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L’adolescenza: istruzioni per l’uso
Autore/i: Franco CarolaData: 06-11-2011
Argomento: Adolescenza
L'adolescenza:istruzioni per l'uso
L'adolescenza (dal latino adolescere, "crescere") è il momento di passaggio, di profondo cambiamento, dall'infanzia verso l'età adulta. È definibile come un segmento evolutivo durante il quale assistiamo a radicali cambiamenti fisici e psicologici, spesso tanto rapidi e improvvisi da disorientare chi ne è testimone dall'esterno.
Dal punto di vista fisiologico, è un periodo che ha inizio quandouna secrezione ipotalamica provoca una risposta ipofisaria di gonadotropine le quali, a loro volta, inducono una secrezione gonadica; in parole povere, il corpo cambia radicalmente: crescita dei peli, sviluppo delle differenziazioni sessuali, le mestruazioni nella donna e la produzione di liquido seminale nell'uomo, e altri chiari segni della trasformazione del corpo dell'infante inun fisico adulto.
Tali mutazioni non avvengono per tutti alla medesima età e si articolano tra i dieci e i sedici anni per le donne e tra gli undici e i diciotto per gli uomini (con la peluria facciale e toracica).
Da una prospettiva psicologica, l'adolescenza è stata disaminata secondo più criteri. Il concetto di "crisi adolescenziale" è stato esaminato da diverse prospettive e scuole di pensiero, tante da non permettere una piena e condivisa visione.
Alcuni punti essenziali però sembrano ricorrere in tutte le cornici teoriche.
Durante l'adolescenza si accentua il dubbio sull'autenticità di Sé e del proprio corpo; esso è oggetto di costante valutazione e giudizio e risulta difficile accettarnei cambiamenti in atto; ne conseguono continui dubbi sul proprio aspetto estetico. L'entrata in gioco delle pulsioni sessuali, poi, e della masturbazione, può divenire fonte diforti vissuti di colpa, sentimento questo che pare impregnare molti momenti di questa età di cambiamento.
Altro aspetto, rilevato da più prospettive di studio sull'adolescente, è il desiderio di originalità e la ricerca di qualcosa che sia unico e speciale. Tale ricerca sembra riflettere un intimo desiderio dell'individuo di riconoscersi in una nuova e speciale identità, bendifferenziata e riconoscibile, scissa dalla famiglia da cui proviene.
L'adolescente, tra le sue peculiarità, ha anche quella di reclamare con vigore la propria autonomia e individualità, pur rimanendo fortemente dipendente dal nucleo familiare; tale aspetto, apparentemente contraddittorio, è un'importante chiave di accesso per comprendere più a fondo quell'ambivalenza nell'atteggiamento emotivo che spesso viene manifestata nei confronti dei propri genitori. La psicoanalisi, a tale proposito, azzarda una teoria secondo la quale alla base di questo difficile periodo esistenziale vi sia la necessità di"assassinare" le immagini parentali; l'adolescente può diventare un adulto se si affranca dai genitori che ha interiorizzato e trova una sua realtà psicologica indipendente.
L'adolescenza di un figlio adottato è un periodo difficile in cui i conflitti naturali, propri di questa epoca di passaggio, vengono accresciuti dalla condizione adottiva. La consapevolezza di "essere stato adottato" pare agire come un"amplificatore delle fantasie": tutto ciò che è già di per sé reso estremo dai subitanei mutamenti dell'età in oggetto, diviene, a volte, catastrofico.
Le difficoltà all'interno del nucleo familiare sembrano strutturarsi intorno a tre livelli:
1) il problema dell'identità e dell'identificazione del giovane;
2) le relazioni dell'adolescente con i genitori adottivi;
3) le difficoltà e i timori degli adottanti di fronte al figlio adottivo adolescente.
Il figlio adottivo in adolescenza deve integrare nella propria identità una doppia genealogia, con il relativorischio di una reale confusione identitaria o dello stabilirsi di un'identità"negativa". Lacompleta o parziale mancanza di informazioni relative ai genitori naturali è motivo di grande ansia sul piano dell'identificazione. Sapere di essere stato un neonato o un infante non amato, rifiutato, costituisce un'evidente ferita a livello del naturale narcisismo di base e dell'identità fondamentale. Assistiamo nei ragazzi alla produzioni spontanee di fantasie circa la propria storia familiare che si tramutano in una sorta di "romanzo familiare".
Se l'adolescente immagina dei genitori naturali "meravigliosi" potremmo ipotizzare un intimo bisogno di curare il proprio narcisismo ferito. Laddove prevalga l'idea di un rifiuto della famiglia di origine, potremmo assistere al crearsi di una fantasia di essere stato un "bambino cattivo", un "prodotto non amato", motivando così la spinta verso un'identità negativa, identificandosi cioè con quella parte cattiva che egli ha immaginato di essere.
Si assiste quindi a una serie di comportamenti devianti: le menzogne, spesso seguite da giustificazioni e ricerche di assoluzione da parte della famiglia, i furti, piccole fughe da casa, comportamenti violenti apparentemente immotivati.
Alcuni genitori denunciano una sensazione di terribile impotenza nei confronti dell'operato dell'adolescente.
Tale impotenza rispecchia in tutto e per tutto ciò che il figlio dichiara circa le motivazioni che lo spingono ai comportamenti in oggetto: «Non posso farci niente. È più forte di me, quando faccio quello che faccio». Il ragazzo, interrogato in merito ai propri comportamenti antisociali, sente una sincera impossibilità a resistere, a non "agire" determinate pulsioni.
Gli "atti" sono leggibili come segnalatori di un eccesso di emozioni che, non riuscendo a essere espresse, non trovano altre vie di fuga se non l'azione. Diviene opportuno, però, sottolineare che l'adolescente porta "fuori" dalle mura domestiche qualcosa che egli stesso rileva come pericoloso per l'integrità della propria immagine all'interno della famiglia; pare mettere fuori di casa una parte di sé ritenuta troppo pericolosa, virtualmente troppo dannosa per chi l'ha nutrito fino ad allora.
Quando le emozioni sono esageratamente intense, il giovane non solo le porta fuoricasa, ma potrebbe iniziare ad agire una forte carica aggressiva all'interno delle mura domestiche. Un atteggiamento accogliente, anche se non legittimante, può essere un buon sedativo momentaneo.
Chi ha vissuto l'adozione in prima persona, poi, quasi a controbilanciare la ferita del non essere stato voluto, esprime talvolta il piacere nel pensare di essere stato scelto dalla propria famiglia adottante, preferito tra molti. Gli stessi genitori adottivi alle volte sostengono tale idea sottolineando di aver scelto il bambino per qualche ragione particolare, di averlo in qualche modo "eletto".
Se da una parte tutto ciò compensa una ferita narcisistica profonda, dall'altra potrebbe favorire nell'adolescente un altro tipo di conflitto: sentirsi diviso tra genitori naturali cattivi, rifiutanti e genitori adottivi buoni, accettanti. Il rischio di una scissione tra le figure genitoriali premette la possibilità di una scissione nell'adolescente tra un'immagine di sé buona da un lato e cattiva dall'altro. Se osserviamo bene il rapporto degli adolescenti adottati con i genitori adottanti noteremo atteggiamenti contraddittori: da una devozione eccessiva a duri rimproveri. I genitori divengono oggetto esterno di una confusione emotiva ricca in contraddizioni nei termini.
Alcuni studi indicano che adolescenti adottati che mettono in mostra tale ambivalenza di atteggiamenti nei confronti dei propri genitori adottivi denunciano un vissuto più o meno consapevole inerente all'adattamento alla nuova famiglia.
I genitori adottanti, durante questo periodo di crescita, paiono attraversare una vera crisi genitoriale.
Complice la mancanza di informazioni certe sui genitori biologici del proprio figlio, potremmo assistere allo svilupparsi di più o meno celati timori concernenti l'adolescente, magari di una eredità patogena.
L'inevitabile conflitto tra genitori e adolescente rischia di rimettere in discussio nel'immagine di "buoni genitori", facendo tornare in primo piano le motivazioni più o meno consapevoli che hanno spinto verso il percorso adottivo. Alcuni genitori denunciano un forte senso di impotenza dinanzi alla carica emotiva con cui i propri figli si rivolgono loro e, conseguentemente, paiono attraversare fortissimi vissuti di inadeguatezza circa il proprio ruolo.
L'adolescente, dal canto suo, si confronta con una impellente necessità di identificare il proprio corpo che repentinamente sta cambiando. Le differenze somatiche intra-familiari, che fino ad ora forse non occupavano maggiore spazio di una curiosità tipicamente infantile, divengono centrali nell'attenzione generale.L'adolescente comincia a cercare riferimenti chiari dal punto di vista corporeo; egli cerca di comprendere il senso di tanti cambiamenti attraverso il modo più naturale al mondo: ricerca uno specchio vivente che giustifichi quanto accade a se stesso.
La necessità di riconnettersi con le proprie origini biologiche assume così un gusto che va al di là del bisogno di dare un senso alla propria storia personale; il ritrovamento della propria storia, dei propri genitori biologici, diviene un modo per potersi rispecchiare in una realtà fisica, oltre che psicologica e narrativa, una maniera per riconoscersi nel cambiamento in atto. Il tema del corpo è particolarmente importante: noi tutti tendiamo a dare per scontato l'essere fisicamente come siamo. Sapere di assomigliare a qualcuno e potersi rivedere nel colore degli occhi, nella forma del viso o nel tono della pelle di un genitore, significa rinforzare un'immagine di Sé nel presente, testimoniata dalla presenza di qualcuno che almeno un po' ci assomiglia e che testimonia come diventeremo nel futuro.
Il proprio figlio non ci somiglia, ma sceglie di dimostrare apertamente i propri conflitti interni. Non "dimostra"somiglianza, ma "mostra" se stesso alla propria famiglia adottiva; e nel farlo magari attacca verbalmente i componenti della famiglia oppure agisce comportamenti contrari alla regolamentazione familiare. È un fallimento educativo del lavoro genitoriale?
Una possibile lettura di tali comportamenti devianti le norme esiste! Il figlio, sia egli erede biologico oppure no, in questa fase dello sviluppo elegge la propria famiglia a contenitore "sufficientemente solido" dove elaborare i gravosi sobbalzi emotivi di cui è vittima: utilizza il proprio nido familiare per mettere in scena i propri conflitti interni o per confrontarsi apertamente con essi. Nel caso di minori adottati, quindi, potremmo ipotizzare che i disagi esposti palesemente siano un atto di fiducia del figlio nei confronti della propria famiglia. Non dimentichiamo che se l'adolescenza di per sé è periodo di grande confusione identitaria, fisiologica e sociale, per chi porta sulle proprie spalle la consapevolezza di uno strappo, di una ferita da abbandono, questo periodo della vita può risultare oltremodo faticoso e non lasciare spazio psicologico edemotivo a molto altro. Riuscire a non implodere, ma a palesare il fortissimo disagio che si esperisce, per un adolescente significa sentire di avere i supporti necessari nell'ambiente che lo circonda per poter cercare di trasformare quanto di negativo sta percependo in qualche cosa di buono, di utile e il più simile possibile all'amore di cui si sente circondato.
Il figlio, potremmo azzardare a dire, cerca e stimola il nascere e il crescere di una somiglianza emotiva con la propria famiglia adottiva.
Bibliografia
J.Laplanche - J.B. Pontalis, Enciclopedia dellapsicoanalisi, Roma- Bari, Laterza, 1998.
D.Marcelli - A. Braconnier (1983), Adolescenzae psicopatologia, Milano, Masson, 2000.
Alla ricerca delle informazioni perdute, a cura di F. Pergola, Milano, Franco Angeli, 2001.
Franco Carola
psicologo, psicoterapeuta e gruppoanalista, esperto inpsicologia scolastica e in tecniche di rilassamento.
Lavora da anni sui temi legati al parenting e, inparticolare, sulla genitorialità adottiva.
Docente in training presso la SGAI (Società gruppoanaliticaitaliana), è Student member IAGP (International Association for GroupPsychotherapy and Group Process)