Home | Chi siamo | Dove siamo | Sportelli | Iniziative ed eventi | Percorsi di preparazione | Se ne parla in GSD |
Argomenti | Documenti | Contributi |
Links | Recensioni | Notiziario mensile | A domanda risposta | Ufficio stampa | Audio e video | Contatti |

Contributi

Vivere l'adolescenza

A cura di: Dott. Maria Siragusa 
Data: 24-06-2012
Argomento: Adolescenza

Letto all’incontro “Adozione e adolescenza”con l’Associazione “Genitori si diventa”- Parliamo con…a cura del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala Sabato 12 Maggio 2012, Marina del Nettuno - Messina

 

Vivere l’adolescenza

 

Ormai ci conosciamo da qualche mese e l’attesa per l’incontro sull’adolescenza si è percepita sin dall’inizio. Se ne è fatto cenno in quasi tutti i nostri appuntamenti. Mi sono chiesta come mai ci fosse un bisogno così grande di un confronto su questo argomento. Mi sono detta che è l’adolescenza, di per sé, che irrompe, turba, scatena emozioni contrastanti. Mi hanno colpito le parole di alcune madri e padri nel penultimo incontro. Facevano riferimento alla loro difficoltà ad accostarsi ai figli di undici, dodici anni, che, in alcuni momenti, chiedevano coccole e attenzioni come bambini piccoli. Traspariva nelle loro parole una certa reticenza nel dire che la difficoltà era anche relativa all’accostarsi al “nuovo” corpo dei figli, un corpo che comincia a diventare più grande, più caratterizzato in senso sessuale. La difficoltà, mi è sembrato, cresceva nei casi in cui il figlio era stato adottato da poco, per cui poco tempo era trascorso tra l’arrivo del bambino in famiglia e lo sbocciare dell’adolescenza nel bambino o nella bambina. Come si fa a vincere il senso di turbamento che ci procura un adolescente? Cosa si può fare quando manca il senso di familiarità che ci permette di muoverci con naturalezza tra le nostre e le sue emozioni? Esistono differenze tra adolescenti adottati e non adottati? Come si può stare vicino ad un adolescente? Tutte le adolescenze sono uguali? Queste potrebbero essere solo alcune delle domande che ci possono stimolare ad affrontare il nostro incontro. Ritengo possa essere molto utile, innanzitutto, comprendere cosa sia l’adolescenza e perché sia una fase tanto fondante della nostra esistenza. L’invito che vi rivolgo è quello di pensare per qualche attimo alla vostra adolescenza, di poterne risentire i profumi, i suoni, le atmosfere che l’hanno caratterizzata. Ci potrebbero tornare alla memoria un misto di eccitazione, preoccupazione, le domande sul senso della vita, il senso di solidarietà per gli altri, il senso d’inadeguatezza e di onnipotenza, la confusione, i sentimenti di amicizia, di vergogna, di delusione, la commozione per la natura …. Tutto e il contrario di tutto potremmo dire, e, per ciascuno di noi, in misura sicuramente molto diversa e varia. Comunque sia andata, l’adolescenza è stata dentro ognuno di noi un momento fondamentale, un passaggio obbligato che ci ha traghettato dall’infanzia all’età adulta, una fase della vita che è fondante perché, per sempre, ci consegna al mondo adulto, a quello che saremo poi nella nostra vita. Come tale si guadagna dentro di noi un suo luogo speciale, al quale fare ricorso in tanti momenti della nostra esistenza: quando viviamo intensamente le nostre emozioni, quando proviamo sentimenti contraddittori che ci confrontano con i dubbi, quando viviamo a stretto contatto con i giovani, che siano i nostri figli, alunni, pazienti, conoscenti o sconosciuti. Ed è forse questo spazio di freschezza, di autenticità, di sensazioni estreme, che se resta ben vivo dentro di noi ci consente di poterla ancora riaccostare e provare a comprendere. Sapendo che sicuramente ci saranno cose che non “potremo capire” fino in fondo ed accettando, noi per primi, che vada così. Anzi, a mio avviso, questo apre proprio un punto di contatto, forte e delicato insieme, tra noi e l’adolescente: accettando di non capire sempre tutto e subito, mostriamo, vivendolo, come si fa a sopravvivere ai dubbi, alle angosce, alle situazioni indeterminate, alle cose in corso d’opera. L’adolescenza può essere definita una fase dell’esistenza in cui si verifica una crisi fisiologica e necessaria. Fisiologica proprio perché deve verificarsi; il non entrare in tale fase, il non attraversare l’adolescenza può significare una battuta d’arresto nel procedere in avanti nella vita, il timore di crescere, il desiderio, causato dalla paura, di restare bambini. Questo può avere delle conseguenze molto negative nel bilancio di un’esistenza: può significare la rinuncia ad affrontare questioni che, restando non vissute e quindi irrisolte, si potrebbero riproporre successivamente, in momenti in cui è richiesto proprio altro. Ci si può ritrovare a fare gli adolescenti a 50 anni, a competere con la giovinezza dei figli, a desiderare di riprendersi, prepotentemente e ciecamente, quello che si sente di non aver avuto. Si può vivere rimpiangendo di non aver vissuto. Si possono invidiare le vite degli altri. Ma l’adolescenza ha invece un suo tempo, dai 13-14 ai 18-19 anni. Può protrarsi un po’ in avanti, ma il suo tempo è fortemente scandito dai ritmi biologici che si muovono in sinergia con gli aspetti psicologici; questi aspetti vivono un intricato e complesso momento di sviluppo interdipendente. L’adolescente si trova ad affrontare il proprio corpo che cambia. Fino a poco prima il bambino non attribuiva grande importanza al proprio aspetto, adesso non può fare a meno di notarlo perché manda dei segnali chiarissimi; nel maschio la comparsa della peluria, dei primi segni di barba; nella donna il seno, l’arrotondamento dei fianchi, il menarca, per citarne solo alcuni. Questo corpo in crescita, che improvvisamente diventa estraneo, può essere vissuto dall’adolescente anche con difficoltà. Con un senso d’impaccio, di vergogna, d’inadeguatezza. Ricordo un quattordicenne che lamentava il fatto di sentirsi “troppo leggero fisicamente” rispetto ai compagni, che vedeva più robusti. Ne abbiamo discusso a lungo. Io ho tenuto, comunque, ben presente che il corpo per un adolescente è in primo piano, e poco per volta abbiamo potuto pensare insieme al fatto che, quel corpo, da lui avvertito come troppo leggero, lo riportava al suo senso di fragilità, di timore nell’accostarsi ai coetanei, avvertiti come più potenti e risoluti. Lui esprimeva la sua frustrazione e rabbia, mostrandosi aggressivo e violento nei confronti del fratello più piccolo, decisamente più esile di lui fisicamente, ma più abile con le parole e più capace di intraprendere relazioni amichevoli e di farsi notare dagli altri. Il corpo che si trasforma rimanda continuamente all’adolescente il compito di approdare ad un’ identità sessuale definitiva, l’identità impegnativa, che potrà avere a che fare con la capacità generativa. E’ un periodo in cui l’adolescente sperimenta. Non è raro che vi siano dei tentativi di approccio con persone dello stesso sesso; questo rimanda, ancora una volta, alla paura che l’altro sesso, ancora sconosciuto, può fare, al fatto che, anche dinanzi a comportamenti estremamente provocatori e disinibiti, si possano celare le paure più attanaglianti, trasformate dall’adolescente nel loro esatto opposto. L’adolescente rinuncia ad essere, come da bambino, “totipotente”, entrambi i sessi, si trova a dover scegliere, a capire, mentre sente e cerca di dare un senso alle nuove sensazioni che prova. Ed è un passaggio che vive in solitudine, alla fine: “L’adolescente è essenzialmente un isolato... i giovani adolescenti sono un insieme di isolati che si sforzano di formare un aggregato, adottando un’identità di gusti…” scrive Winnicott. Ma il ruolo del gruppo, in questi casi, è fondamentale; attraverso il gruppo, il confronto con i singoli membri, anche con l’esempio dei soggetti dal comportamento più estremo, attraverso l’eterogeneità dei suoi componenti, l’adolescente può “mettere in scena” i propri conflitti interiori, trovare nuove identificazioni e poco per volta definire la propria identità. Scrive Meltzer: “Ogni membro del gruppo è vissuto dall’adolescente come una parte di sé che viene proiettata all’esterno; nello stesso tempo il gruppo permette una riunificazione delle parti, funzionando da contenitore”. Compiti dell’adolescente sono quello della separazione e dell’individuazione. Separarsi dai genitori, che fino a quel momento hanno rappresentato un mito, un ideale, un modello. Se l’adolescente non si separa, non può individuarsi, diventare una nuova persona, distinta dai genitori, avere proprie idee, pensieri, opinioni. Separarsi non significa che il movimento sia in un’unica direzione: l’adolescente avrà bisogno continuamente di percorrere in avanti e indietro quello spazio, di tornare, spesso, ad essere il bambino di prima, che desidera accudimento e cure e, un’attimo dopo, a dire che non ha bisogno della sua famiglia perché ormai è grande. Un prezioso insegnamento di una psicoanalista, scomparsa proprio in questi giorni, Luciana Bon De Matte, è stato quello di essere sempre solidali con i figli, un passo dietro di loro, ma, accanto, emotivamente ed affettivamente a loro, anche mentre stiamo litigando. Far sentire loro che ci stiamo sforzando di comprendere le loro motivazioni, di seguire i loro percorsi di pensiero, può essere più importante che dar loro ragione. Il processo adolescenziale riguarda sempre movimenti fisici, concreti, e movimenti interni, che hanno a che fare anche con cambiamenti a livello del pensiero che, in questa fase, da concreto che era nel bambino, diventa astratto, con la nuova capacità di formulare ipotesi, di sviluppare teorie. E’ infatti un momento estremamente creativo, l’adolescente scopre se stesso e il mondo intorno con occhi nuovi. Sembra evidente che proprio tutto sia in trasformazione! Ma a questo punto i genitori cosa fanno? Ci sono coppie che facilitano questo processo di crescita ed altre che lo ostacolano. Alcune sono pronte ad affrontare la ridiscussione del loro ruolo genitoriale, al prendere atto che il tempo passa, a rivedere sogni e aspettative riposte sui figli alla luce dei nuovi desideri espressi dai loro ragazzi, in una relazione che va configurandosi, a questo punto, tra adulti. Molte coppie affrontano unite e insieme le difficoltà che il figlio pone, altre trovano nel figlio l’occasione per venire più francamente allo scoperto, in una crisi che, probabilmente, poco riguarda il figlio. Molto, a mio parere, dipende da come è trascorsa la loro adolescenza, da come hanno saputo ‘apprendere dall’esperienza’, citando un famoso libro di Bion, e da come si è poi organizzata la vita di coppia, prima che quella familiare. Questo aspetto mi sembra importante anche per i genitori adottivi. Forse per loro, a causa del percorso di adozione, il confronto con le profonde motivazioni che li hanno spinti, insieme, ad accogliere un figlio, è già un discorso avviato da tempo, e sul quale, più volte, si sono dovuti sperimentare. Il fantasma che invece credo che potrebbe affiorare in loro, e che andrebbe affrontato, è quello di attribuire tutte le caratteristiche più perturbanti dei figli e che mettono, loro, genitori, in estrema difficoltà, al fatto che l’adolescente sia figlio adottivo. Che l’adolescente stia tirando fuori delle caratteristiche che appartengono chissà a quali sconosciuti. Che improvvisamente quel figlio sia sentito estraneo ed eventualmente portatore di un malessere. Io su questo ho un’opinione precisa. Può darsi che, geneticamente, quel figlio presenti delle caratteristiche che, al pari del colore della pelle, degli occhi, possano esprimersi. Ma, anche in questo caso, il fatto che possano emergere caratteristiche che potremmo definire innate, non è di per sé un male, anzi è naturale ed inevitabile. Il lavoro di preparazione ad accogliere un figlio va fatto a monte, principalmente su se stessi e sulla coppia. E’ bene chiedersi prima, con molta onestà, se quel figlio sarà voluto ed accettato così come sarà. Quello che invece si può e si deve fare è lavorare intensamente sull’ambiente in cui quell’adolescente sta crescendo, in cui sta facendo quel suo breve o lungo tratto di vita, con la nuova famiglia adottiva. Questo non è affatto indifferente per il futuro di quel ragazzo e , a mio avviso, riporta al vero senso dell’adozione. Ogni giorno di serenità, di amore, di tentativi di comprensione in buona fede, possono significare moltissimo e contribuire a riscrivere la sua storia. Se quel bambino che sta diventando adolescente rivela parti di sé che non ci aspettavamo, che risultano difficili e pesanti da gestire, non è necessariamente perché è stato adottato. Sta crescendo, come tanti altri coetanei, non adottati, che possono presentare le stesse o diverse difficoltà. Ogni storia ha le proprie peculiarità e generalizzare non aiuta a comprendere meglio. Non voglio affatto minimizzare sulle problematiche che si incontrano e su come queste cimentino i genitori in ogni modo, e tengo anche ben presente che alcuni ragazzi, per molte ragioni, possono vivere in modo più drammatico e problematico la loro adolescenza, ma porre l’accento sul fatto che, appunto, questo è uno dei momenti di prova dei genitori, di tutti. I genitori adottivi si trovano, forse, a lottare in alcuni casi, come accennato all’inizio, anche col tempo: creare lo spazio per trovare la familiarità con un figlio che ha appena cominciato a vivere con noi e che già diventa grande, significa lottare contro il tempo, perché quella relazione diventi abbastanza forte e salda da reggere alle raffiche di vento dell’adolescenza. Può significare, immagino, aver desiderato da una vita di abbracciare un figlio e poi ritrovarsi a dover gestire rifiuti, richieste, obiezioni, indifferenze, polemiche, atteggiamenti fintamente compiacenti, ostilità palesi. Non esiste una ricetta giusta che si adatti bene a tutti: il bello è provare a conoscere l’altro e lasciarsene sorprendere, esserne incuriositi; cercare la vicinanza rispettando il senso di segretezza dell’adolescenza, che è importantissimo. Riuscire a star loro accanto, mantenendosi lievi; attenti senza diventare ossessivi. Complici, senza mettere i figli in ridicolo. Poter usare l’ironia, l’autoironia, senza cadere nel sarcasmo. Significa molto lasciarsi conoscere dai propri figli. Mettere a disposizione la nostra storia, anche quella burrascosa della nostra adolescenza, renderla viva e un patrimonio comune a cui fare riferimento insieme. Voglio dire che c’è, sempre, tanto da poter fare, e che i figli non sappiamo mai, comunque, come saranno, come diventeranno. Anche i nostri genitori non lo sapevano con noi. Accettare di avere un figlio significa confrontarsi con un altro individuo, comunque ‘altro da noi’, che a volte può anche non piacerci, può farci sentire estranei e sbagliati. Farsi una ragione del fatto che non esiste la perfezione, nei genitori e nei figli, è un concetto banale, ma può essere molto utile ricordarsene per vivere più intensamente gli affetti e godersi la vita, divertendosi anche con i figli adolescenti, accettando che si continui a crescere ancora, molto, insieme.



Mailing list
Iscrivetevi alla sede a voi più vicina. Riceverete anche le notizie nazionali più rilevanti.

email:

sede (opzionale):


Notiziario

Adozione e dintorni
maggio-giugno 2016



Collana GSD
Edizioni ETS


Consulta la collana
Edizioni ETS