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Attaccamento e vita

A cura di:  Mariagloria Lapegna
Data: 22-05-2007
Argomento: Attaccamento

Sintesi tratta da "Attaccamento e ciclo di vita", in "Famiglia oggi", n. 4 aprile 2007, Ed. San Paolo.

La teoria dell’attaccamento è stata sviluppata a partire dagli anni ’60 da John Bowlby, psichiatra di origine inglese, con il contributo della psicologa Mary Ainsworth.
L’originalità del pensiero di Bowby risiede nel nuovo modo di concepire l’origine della relazione affettiva tra la madre e il bambino, non più determinata dal soddisfacimento dei bisogni corporei del piccolo. Riprendendo i principi dell’etologia, Bowlby sviluppò l’ipotesi secondo cui il bambino si lega a una figura di riferimento, principalmente la madre, che sia in grado di assicurargli adeguata protezione e cura ai fini dell’esplorazione del mondo circostante. Tale ipotesi trovava riscontro nel contesto della teoria evoluzionistica, che vede il bambino mettere in atto le strategie più idonee a garantire la propria sopravvivenza.

Le osservazioni dirette condotte dalla Ainsworth sul bambino e sulle sue relazioni con la madre hanno dato luogo a due concetti teorici: la sensibilità materna e la base sicura. Per sensibilità materna si intende la capacità della madre di comprendere i bisogni non solo fisici del bambino e di rispondere ad essi in modo soddisfacente. La base sicura è invece il luogo psicologico da cui il bambino parte per affermare la propria individualità ed avviare l’esplorazione del mondo con la certezza di essere sempre protetto in caso di necessità.

Gli studi della Ainsworth hanno permesso inoltre di codificare tre stili di attaccamento infantile, verificabili in bambini di uno-due anni tramite situazioni di disagio indotte sperimentalmente: uno stile “sicuro” e due “insicuri”; un quarto stile, detto “disorganizzato”, sarà individuato successivamente da Mary Main.

La situazione di laboratorio elaborata dalla Ainsworth per il test (detta “Strange situation”) prende in esame il comportamento del bambino in seguito a una tensione emotiva vissuta in assenza della madre: se il bambino è contento di rivedere la madre e desidera essere consolato, vuol dire che la “usa” come base sicura e sarà presto di nuovo pronto a giocare. Questo tipo di legame viene definito “sicuro” perché viene riconosciuta una “base sicura” di riferimento. Se invece il bambino ignora la madre al suo rientro, esprime uno stile di attaccamento “insicuro”, probabilmente perché spesso le sue richieste di aiuto sono state disattese o negate; questo stile viene definito “insicuro-ambivalente”. “Insi curo-evitante” è invece lo stile di attaccamento di un bambino che, al rientro della madre dopo una situazione di stress, non riesce a calmarsi nemmeno tra le sue braccia, come se comunque non riuscisse a fidarsi della propria figura di riferimento. Nell’attaccamento disorganizzato, infine, il bambino non riesce affatto ad organizzare in modo coerente il proprio bisogno di conforto, mostrando strategie opposte simultaneamente o in rapida sequenza: per esempio il bambino piange quando il genitore si allontana ma lo evita quando si riavvicina per consolarlo. Un genitore che ha indotto nel bambino questo tipo di legame ha spesso sofferto un lutto o un grave trauma nel corso del primo anno di età del bambino e, di conseguenza, è stato con il suo comportamento fonte di paura e di pericolo, oltre che di conforto. 

Tutti gli stili di attaccamento sono determinati dalla capacità del caregiver, di solito la madre, di comprendere e rispondere ai bisogni del bambino. Bowlby paragona la relazione di attaccamento a un termostato: quando il bambino avverte la presenza rassicurante del genitore, è in grado di allontanarsi per giocare ed esplorare l’ambiente circostante, ma quando la vicinanza con questa figura è messa in discussione (perché si allontana o perché avverte un pericolo), allora il bambino tenderà a ripristinare la vicinanza con l’adulto.

Non tutti i legami affettivi rilevanti possono essere definiti di “attaccamento”. La figura di attaccamento è tale se viene ricercata non solo per giocare ma soprattutto nei momenti di difficoltà o stanchezza, quando il bambino mostra la necessità di essere coccolato e rassicurato.

Il carattere sicuro o insicuro del legame condiziona, secondo Bowlby, i “modelli operativi interni” che tendono a stabilizzarsi intorno ai 18 mesi di età. Un bambino che ha ricevuto cure adeguate al momento del bisogno avrà una immagine di sé positiva, come meritevole di amore, e si riterrà capace di esprimere le proprie necessità. Al contrario, un bambino che non è mai stato consolato, avrà imparato a contare solo su di sé e tenderà ad evitare di richiamare l’attenzione ricorrendo a forme di autoconsolazione. Di conseguenza sarà meno portato a consolare gli altri, interpretando una situazione di malessere altrui secondo il proprio modello operativo interno.

È importante sottolineare, tuttavia, che i modelli operativi interni, pur funzionando da prototipi per gli altri legami significativi che verranno stabiliti nel corso della vita, potranno essere “aggiornati” se la relazione tra genitore e bambino si modifica in modo sostanziale: scopo dei modelli è infatti prevedere il comportamento altrui per organizzare le proprie azioni. È questo il caso dei bambini adottati o in affidamento che in una nuova famiglia possono sperimentare relazioni affettive più positive di quelle vissute nella prima infanzia.

Negli anni ’80 l’attenzione si rivolge allo studio dei legami adulti e le linee di ricerca sono molteplici. Si indaga la trasmissione intergenerazionale dei legami di attaccamento: il tipo di relazione stabilita con la propria madre, elaborata successivamente nell’età adulta, condiziona la formazione della “sensibilità materna” e si riflette nel tipo di cure che verranno poi fornite ai figli. Si delinea così una continuità generazionale nelle modalità di relazione tra madre e figlio, influenzata tuttavia anche dalla qualità del legame di coppia e dalla rete di supporti sociali disponibili.

Si esamina inoltre il legame di attaccamento stabilito con il partner alla luce di un possibile rapporto di causalità con l’esperienza affettiva infantile: la costruzione di un legame sicuro nell’infanzia consente un processo evolutivo “sano” che prevede il progressivo distanziarsi dalle figure genitoriali per la conquista dell’autonomia. Al contrario, un legame insicuro renderà più difficile l’esplorazione di nuove relazioni e la scelta di un partner adeguato: l’individuo che cerca di allontanarsi dalla famiglia proverà così sensi di colpa o tenderà a proiettare nel partner il proprio bisogno di sicurezza non soddisfatto, pregiudicando in questo modo anche la relazione con i figli. Anche in questo caso, tuttavia, è possi bile che la nuova relazione affettiva e l’esperienza familiare portata dal partner diano un nuovo slancio al necessario processo evolutivo verso l’età adulta.

L’adolescenza è un periodo vissuto spesso in modo particolarmente difficile nella famiglia. La spinta dei figli verso l’autonomia è talmente forte da assumere spesso i tratti della ribellione aperta o del rifiuto dei valori trasmessi. Di fatto, gli adolescenti vivono profonde trasformazioni fisiche e biologiche che si accompagnano a nuove acquisizioni cognitive. L’adolescente si trasforma da una persona esclusivamente bisognosa di cure in un potenziale genitore. La possibilità di pensare per astrazioni e generalizzazioni consente inoltre di confrontare le proprie relazioni familiari con quelle ideali o quelle altrui riuscendo a stabilire, tra l’altro, se i propri bisogni sono stati adeguatamente soddisfatti nell’infanzia. 
È in questo periodo che le figure di attaccamento primarie tendono ad essere sostituite: i genitori vengono spesso preferiti agli amici, che possono provocare reazioni emotive complesse e intense.

Per essere definito “di attaccamento”, tuttavia, un legame affettivo deve soddisfare quattro condizioni tipiche riferite alla stessa persona:

1) Si ricerca in particolare la vicinanza della figura di attaccamento;

2) la figura di attaccamento viene desiderata soprattutto in situazioni di stress e disagio;

3) L’assenza della figura di attaccamento provoca tristezza o ansia;

4) La figura di attaccamento percepita come disponibile in caso di bisogno favorisce l’esplorazione dell’ambiente circostante (effetto “base sicura”).

Secondo recenti stu di queste quattro condizioni si realizzano contemporaneamente in riferimento a un coetaneo solo intorno ai 15 anni. Aver raggiunto questo livello di maturazione, tuttavia, non significa non avere più bisogno dei genitori. Al contrario, un ragazzo che ha sperimentato con la madre e il padre una relazione sufficientemente sicura, potrà diventare più felicemente autonomo e indipendente, perché conserverà la certezza che, nonostante il proprio progressivo allontanamento, potrà sempre contare sui genitori in caso di necessità. Se nel rapporto prevale la fiducia e l’ascolto, il ragazzo potrà esprimere con maggiore facilità i propri dubbi e anche i sentimenti negativi, perché sarà sicuro di non perdere l’amore dei genitori. La preesistenza di un legame “sicuro”, quindi, potrà piuttosto rafforzare la relazione genitori-figli in una prospettiva adulta. Al contrario, un ragazzo spinto troppo precocemente verso l’autonomia che ritiene di non essere stato adegua tamente sostenuto nel momento del bisogno, ! proverE 0 una sottile ostilità probabilmente non compresa dai genitori, innescando così un meccanismo di non-comunicazione o di aggressività reciproca. 
Lo sviluppo di una relazione “sicura” o “insicura”, secondo le definizioni di Mary Ainsworth, porta al consolidarsi di diversi stili di attaccamento nelle persone. Gli stili “insicuri”, tuttavia, non costituiscono particolari fattori di rischio per disturbi emotivi nell’età adulta, a differenza dello stile di attaccamento detto “disorganizzato”: in quest’ultimo caso il bambino non riesce ad elaborare una rappresentazione unitaria della figura di riferimento che mostra reazioni imprevedibili davanti alle richieste di conforto del bambino, come la collera o la paura. Questo tipo di relazione induce una rappresentazione di sé molteplice e incoerente: ci si può sentire vittima ma anche persecutore e questa immagine disgregata s embra essere all’origine di gran parte dei disturbi psicopatologici in cui manca la capacità di gestione delle proprie emozioni. 
Va sottolineato, tuttavia, che non sempre uno stile di attaccamento disorganizzato provoca squilibri emozionali, anche se l’osservazione di moltissimi disturbi dell’età adulta ha evidenziato spesso la presenza di questo stile. E’ comunque possibile, grazie all’identificazione precoce di questo tipo di attaccamento nei bambini, prevenire eventuali disturbi successivi e aiutare i genitori a ristabilire sicurezza e integrità con nuove relazioni affettive favorendo la coerenza nella rappresentazione di sè e degli altri. 




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