Autore: 
Monica Nobile – pedagogista, tutor dell’apprendimento, counselor.

Quando l'ho conosciuta, Alice aveva 15 anni. Era arrivata da me perché la madre era molto preoccupata per la sua apatia e la sua tristezza. Non usciva quasi mai con gli amici e pareva essere rinchiusa in un suo mondo, sempre distratta, mai, apparentemente, attenta.

Era dicembre e non aveva una sola sufficienza, tre, quattro, qualche cinque in tutte le materie. Aveva un unico quadernetto dove scriveva gli appunti delle lezioni in classe, prendeva una pagina a caso e lì scriveva, indipendentemente dall'argomento, qualche parola sparsa. Rileggendo né lei né io riuscivamo a decifrare il contenuto, molte volte impiegavamo una buona decina di minuti a ritrovare gli appunti presi, sfogliando pagina per pagina annotazioni sparse, consegne di esercizi per casa, mai svolti. Se cercavo di riflettere con lei sulla sua confusione, innalzava un muro e si intristiva ulteriormente. Se proponevo di utilizzare quaderni diversi per materie diverse mi opponeva un netto rifiuto:

vado bene così, se mi cambi i quaderni non capisco più niente.

Alice è intelligente, sa essere piacevole, si veste in modo originale, fuori dalla moda del momento, è bella, con una nuvola di capelli ricci che la rende particolarmente simpatica. Dal nostro primo incontro, sempre, congedandomi da lei, l'ho abbracciata, incontrando dapprima un corpo rigido, poi via via più arrendevole, sino ad arrivare allo scambio fisico denso di emozioni e di affetto.

Ho smesso di proporle un metodo, semplicemente cominciavo io a studiare, leggevo a voce alta, scrivevo sul foglio qualche appunto in forma semplice e chiara, rileggevo l'appunto. Ho accettato che lei assistesse passiva al mio studio, ma l'ho vista, gradualmente, imitarmi. 

Quando il foglio era completato, lo inserivo in un mio quaderno, che lei non portava via, ma lo lasciavamo in un cassetto per poi riprenderlo all'appuntamento successivo. Fotografavo le pagine scritte e gliele spedivo su whatsapp, lei non rispondeva ma apriva il mio messaggio. Su quel quaderno ci siamo preparate per la verifica di italiano, ottenendo la prima sufficienza dell'anno. Anche così si innescano i circoli virtuosi...É scattato qualcosa in lei, credo le sia venuta voglia di prendere altre sufficienze e penso che finalmente lo abbia ritenuto possibile.

Avevamo stabilito di fare pausa ogni quaranta minuti; le offrivo un biscotto e ce ne stavamo zitte. Mano a mano quelle pause sono diventate occasione di chiacchiere, sospiri, pianti, risate, aneddoti. Cominciavo io raccontando e lei proseguiva regalandomi qualche piccolo pezzetto di sé. L'ho aiutata, credo, a ricostruire il puzzle della sua vita di giovane ragazza un po' fragile e molto disorientata, il quaderno in ordine corrispondeva a un paziente lavoro di riordino interiore. Quando c'era molto da studiare ometteva di aggiornarmi sui compiti da fare, ma un po' per volta mi lasciava intravedere la sua ansia.

Ho pensato che desse per scontato che non ce l'avrebbe mai fatta e che concludesse, dunque, fosse meglio non mettercisi nemmeno.

Ho capito che mai dovevo metterle fretta, ma che dovevo piuttosto scoprire il suo tempo e il suo ritmo.

Abbiamo fatto il patto di non impegnarci ad arrivare alla fine, ma di mettere energie e buona volontà nel fare del nostro meglio. Eliminato lo stress di raggiungere il risultato, poco per volta Alice ha trovato il suo modo di organizzarsi lo studio, a suddividere i tempi di lavoro, a raccontarmi le sue preoccupazioni, letteralmente a svuotare il suo cuore prima di dedicarsi a riempire la sua mente.

Siamo arrivate alla fine dell'anno con un grande traguardo, solo un debito con il cinque in matematica, ma con sette in filosofia e otto in storia e italiano.

Quando le ho comunicato che per quest'anno ormai era in grado di fare da sola ha versato qualche lacrima e mi ha pregata di continuare a vederci almeno una volta alla settimana. Mi ha detto proprio così:

ho bisogno di vederti Monica per capire cosa è successo, com'è stato possibile che a un certo punto ho iniziato ad andare bene a scuola.

Ecco, credo che un obiettivo importante sia quello di rendere consapevoli i ragazzi del loro modo di funzionare, sospendere il nostro giudizio, astenersi dal dire loro come devono o non devono studiare, ma restare ad ascoltarli e osservarli.

Possiamo suggerire facendo noi al loro posto, non pensando che così si adagiano e se ne approfittano, ma con la fiducia in loro e la comprensione di quanto abbiano bisogno di un modello, di un esempio da seguire che li aiuti nel loro disorientamento. 

Ho imparato da Gianfranco Zavalloni il valore prezioso della lentezza: era un dirigente scolastico di Ferrara che consigliava attività semplici ma fondamentali come: perdere tempo a parlare; far parlare gli studenti di loro stessi, del loro vissuto personale per conoscerli e capirli. Suggeriva di tornare al pennino: ovvero far lavorare i ragazzi con la calligrafia, l’arte della bella scrittura. Se la mano è sciolta la mente è leggera ed è pronta ad imparare. 

Guardare fuori dalla finestra: un insegnante che porta i suoi studenti a guardare le nuvole e gli chiede cosa vedono sta creando una scuola eccezionale, una scuola di poesia. Imparare a fischiare: se un tempo era vietato oggi dovrebbe essere obbligatorio. Fischiare, anche tutti insieme, crea una musica incredibile e permette di concentrarsi e di vivere il qui e ora.

La riflessione che desidero portare è che quando un adolescente va male a scuola non necessariamente ha bisogno di andare a ripetizione o comunque non sempre la risposta è quella di potenziare e rinforzare l'aspetto didattico.

Ciò che Alice ha cercato, a modo suo, di spiegarmi è che stava attraversando un periodo di disorientamento generale e che aveva bisogno innanzitutto di comprendere cosa le stesse succedendo, dare un nome al suo stato d'animo, accorgersi di quanto la sua autostima stesse patendo. Aveva anche bisogno di non trovarsi di fronte a un nemico contro cui opporsi, ma di poter contare su un adulto che sapesse ascoltarla e in qualche modo tradurre ciò che lei esprimeva in modo non sempre lineare.

Credo, inoltre, che in situazioni di questo tipo occorra uscire dalla frenesia e dall'organizzazione finalizzata al risultato: talvolta è più efficace sganciarsi dalle scadenze di verifiche e interrogazioni e concentrarsi sula possibilità di appassionarsi senza obiettivo rigido e immediato, ma intraprendendo un percorso che consenta di riappacificarsi con la scuola e con la vita.

Quest'anno Alice è arrivata da me sempre con un unico quaderno, ma suddiviso in sezioni con segnapagine colorati. La grande sorpresa è stata vederla estrarre dall'astuccio la penna stilografica. Ha capito, ma soprattutto ha rivendicato il suo diritto al proprio tempo e al proprio ritmo.

Il suo quaderno è ordinato, quando rilegge gli appunti ricorda la lezione e riconosce i contenuti importanti. Il movimento del pennino le consente di andare con la sua andatura, le lascia il tempo di pensare a ciò che scrive, le permette di avere cura del suo studiare.

Come mi ha insegnato Zavalloni, nei momenti critici, fischiettiamo insieme, così da cambiare respiro, sdrammatizzare e ritrovare il sorriso e la voglia di proseguire.

 

 


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Data di pubblicazione: 
Lunedì, Novembre 20, 2023

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