Autore: 
Monica Nobile
Non li vediamo. Ai consigli di classe, ai gruppi genitori, agli incontri su temi educativi, ai colloqui con gli insegnanti, all’inserimento al nido, non li vediamo e quando ne vediamo qualcuno c’è stupore, sorpresa, quasi gratitudine. Alle selezioni per figure educative in progetti rivolti a minori, se si presenta un uomo ha già, in quanto rara figura maschile in un settore di lavoro decisamente rosa, una chance in più; se ne sente talmente la mancanza che ha buone probabilità di essere assunto, a costo di sorvolare sul curriculum. Un paio di quote azzurre e ci nasce la speranza che qualcosa stia cambiando.
 
Perché i padri non partecipano alle mille occasioni di confronto sull’educazione dei figli? Perché i figli sono “cose da donne” o perché le madri si mettono sempre davanti, bloccando la possibile intraprendenza dei loro compagni?
 
Lo scorso anno stavo conducendo un gruppo rivolto a genitori con figli adolescenti; erano presenti una trentina di persone, come al solito c’erano molte donne e qualche uomo.
Il tema era quello delle regole educative, l’attenzione era alta, molte domande e testimonianze rendevano l’incontro vivace e partecipato.
Ho notato un uomo che scriveva assorto su un quadernetto, scriveva tanto, troppo, ho pensato, tanto da incuriosirmi.
Gli ho chiesto se ci raccontava quali appunti stesse prendendo per capire quali fossero i concetti che lo colpivano tanto.
Mi ha risposto che non stava scrivendo quello di cui discutevamo, ma quello che pensava lui, le sue convinzioni rispetto al tema trattato. Così poi le faccio leggere a mia moglie, le dirò che lo ha detto la pedagogista, così finalmente mi prenderà in considerazione.
Dopo le risate e le battute che questa sua trovata aveva suscitato, ho voluto soffermarmi sulla contrattazione, che spesso avviene tra genitori, su quale posizione prendere nei confronti delle richieste e dei comportamenti dei figli.
 
Succede, non di rado, che siano le madri a decidere e che i padri finiscano per ritirarsi e accettare, anche quando non sono d’accordo. Succede che, quando le donne lasciano fare agli uomini, siano poi molto critiche sull’operato dei mariti, tanto da preferire fare loro, ritenendo di fare meglio.
È vero che a tutt’oggi si tende a pensare che i figli siano “questioni da donne”, ma credo sia anche vero che ci sia spesso una presenza femminile ingombrante e una maschile, a volte forse per comodità, arrendevole e tendenzialmente più passiva.
Resta il fatto che la figura maschile, per bambini e ragazzi, è importante. In tutti gli ambienti dove vivono e crescono, dall’asilo, alla scuola, nelle diverse occasioni aggregative, sportive, ludiche, sono circondati da donne e questo restituisce un’immagine distorta della realtà. Nel mondo abitano i maschi e le femmine.
 
La mia generazione ha vissuto spesso la figura del padre investito di un’autorità indiscussa e indiscutibile. Stasera lo dico a tuo padre, dicevano le madri quando i figli combinavano qualcosa e questo bastava a riportare l’ordine. Il genitore, autoritario, a cui obbedire senza discutere, è stato tema forte di ribellione per le giovani generazioni degli anni sessanta e settanta.
Il percorso di ricerca successivo - quando la riflessione si è focalizzata su un nuovo modo di accompagnare i figli nella crescita e una nuova prospettiva del significato di famiglia – ha vissuto diverse tappe ed è tutt’oggi tema cruciale e fortemente attuale.
Sono certa che questa riflessione abbia coinvolto tanto le donne quanto gli uomini e che nel privato ciascuno, in epoca attuale, cerchi nuovi equilibri tra il proprio vissuto di figlio e il proprio desiderio di essere genitore diverso rispetto a un modello contestato e ormai considerato largamente superato.
Credo tuttavia che lo stereotipo per cui i bambini, specie se piccoli, siano delle donne, sia ancora pesantemente in vigore.
 
Avevo un collega educatore, competente e con spiccate doti empatiche nella relazione, che lavorava in un nido che coordinavo. Una delegazione di madri ha chiesto di parlarmi per esprimere una forte preoccupazione circa la sua presenza con i bambini: al nido gli educatori svolgono mansioni connotate da forte intimità, come nel momento del cambio del pannolino che implica un contatto fisico delicato. Per queste madri risultava sospetto e inquietante che a svolgere questa professione fosse un uomo. Tra le considerazioni che particolarmente mi colpirono c’è stata quella che sia strano che un uomo accetti di lavorare per uno stipendio basso, quale notoriamente è purtroppo quello attribuito alla professione educativa. Una signora affermò ho paura che sia un pedofilo, gli uomini di solito evitano di cambiare il pannolino ai bambini...Naturalmente ho difeso la serietà e la affidabilità del collega ma, mettendomi nei suoi panni, ho immaginato il disagio che potesse provare nell’essere guardato con sospetto. Ritorno alla riflessione generale sul messaggio che arriva a bambini e giovani rispetto alla connotazione femminile delle aree dedicate all’educazione. Un messaggio amplificato dalla presenza, per contro, di uomini che dilagano nei media con riflessioni, commenti e talvolta pesanti giudizi proprio sulla materia educativa. Come a dire – mi si conceda un pizzico di ironica polemica - nel quotidiano se ne occupano le donne, al più elevato livello teorico e intellettuale provvedono gli uomini.
 
La questione che a mio avviso va presa in seria considerazione è che le giovani generazioni ci guardano, guardano come funziona il mondo degli adulti. È importante chiedersi a quali conclusioni giungono, che opinione si fanno del maschile e del femminile, dei ruoli in famiglia, della distribuzione di carichi e incarichi. La loro identità si forma nell’ambiente in cui vivono e attraverso il clima che respirano. Penso agli adolescenti, nella fase in cui cominciano a svincolarsi dalla famiglia e di quanto sia importante che, nel confronto con i due ruoli genitoriali, possano trovare una diversità di stile e di relazione: se in una figura possono trovare maggiore resistenza all’autonomia, l’altra può rappresentare una possibilità di alleanza. Non necessariamente è la madre la figura più resistente e il padre quella più disponibile allo sgancio. Ciò che è importante è che il confronto sia tra figure che si integrano con ruoli e modalità di approccio diversi, perché così si rende possibile un dialogo fluido e una apertura che permetta di affrontare con maggiore equilibrio ostacoli e conflittualità.
 
Per questo mi sento di chiedere ai padri di farsi avanti: fateci sapere cosa ne pensate, partecipate alla riflessione sulla crescita dei giovani, portate la vostra prospettiva, che sarà diversa e che proprio per questo porterà ricchezza. Non lasciate fare e non lasciate andare, siate presenti, non solo nelle incombenze quotidiane che ogni famiglia si trova ad affrontare, ma nel dialogo con la scuola, con gli altri genitori, all’interno di spazi dedicati al confronto sul tema educativo. Andate ai colloqui con gli insegnanti, che non se ne può più di vedere sempre e solo donne nelle scuole, offritevi come accompagnatori nelle gite, prendete la parola nelle riunioni, seguite l’inserimento dei vostri figli al nido...È un invito a far parte della comunità educante che per funzionare ha bisogno di punti di vista differenti, autoriflessione sul proprio ruolo e sulla difficoltà a svolgerlo, confronto, dibattito e, se serve, anche moderato scontro.
 
Vorrei concludere con una riflessione sui padri adottivi, che per il loro particolare percorso genitoriale, portano un’esperienza e un modo di vivere la paternità diversi. Per diventare genitori adottivi si parte insieme, si partecipa a percorsi di preparazione che mettono in gioco entrambi, gli uomini sono chiamati a esporsi tanto quanto le donne. Si diventa concretamente, fattivamente, consapevolmente genitori nello stesso momento e nello stesso momento ci si trova ad occuparsi della crescita dei propri figli. Nella genitorialità biologica c’è una prima fase, simbiotica, in cui la madre è maggiormente coinvolta nelle cure primarie. Nella genitorialità adottiva questa differente posizione non c’è. Padre e madre sono a pari merito coinvolti dall’inizio. Forse questo dato può aprire una riflessione su quanto la parità di partenza incida sugli equilibri e sui ruoli.
Nei gruppi di confronto tra genitori adottivi la presenza degli uomini è più significativa? Lo è nella fase iniziale e poi, nel tempo, ritorna lo stereotipo della delega alla madre di tutta una serie di attività: i colloqui, gli incontri, le riunioni, le gite, le festine...?
 
Non ho dati sufficientemente oggettivi per rispondere al quesito, preferisco lasciare la domanda aperta, sperando venga colta e ripresa nelle occasioni di incontro e di confronto.
 
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Data di pubblicazione: 
Venerdì, Marzo 15, 2024

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