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Genitori sospesi: l'attesa di un figlio adottivo

A cura di: Intervista di Patricia Ruscio Anna Guerrieri
Data: 26-08-2014
Argomento: Attesa

Il recente caso dei bambini adottati dalle famiglie italiane e bloccati in Congo, ha posto sotto l'attenzione il delicato momento in cui le famiglie attendono l'arrivo del figlio a loro destinato. Ne parliamo con uno psicologo che lavora da anni con le famiglie adottive ma soprattutto con tre mamme che ci raccontano la loro esperienza

DI PATRICIA RUSCIO
Genitori sospesi: l'attesa di un figlio adottivoLa lunga attesa si è conclusa felicemente. Le immagini delle scorse settimane mostrano i volti al colmo della gioia delle famiglie adottive italiane che, dopo sette mesi, hanno abbracciato i trentuno bambini del Congo rimasti bloccati a causa di una sospensione delle procedure adottive da parte delle autorità del luogo. “Questa vicenda, che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, invita a riflettere. È un’occasione per provare a condividere cosa si prova quando si aspetta un figlio, nato, come in questo caso, in un paese lontano.” commenta il dott. Francesco Marchianò, psicologo e psicoterapeuta che lavora da anni con le famiglie adottive.
Parlare di adozione equivale a prendere in considerazione due mondi che si incontrano: il mondo dei genitori e quello dei bambini.

La coppia che ha deciso di adottare ha spesso rinunciato a un figlio biologico e ha la consapevolezza che i modelli genitoriali tramandati dai futuri nonni non saranno adeguati. Per questo motivo si interroga ed ha la necessità di confrontarsi con chi vive un’esperienza simile. Mentre si attende il proprio bambino possono succedere tante cose, che trasformano il tempo dell’attesa in un momento di crescita e preparazione vera all’accoglienza. 

Nel caso dei bambini la situazione è diversa. Il livello di consapevolezza sul proprio futuro è variabile e dipende da tanti fattori, non ultima l’età e la storia familiare. Un bambino adottato corre un grosso rischio se incontra un adulto che non sa ascoltare. Lui o lei avranno bisogno di condividere la storia passata, elaborare i perché ed i misteri spesso connessi alle sue origini, sapere e constatare insieme ai genitori adottivi che c’è continuità tra il suo passato è il suo presente.  

“Per chi lavora come terapeuta familiare è sorprendente scoprire quanti aspetti gli adulti abbiano in comune con i bambini” prosegue il dott. Marchianò “È un dato di fatto che sia i genitori che i figli hanno paura di non essere adeguati. Il timore di non essere all’altezza delle aspettative dell’altro, può venir taciuto anche per anni”. Il percorso per ottenere l’idoneità ad adottare un bambino è costellato da tanti colloqui in cui si viene ascoltati con un fine valutativo. Sono pochi i momenti in cui ci si può permettere di chiedere un supporto. Consentire alla coppia di parlare delle proprie fragilità prima che accolga il bambino, può essere una modalità estremamente efficace per migliorare la complementarietà e i punti di forza dei due coniugi e futuri genitori. “C’è da dire che troppo spesso i genitori adottivi sperimentano sulla loro pelle l’impreparazione di una società distratta” conclude il dott. Marchianò “capace si di emozionarsi però, a volte, incapace di valorizzare le diversità al fine di una vera integrazione. A livello esemplificativo cito un veloce scambio avvenuto durante un incontro con alcune coppie di genitori:
Mamma adottiva: “Sono stufa di sentirmi dire che siamo dei bravi genitori anche da chi ci conosce appena!”.
Mamma biologica: “ed io sono stufa di non sentirmelo dire mai!”.
Chi adotta e chi è adottato ha bisogno di normalità, in questo può consistere la vera accoglienza.

LE STORIE DI CHI HA ADOTTATO
Roberta, 55 anni insegnante, madre di Fabiana e Isabel
Il periodo che ho vissuto prima dell’arrivo delle mie figlie è stato, tutto sommato, sereno. I servizi ci hanno assistito in tutti i passaggi dell’adozione, concedendoci di adottare due bambine e realizzare così il nostro sogno: diventare genitori. Se ho superato quel momento è stato grazie a una buona dose di ottimismo, che mi ha sempre accompagnato lungo tutto l’iter, e alla solidarietà che sentivo con la loro madre biologica. Durante l’attesa siamo stati aiutati da un gruppo di genitori adottivi in cui ci si confrontava e si condividevano le esperienze. Tuttavia non sono mancate le ansie. Avevo paura che le mie figlie non mi avrebbero accettato o che non le avrei amate. Nei giorni immediatamente prima dell’incontro mi sono spesso chiesta: “E se non mi piacessero? Cosa succede se non scatta quel clic che mi fa innamorare di loro?”. Per fortuna tra me e mio marito c’è un dialogo totale che ci ha aiutato ad elaborare i timori insieme. E ora posso dire di essere stata esaudita al di sopra della mie aspettative. L’incontro con Fabiana e Isabel è stato magico. Le bambine hanno dimostrato sin da subito una personalità molto forte, pur reagendo alla conoscenza ognuna a modo suo. Fabiana, la più piccola, si è subito dimostrata aperta ed espansiva mentre Isabel più diffidente. Della loro storia sappiamo poco e niente. Ci hanno raccontato qualcosa quando siamo andate a conoscerle ma il contatto è stato talmente positivo che abbiamo fatto tabula rasa del loro passato.

Annalisa, 50 anni impiegata, madre di Yusel e William
Ho sempre considerato l’adozione un gesto d’amore pari alla scelta di avere un figlio naturale. Per questo, quando io e mio marito abbiamo scoperto di non poter aver figli, ci siamo rivolti a un’associazione senza alcun ripensamento. Il nostro percorso di adozione è stato lungo: quattro anni in tutto e tante difficoltà da superare. E’ stata una palestra talmente dura da farci perdere, a momenti, la speranza di diventare genitori. Abbiamo ricominciato a farlo quando ci hanno chiamato per l’abbinamento. Desideravamo un figlio latino-americano perché conosciamo e amiamo la loro cultura. All’inizio i servizi volevano darci in adozione un solo figlio perché lo spazio a nostra disposizione era limitato. Ma noi ci siamo fatti valere affinché fosse diversamente e alla fine ci hanno accontentati. A parte queste difficoltà burocratiche abbiamo vissuto l’attesa abbastanza serenamente. Tuttavia l’ansia si è fatta sentire immediatamente prima dell’incontro, con il terrore panico di non essere all’altezza del ruolo. Temevo inoltre che lo spazio di conversazione tra me e mio marito si sarebbe ristretto. Ne abbiamo parlato e nelle sue parole ho trovato la rassicurazione, ciò di cui avevo bisogno. A distanza di otto anni posso ritenermi soddisfatta. Di errori se ne fanno tanti ma l’amore che ti ispirano i figli aiuta a superare tutto.

Elisabetta, 48 anni impiegata, madre di John e Veronica 
Ci siamo sposati nel ’98 e abbiamo subito provato ad avere figli, senza riuscirci. Abbiamo anche tentato con la fecondazione assistita ma senza alcun esito. Dopo molte ricerche ho scoperto che ero io a non poterne avere. Ho provato un dolore fortissimo accompagnato da un senso di colpa nei confronti di mio marito. Inconsciamente ho anche cercato di allontanarlo, ma la sua costanza nello starmi vicino mi ha convinta a restare e tentare la strada dell’adozione. A distanza di tempo posso dire che è stata la scelta giusta. Decidere di adottare un figlio significa entrare simultaneamente nel ruolo di genitori e, anche quando i tempi dell’attesa sono lunghi, se ben gestiti consolidano la coppia. Abbiamo affrontato con serietà e impegno gli innumerevoli colloqui e alla fine è arrivato John. Aveva dieci mesi e mezzo quando l’abbiamo adottato. Ritrovarmi mamma di un bambino così piccolo mi ha creato qualche problema all’inizio, ma superati i primi tempi abbiamo fatto richiesta per adottare un secondo bambino. Durante quell’interminabile periodo, il mio timore più grande è stato che l’adozione non andasse a buon fine. Consiglio a chiunque voglia adottare di confrontarsi con le coppie che lo hanno già fatto, non chiudendosi in sé stessi. E festeggiare tutte le tappe di questo lungo percorso.
 
http://d.repubblica.it/famiglia/2014/08/26/news/psicologia_adozione_genitori_figli_attesa_tempo-2258509/ 


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