai soci.
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Data di pubblicazione:
Lunedì, Giugno 24, 2024