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Il percorso verso l’idoneità adottiva vissuto da un operatore del settore: riflessioni su debolezze e punti di forza

A cura di: Fatima Uccellini 
Data: 11-02-2007
Argomento: Parlare di adozione

Nella mia duplice veste di genitore adottivo e operatore del settore psico-sociale, vorrei soffermarmi su alcune riflessioni relative all’iter verso l’idoneità adottiva che, circa tre anni fa, successivamente alla domanda di adozione di mio figlio, mi ha portato a contatto, per la prima volta, con il complesso lavoro dei colleghi di uno dei GIL dei Servizi Sociali presenti nella mia città, Roma. (La sigla GIL indica la frase Gruppo di Lavoro Integrato e rappresenta quello che in genere viene indicato col nome Equipe Adozione, consiste di operatori delle ASL e dei servizi sociali).
    L’esperienza di valutazione ai fini dell’idoneità genitoriale, sebbene nel mio caso non sia risultata affatto negativa, è stata per me un’occasione di riflessione sotto il profilo strettamente professionale ma anche dal punto di vista delle aspettative di un aspirante genitore adottivo relative a questa delicata  fase del percorso di adozione rimaste, se non del tutto deluse, non pienamente soddisfatte.
    In primo luogo, premetto di essere consapevole del fatto che gli operatori del settore si trovano ad affrontare, all’interno di un contesto non facile e  pieno di contraddizioni come quello dei Servizi Sociali,  un compito delicatissimo, di grande complessità e  responsabilità come quello di valutare la capacità genitoriale potenziale di una coppia partendo dalla motivazione alla base del loro progetto adottivo e prognosticare la loro riuscita nel favorire nel bambino i processi di adattamento al nuovo ambiente, di formazione dei legami affettivi, di attaccamento e di elaborazione dell’abbandono.
    Infatti, la scelta di muoversi in un’ottica di mera valutazione, per quanto riguarda la fase che conduce all’identificazione dell’idoneità, sebbene semplifichi notevolmente il compito degli operatori stessi, appare alquanto riduttiva ed incompleta se essa non viene ad inserirsi all’interno di un approccio più globale che non può prescindere dalla “presa in carico” della domanda che, dopo essere stata analizzata nei suoi molteplici aspetti manifesti e latenti, può e deve essere restituita alla coppia in modo tale da favorire la sua “pensabilità” per l’assunzione di scelte più consapevoli e responsabili possibili.
Dal confronto con altre coppie di genitori adottivi sul percorso “psicodiagnostico” (qui inteso in senso lato) per l’idoneità proposto dai diversi GIL del Lazio, è emersa, con mio grande stupore, una grande eterogeneità della metodologia utilizzata, di volta in volta sempre diversa perchè, probabilmente, legata strettamente alle diverse competenze messe in campo dagli operatori stessi che evidentemente  possiedono, di fatto, una professionalità molto differenziata.
Personalmente, sono convinta che gli strumenti necessari per operare un’accurata analisi della domanda e valutare le motivazioni relative ad essa, soprattutto se applicati ad una materia così complessa, andrebbero opportunamente pensati, scelti ed, infine, organizzati attraverso un impianto metodologico di riferimento comune a tutti gli operatori del settore adozione, al cui interno siano rese significative le varie scelte tecniche e metodologiche (colloqui individuali, colloqui di coppia, tests…).
Inoltre, penso costituisca un obiettivo altrettanto importante quello relativo alla costruzione di un  rapporto qualitativamente significativo tra gli operatori e la coppia che, se non può caratterizzarsi come una vera e propria “alleanza terapeutica” nel senso tradizionale del termine, si debba configurare come una relazione basata sull’ accoglienza, sulla fiducia e sullo scambio al fine di costruire uno spazio mentale comune e condiviso, favorente l’esplicitazione di interrogativi, fantasie, aspettative e timori relativi al figlio che si adotterà, uno spazio che possa, soprattutto, attivare un confronto tra questi vissuti emotivi  e la realtà genitoriale che si vivrà nel concreto.
Nel ruolo di utente, nei panni di chi si è trovata per una volta “dall’altra parte della barricata” e dopo aver vissuto nella sua completezza tutto l’iter adottivo, infatti,  sono convinta che questa fase, in sè potenzialmente molto significativa visto che rappresenta concretamente l’inizio del percorso di adozione,  costituisca un momento topico del cammino adottivo  poiché porta la coppia a confrontarsi  in modo strutturato e pragmatico con la propria motivazione,  nel momento stesso in cui la esplicita e cerca di  farla comprendere ad un altro, l’operatore del GIL. Mi sembra che  l’importanza del passaggio che avviene all’interno del percorso per l’idoneità, da una dimensione tutta interiore del progetto adottivo, ad un’altra esternalizzata ed esplicitata dello stesso, venga spesso sottovalutata, con il rischio di svuotare questa fase, almeno parzialmente, del suo vero significato intrinseco.
E’ pur vero, tuttavia, che queste riflessioni sembrano andare in direzione esattamente opposta all’idea comune in alcune coppie che fanno domanda di adozione, la cui tendenza di base è quella di pensare al momento di valutazione per l’idoneità genitoriale come ad una fase meramente strumentale al raggiungimento del loro scopo adottivo, una tappa obbligatoria da lasciarsi alle spalle il più presto possibile.
Perciò, alla luce di queste brevi considerazioni, ritengo sia necessaria e fondamentale una formazione a due livelli delle figure professionali che operano all’interno dei GIL, uno sul versante strettamente metodologico e l’altro su quello  più psicologico-relazionale, un percorso formativo che miri al superamento di un approccio clinico che, anche per problemi contingenti legati spesso al tempo disponibile e alle molteplicità degli interventi a cui devono far fronte i Servizi Sociali stessi, appare talvolta parziale e  limitato  a quegli aspetti considerati “canonici” legati alla motivazione ad adottare. Ad esempio, sembra costituire un tema comune, a volte addirittura l’unico affrontato in sede di valutazione per l’idoneità genitoriale, quello inerente al problema dell’elaborazione del lutto relativo alla sterilità che, sebbene riconosco essere un tema “forte” per i futuri genitori adottivi,   può rischiare di mettere in secondo piano altre molteplici motivazioni della coppie stesse, talvolta molto lontane da vissuti dolorosi  relativi ad una genitorialità biologica fallita.
 Mi sembra necessario che, come peraltro già avviene in alcuni casi grazie alla preparazione professionale dei singoli operatori, l’iter dei colloqui per l’idoneità debba costituire uno spazio di riflessione ampia ed articolata sulla propria scelta adottiva che, fermo restando l’uniformità metodologica di base, contempli  al suo interno anche la possibilità  di essere differenziato in modo flessibile a seconda delle caratteristiche e dei bisogni espressi da ogni singola coppia, e favorisca al contempo una continuità tra il momento pre-adottivo e quello post- adottivo.
C’è da augurarsi che, all’interno di una reale cultura dell’infanzia sempre più diffusa e completa, quindi, possa trovare spazio una professionalità davvero specializzata dei colleghi operanti nei GIL al fine di rendere il percorso per l’idoneità un momento costruttivo per l’acquisizione da parte della coppia genitoriale di quegli strumenti interiori, di tipo emotivo e “psicologico”  che la possano guidare nelle successive fasi dell’iter adottivo, fino all’incontro con il figlio e, se possibile, anche oltre.





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