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Articolo

Adolescenza

Autore/i:
Anna Guerrieri
MariaLinda Odorisio

Data: 24-05-2007
Argomento: Collana GENITORI SI DIVENTA

Adozione e adolescenza
Ciò che in un qualsiasi adolescente può manifestarsi come malessere, nell’adolescente adottivo, può assumere le caratteristiche di un disagio profondo. Anche se il ragazzo o la ragazza sono arrivati nella propria famiglia da piccoli, anche se non vi sono differenze somatiche evidenti con i propri genitori, il periodo che coincide con l’entrata nella scuola media corrisponde ad una riattualizzazione di tematiche prorompenti.
Chi sono? Cosa voglio? Come mi vedono gli altri? Sono adeguato? Cosa diventerò?
Queste tipiche domande dell’età adolescenziale si colorano nell’adolescente adottivo di sfumature più intense e che obbligano a fare i conti con le proprie origini, con la propria storia adottiva.
A chi assomiglio?
E’ una domanda assolutamente difficile per un ragazzo o una ragazza adottati.
L’impossibilità di rispecchiarsi somaticamente nei propri genitori (e questo è indipendente da questioni riguardanti etnie e colori) apre la sensazione di un vuoto, di un non saper cosa essere, di poter essere altro da quello che si vive in casa.
E’ come guardarsi in uno specchio e vedere solo se stessi: nessuno che ci somigli.
E’ importante ricordare che nell’adolescente adottivo è sempre in agguato la disistima, il senso d’inadeguatezza. Il non sapere il perché concreto e reale dell’abbandono suscita dei fantasmi, immagini fantastiche che talvolta si trasformano in incubi: “Mi ha lasciato perché c’era qualcosa di tragico in lei e nella sua famiglia … e quindi c’è in me qualcosa di altrettanto tremendo”. “Mi ha lasciato perché io e proprio io ero un peso”. “Mi ha lasciato perché lei è riprovevole, e di conseguenza anche io lo sono”. Una sorta di predestinazione al dolore, alla macchia.

Adulti accanto
E’ essenziale che nel corso di questo faticoso e delicato percorso gli adolescenti in generale - e i figli adottivi in particolare - abbiano la possibilità d’incontrare degli adulti, diversi dai propri genitori, attenti e consapevoli del grande sforzo che stanno compiendo.
Gli insegnanti possono concretamente aiutare i ragazzi fornendo loro parole-pensiero che diano sfogo al troppo pieno emotivo che spinge l’adolescente a fare prima che a pensare, nel senso di facilitare la dicibilità dei sentimenti.
E’ importante intercettare i disagi. Aiutare il ragazzo a non vittimizzarsi, ma nello stesso tempo a non sottovalutare, o peggio, a negare la propria individualità, la propria storia, colludendo con il suo desiderio di essere uguale agli altri.
Si tratta di evitare ogni tentazione di semplificare, ricordando che complesso non è sinonimo di complicato.

Tratto dal libro "A scuola di adozione"

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