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Recensioni

Somaly Mam: Il silenzio dell’innocenza

di Somaly Mam


Tipologia: Libro
Edito/prodotto da: Corbaccio
Genere: Testimonianza
Argomento: Abusi sui minori
"Mi chiamo Somaly; o, per lo meno, così mi chiamo adesso. Come tutti, in Cambogia, di nomi ne ho avuti parecchi. Un nome deriva da una scelta provvisoria, lo si cambia come si cambia vita se la sfortuna si accanisce contro di noi, per esempio. Ma non mi ricordo bene dei nomi che ho avuto quando ero piccola.Del resto, non ricordo quasi niente della mia prima infanzia; non so granché delle mie origini e ho ricostruito a posteriori, da vaghi ricordi, quel minimo di storia che sto per raccontarvi..."
Cercando su internet informazioni sul libro di Somaly Mam “Il silenzio dell’innocenza”, edizioni Corbaccio, si trovano sempre queste frasi iniziali. Forse colpisce che qualcuno non ricordi il proprio nome da bambina, forse è semplicemente uno splendido inizio.
In copertina c’è la foto di Somaly, bellissima, la pelle color mandorla da khmer-montagnard. (I montagnards sono un gruppo etnico che vive nelle zone montuose della Cambogia e del Vietnam, perpetuamente discriminati dai governi centrali dei rispettivi paesi.)
Sono tornata spesso alla foto di Somaly, mentre leggevo dei maltrattamenti subiti per le mani di un “nonno” cui era stata consegnata (accade troppe volte in Cambogia che i bambini senza protezione vengano affidati ad adulti definiti nonni o zii e che li usano come servi o peggio), mentre leggevo delle violenze subite a dodici anni, della vita nei bordelli a Phnom Penh. Dei clienti khmer, dei militari, dei clienti giapponesi e di quelli occidentali. Mentre leggevo del suo riuscire a venir fuori dalla prostituzione e del suo incontro con il marito, Pierre Legros. Tornavo a quel volto cercando di rintracciarne la storia, in copertina però trovavo solo il perfetto viso di una splendida donna.
Nelle foto all’interno del libro trapela qualcosa di più, si intravede una Somaly che ascolta, che vibra, una Somaly decisa, senza posa … senza requie: quella che ha fondato AFESIP (Agire pour les Femmes en Situation Précarie). La donna che ha iniziato a girare bordello per bordello a Phnom Penh, parlando con le ragazze, le bambine, dando informazioni mediche, spiegando come proteggersi dagli abusi di gestori e clienti, portando via e proteggendo centinaia e centinaia di ragazze. Quella che è stata minacciata dai proprietari degli alberghi, dalla mafia, quella che si è vista puntare una pistola alla testa e non è crollata.
All’inizio portava le ragazze a casa propria, sfamandole coi soldi propri e dello stipendio di Pierre (un biologo che collaborava con Medecins sans frontières), curandole ed accudendole. Poi, lavorando forsennatamente per ottenere fondi all’estero (in Spagna, in Francia), per ottenere aiuti e accreditamento presso gli organismi internazionali, è riuscita ad aprire veri e propri centri di accoglienza in varie aree della Cambogia, del Vietnam, del Laos, della Tahilandia. Lei, senza mai pace, per le ragazze, sapendo bene cosa vive ogni ragazza o bambina che finisce nelle maglie della prostituzione in sud-est asiatico.
La cosa che mi ha colpito profondamente leggendo Somaly è l’evidente verità di quello che racconta, la sua rabbia, la sua violenza nel non arrendersi alla corruzione e al male. Somaly, grazie a questa verità interiore, sa ascoltare le vittime ed è dall’ascolto che inizia la possibilità del recupero. Ma non deve essere proprio per nulla banale ascoltare una donna torturata e violentata se tu stessa sei stata violentata e torturata. Somaly si offre a chi accoglie, ascolta e rivive, ricorda, ascolta l’orrore vissuto dagli altri e viaggia nell’orrore del proprio passato. Negli odori, negli incubi, nelle torture. Somaly odia chi le ha fatto del male, odia chi massacra le bambine, odia la corruzione dei potenti, della polizia e dei politici, odia l’indifferenza dei burocrati internazionali.
E’ così che Somaly è riuscita ad aiutare dal 1997 circa 3000 fra ragazze e bambine.
Somaly Mam nel 1998 è stata insignita del Premio Principe delle Asturie per la cooperazione internazionale su segnalazione di Emma Bonino. Candidata al Premio Nobel per la pace dalla Regina di Spagna, in Italia Somaly Mam è diventata un personaggio pubblico con le Olimpiadi invernali di Torino quando, il 17 febbraio 2006, ha portato la bandiera olimpica assieme ad altre sette donne di grande levatura come Wangari Maathai Kenia (Nobel per la pace 2004), la scrittrice Isabel Allende e l’attrice e ambasciatrice dell’Unicef Susan Sarandon. Una lunga strada per una piccola montagnard senza nome o data di nascita, prostituta-adolescente nei bordelli di Phnom Penh.

Per chi volesse saperne di più:
http://www.afesip.org/
http://www.ecpat.it/afesip.htm
Recensione a cura di  Anna Guerrieri
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