Autore: 
Monica Nobile

I genitori sono costantemente occupati – e talvolta preoccupati – a garantire nel migliore dei modi la frequenza scolastica dei loro figli. É un impegno che comincia dall’asilo nido e coinvolge l’intero percorso formativo, oltre la maggiore età, oltre l’obbligo scolastico. Perché dalle giuste scelte, dalla possibilità di crescere e maturare, di acquisire sicurezza nel proprio sapere e di poter disporre della propria competenza formativa, pensiamo dipenda la serenità futura dei nostri figli. 

Se ciascuno di noi, calcolatrice alla mano, valutasse il tempo complessivo dedicato alla scuola, scoprirebbe quasi sicuramente che si tratta della quota maggiore di investimento nell’educazione dei propri figli.  

Momento cruciale in questo percorso è la scelta, quando ormai i figli sono cresciuti e partecipano ai processi decisionali sul proprio futuro, della scuola superiore. É in gioco il loro futuro, la possibilità di trovare la loro strada, di scoprire le loro passioni da coltivare negli anni successivi, per intraprendere il percorso di vita che li renderà uomini e donne realizzati. 

C’è un momento dell’anno in cui la vita familiare ruota intorno agli open day, quando le scuole presentano i loro programmi e i loro percorsi formativi; se ne discute in casa, spesso si litiga, poiché non sempre le ipotesi dei genitori coincidono con le scelte dei figli. A volte non si sa da che parte andare, nessuna scuola sembra quella adatta, ci si sente affidati al caso, viene voglia di tirare il dado e affidarsi al destino. 

Perché tutto risulta così difficile? Perché tutti gli attori coinvolti: ragazze e ragazzi, genitori, insegnanti, dirigenti, non riescono a trovare uno spazio di riflessione e dialogo comune, che consenta di condividere scelte e decisioni in una forma meno ansiogena e più armoniosa? 

In un articolo del 31 marzo 2023 sul Corriere della Sera dal titolo “La scuola dell’ansia” Massimo Gramellini scrive che

in un famoso liceo milanese, il Berchet, sta succedendo qualcosa: dall’inizio dell’anno si sono già ritirati cinquantasei studenti e oltre trecento hanno dichiarato di soffrire d’ansia e di sentirsi vessati dagli insegnanti. Il Berchet è un caso clamoroso, ma non isolato: segnalazioni simili giungono da decine di licei in tutta Italia. Gramellini conclude l’articolo scrivendo “bisogna trovare parole nuove” 

Mi ha fatto pensare alla necessità di un linguaggio finalmente disteso, dove si ritrovi la possibilità di scambio autentico. 

A volte mi sembra che nella scuola ciascuno degli attori si muova in un proprio contesto senza la capacità di entrare in autentica relazione con tutti gli altri. 

Vorrei evitare qui di incolpare qualcuno, di imputare ad uno o più attori la responsabilità, la causa di un cattivo funzionamento dei meccanismi che regolano il percorso scolastico e di crescita. 

Provo a soffermarmi sull’immagine della scuola che vorrei e individuare gli aspetti che potrebbero rendere la crescita meno difficoltosa e più armoniosa. 

Partirò dunque dal concetto di fiducia, come elemento imprescindibile per la collaborazione tra tutti gli attori impegnati a raggiungere soddisfacenti obiettivi nel percorso scolastico. 

La disponibilità a dare fiducia è l’ingrediente che consente l’ascolto. Nella scuola che vorrei il genitore ascolta i consigli dell’insegnante che ha seguito un ragazzo per anni, che l’ha conosciuto e che può dare suggerimenti utili per le scelte successive. L’insegnante ascolta il genitore, che conosce profondamente il proprio figlio e la sua storia e che può fornire indicazioni preziose sulle sue possibilità e sulle sue difficoltà. L’insegnante di scuola superiore ascolta il genitore ma anche gli insegnanti della scuola media, che nel tempo hanno potuto, forse, acquisire informazioni importanti sul ragazzo che dovrebbe scegliere un certo percorso. Ascolta anche i suoi colleghi poiché le diverse prospettive aiutano a elaborare un quadro generale articolato e ricco di spunti e riflessioni interessanti; lo stesso studente può comportarsi in modi molto diversi rispetto alle diverse materie e i diversi insegnanti. 

Nella scuola che vorrei il dirigente scolastico ascolta i suoi insegnanti e sa cogliere le loro considerazioni per presentare, in forma veritiera e corrispondente, le reali possibilità e offerte della sua scuola. 

Nella scuola che vorrei i ragazzi vengono ascoltati, da tutti gli adulti in gioco: sono protagonisti e possono esprimere i loro pensieri e i loro vissuti affinché l’orientamento scolastico sia per davvero efficace e rispondente alle loro inclinazioni e possibilità. Gli studenti di cui scrive Gramellini non dovrebbero sentirsi in ansia, penso. 

L’ingrediente, come scritto sopra, può essere la disponibilità alla fiducia. Molte volte mi sembra sia proprio questo elemento, che sta alla base di una buona comunicazione e un proficuo dialogo, a rappresentare la criticità che rischia spesso di far inceppare l’ingranaggio. 

Possiamo elaborare ottimi progetti di orientamento scolastico, possiamo individuare con sapienza tutti gli specifici indicatori da raccogliere quando andiamo a conoscere la possibile scuola dei nostri figli, possiamo presentare con dovizia di dettagli la scuola che rappresentiamo, ciascuno può offrire il meglio di sé all’interno del proprio ruolo, per aiutare i ragazzi a scegliere, ma ciò finisce molto spesso per non bastare. 

Proprio perché spesso ciascuno trova difficoltà, non facilmente superabili, nello stabilire un dialogo autentico con tutti gli altri, ecco che così ciascuno percorre per proprio conto la sua strada perdendo di vista l’obiettivo comune. 

Tornando all’investimento di cui si è trattato all’inizio dell’articolo, credo sia importante cercare le motivazioni che spesso ci portano a sentire stanchezza e frustrazione. L’investimento sulla scuola può essere accompagnato dalla frustrazione perché a tutti gli attori sembra che lo sforzo e l’impegno non siano mai sufficienti. 

Quante volte l’insegnante si sente poco compreso e poco rispettato, quante volte il genitore si sente giudicato dall’insegnante e poco ascoltato dal figlio, quante volte i figli si sentono poco capiti da insegnanti che sembrano non vederli e genitori che li fanno sentire incalzati e oppressi. Quante volte un dirigente si sente giudicato di parte; sbilanciato dalla parte degli insegnanti o ingiustamente schierato dalla parte dei genitori. 

A concludere il quadro possiamo introdurre anche il ministro dell’istruzione che periodicamente introduce normative mal digerite da chi dovrebbe applicarle e da chi potrebbe usufruirne. 

Si potrebbe investire maggiormente sulla comunicazione efficace come tassello importante nella costruzione della comunità educativa. 

Partendo dall’ascolto autentico sulle reali difficoltà che ciascuno vive nella scuola, per ricercare percorsi che portino davvero ad un cambiamento del clima – oggi a mio avviso davvero molto pesante – che nella scuola si respira. 

In questo periodo dell’anno cominciamo ad affrontare i prossimi passi da intraprendere rispetto alla scuola. I genitori incrociano le dita e confidano nella giusta scelta della scuola superiore oppure affrontano una scelta che si è rivelata non felice. C’è chi sta prendendo in considerazione un cambio scuola, chi vive drammaticamente il pericolo di abbandono scolastico del figlio, chi dovrà prendere la difficile decisione di attribuire a un ragazzo le insufficienze che lo porteranno a una bocciatura. 

E poi ci sono i nostri ragazzi, il nostro futuro. 

Che portano in loro le fatiche e i disagi, i dubbi e le incertezze, la rabbia e la rassegnazione, la buona volontà e la difficoltà, la paura dell’insuccesso e la speranza di farcela. Certo, molte volte non studiano ma forse dovremmo andare più a fondo sulle ragioni per cui non lo fanno. 

Credo che a loro gioverebbe tanto saperci attorno ad un tavolo con l’autentica volontà di uno scambio che dia spazio alle istanze di ciascuno e che porti ad una progettazione di percorsi che rendono possibile la collaborazione educativa. Perchè un ragazzo che perde la voglia di andare a scuola, che perde la motivazione, rappresenta un fallimento per l’intera comunità educativa. 

Esistono professionalità specifiche che agevolano il dialogo, si possono mettere in campo competenze straordinarie, che rendono possibile il reale spostamento di prospettiva. É urgente, a mio avviso, lavorare in vista di questo traguardo poiché spesso investiamo tanto tempo e tante energie per far funzionare le cose in una scuola sempre più sofferente. Viviamo spesso in un clima di reciproco sospetto e di continuo giudizio. Le conflittualità si stanno mostrando sempre più alte. A pagare, più di ogni altro, sono i ragazzi che devono invece poter intraprendere i loro percorsi nella sicurezza che gli adulti intorno a loro siano capaci di confrontarsi e trovare insieme a loro le possibili strade per la loro crescita e il loro benessere. 

I ragazzi ci guardano e ci ascoltano, più di quanto pensiamo. 

Offrire loro l’immagine di un continuo conflitto tra le parti non li aiuta ad orientarsi nella scuola e nella vita. 

Penso sia interessante chiedere loro cosa ne pensano, quali conclusioni traggono quando vedono un genitore litigare con un insegnante, un insegnante con un collega, un consiglio di classe con il dirigente e via dicendo. 

Potrebbe essere produttivo creare spazi di confronto e di dialogo con loro su questo tema. Potrebbe essere di grande aiuto creare occasioni di mediazione e di facilitazione della comunicazione all’interno della scuola. 

Ritrovando il senso del nostro agire e del nostro investire che ha come finalità ultima il benessere delle nuove generazioni che si affacciano alla vita.


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Data di pubblicazione: 
Martedì, Aprile 11, 2023

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