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L'affido etero familiare: i contenuti legislativi

Autore/i: Michele Augurio

Data: 19-12-2007
Argomento: Affido

Il primo accenno normativo dell’affido è inserito nella Legge n.184 del maggio 1983, ma è con la riforma legislativa del 2001 che l’istituto dell’affido assume contenuti metodologici e normativi precisi.
La totalità degli articoli 2, 3, 4 e 5 della Legge 149/2001 sono dedicato all’affidamento del minore, in essi vengono disciplinati tempi e procedure e soprattutto viene ribadito la temporaneità di tale strumento giuridico ed il permanere dei legami tra il bambino ed il suo contesto familiare. Se entriamo nello specifico diviene importante analizzare alcuni aspetti metodologici:
1) tipologia di affido
2) tempistica e competenze giuridiche.
Tipologia di affido:
Vi sono due tipologie di affido previste in ambito legislativo: affido consensuale ed affido giuridico. Il primo enunciato nel comma 1 dell’art. 4 della citata legge afferma. “ l’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto”.
L’affido giuridico è previsto nel comma 2 art. 4 che cita: “ ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile” (questi articoli prevedono l’intervento della magistratura minorile sulla potestà genitoriale).
Da ciò si evince che nella prima situazione è la stessa famiglia, aiutata dai servizi sociali, a prendere coscienza della propria situazione di difficoltà e richiedere quindi un progetto di aiuto. E’ quindi molto importante che l’incontro tra la famiglia biologica del minore e la famiglia affidataria sia improntato su un processo di aiuto sociale condiviso e condivisibile. I genitori biologici non devono sentirsi “privati” della loro genitorialità, devono essere e sentirsi coinvolti nel processo relazionale ed affettivo, devono vivere gli affidatari come “alleati” e non come fautori di un allontanamento del proprio figlio. I genitori naturali nell’affido consensuale devono conoscere l’indirizzo della famiglia affidataria e la tempistica degli incontri con il proprio figlio non è quasi mai rigida, ma concordata congiuntamente nel momento di accettazione dell’affido.
Nel secondo caso: l’affido giuridico, questo istituto anche se disposto dalla magistratura minorile, prevede una chiara informazione della famiglia d’origine. Le modalità di incontro spesso sono modificate, nel senso che lo spazio di contatto del minore con il suo contesto familiare può avvenire in “luogo neutro”, se le condizioni di incontro tra i due contesti familiari non garantiscono una tutela massima del minore nel nuovo contesto familiare, a causa di comportamenti disturbanti dei genitori biologici. Pur essendoci un intervento della magistratura, anche in questo caso il progetto deve essere condiviso tra entrambi i nuclei familiari in una logica di supporto e condivisione.
Per quanto riguarda la tempistica si fa riferimento al comma 4 art. 2 che così viene enunciato: “…. deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso degli interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di 24 mesi ed è prorogabile dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore”.
Questo comma oltre a prevedere il periodo di affidamento stabilisce che ogni intervento giuridico sul minore diviene di esclusiva competenza della magistratura minorile. Quindi se l’affido consensuale non si chiude nei ventiquattro mesi previsti, non è più il giudice tutelare che decide la proroga ma viene aperto fascicolo presso il tribunale per i minorenni che valuta se esistono condizioni di pregiudizio per il minore nel rientro presso il suo contesto familiare. Di fatto questo provvedimento della magistratura minorile viene richiesto esclusivamente quando ci si accorge che gli interventi di aiuto, previsti nell’affido consensuale, non hanno ancora pienamente modificato la problematicità presente nel contesto familiare d’origine del minore e quindi esiste ancora un rischio per il minore se dovesse rientrare nel suo nucleo.
Con tale proroga viene ridefinito il “progetto di aiuto” e richiesto ai genitori o al genitore una maggiore attivazione delle sue risorse per permettere al minore di rientrare nel contesto affettivo e relazionale originario.
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