Autore: 
Heidi Barbara Heilegger, avvocato

La legge n. 173/2015, nota come legge sulla continuità degli affetti, ha avuto una grande risonanza, anche mediatica, eppure, ad ormai tre anni dalla sua emissione, fatica ancora ad essere compresa nelle sue finalità e modalità di applicazione.

Va detto, innanzitutto, che si tratta di una legge che ha inciso sull'originaria concezione di affidamento ed adozione, imponendo di ripensare i confini tra i due istituti.

La filosofia alla base della legge del 1983 disegnava l’adozione, almeno nell'accezione di adozione legittimante, come una sorta di seconda nascita: all'adozione, pertanto, conseguiva necessariamente l’interruzione, radicale e definitiva, dei rapporti del minore con la famiglia di origine.  All'opposto l'affidamento eterofamiliare si connotava per il suo carattere transitorio ed una diversa finalità: quella di garantire il reingresso del minore nelle famiglia di origine non appena fossero state superate le difficoltà che ne avevano determinato l'allontanamento[i].

Nell'affidamento perciò il minore si trovava – e tutt'ora si trova - ad avere contemporaneamente -  sebbene  nelle intenzioni del legislatore solo in via transitoria - due famiglie o almeno due nuclei affettivi di riferimento.

Già questi pochi cenni, che ovviamente non hanno la pretesa di essere esaustivi, bastano a suggerire l'idea che ci si trovi di fronte a due istituti ben distinti, per non dire antitetici, quanto a caratteristiche ed obiettivi.

Chi si rende disponibile ad accogliere un minore in affidamento aderisce ad un progetto che, per la sua buona riuscita, implica il non nutrire aspettative adottive.

La condizione, anche psicologica, degli affidatari è dunque radicalmente diversa da quella di una coppia che accoglie un minore già dichiarato adottabile, ma a rischio giuridico sebbene, con una commistione di termini purtroppo forviante, si sia soliti parlare, in entrambi i casi,  di “genitori affidatari”:  nel primo, tuttavia, il reingresso nella famiglia di origine è la finalità stessa dell'istituto mentre nel secondo è una eventualità - magari non probabile, ma pur sempre possibile - che la coppia di aspiranti genitori accetta.

Con l'espressione “rischio giuridico” si allude, infatti, alla possibilità che il minore possa far ritorno nella sua famiglia di origine durante il periodo di collocamento provvisorio, cioè quando il minore sia già stato collocato nella famiglia adottiva, ma in attesa del decreto di affidamento preadottivo. Mentre la legge 184/1983 stabilisce che, decorso un anno dall'affidamento preadottivo, il Tribunale per i minorenni decide sull'adozione, nessun termine è prescritto per la durata del collocamento provvisorio. Ovviamente, là dove sussista una situazione di rischio giuridico, l'adozione non potrà perfezionarsi fino alla cessazione del predetto rischio.

Il rischio giuridico è essenzialmente riconducibile a due ipotesi: la prima attiene a quella del figlio di madre che non vuole essere riconosciuta,  il secondo ai minori allontanati dalla famiglia di origine a seguito di un provvedimento del Tribunale per i minorenni. In quest'ultimo caso occorrerà chiaramente che la condizione di abbandono, morale e materiale, in cui versa il bambino sia stata ritenuta grave e soprattutto permanente in quanto, se le difficoltà della famiglia fossero state ritenute superabili, il minore non sarebbe stato dichiarato adottabile, bensì collocato in affidamento eterofamiliare. I genitori biologici ed i parenti biologici fino al 4° grado, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento di adottabilità, possono proporre impugnazione avanti alla Corte di appello ed, in caso di sentenza a loro sfavorevole, ricorrere in Cassazione. Questo iter  può durare a lungo, anche diversi anni. Per i minori non riconosciuti alla nascita, invece, il rischio giuridico ha una durata potenzialmente inferiore: la madre biologica, infatti, effettua il riconoscimento entro dieci giorni dalla nascita ed ha al più due mesi di tempo per riconsiderare la propria decisione. Tale periodo decorre anche per il padre biologico a partire dal momento in cui lo stesso sia venuto a conoscenza della nascita (momento che potrebbe anche non coincidere con la nascita stessa) e fino al provvedimento di affidamento preadottivo oltre il quale il riconoscimento non sarà comunque più ammissibile.

La legge n. 173 del 2015 impone di ripensare l'assetto sopra descritto che sconta forse una rigidità eccessiva, ma ha quantomeno il pregio di essere chiaro. Tale riforma, infatti, tra le altre modifiche, ha introdotto il comma 5 bis all’art. 4 delle legge n. 184/83: in base a questa norma  il Tribunale per i minorenni, nel decidere in ordine alla domanda di adozione, deve tener conto dei legami affettivi instaurati dal minore e, pertanto, del rapporto stabile e duraturo consolidatosi nel tempo tra quest'ultimo e la famiglia affidataria. Anche se, come si è detto, l'istituto dell'affidamento si caratterizza per la sua natura temporanea, nei fatti la sua durata si dilata spesso ben oltre quella stabilita dalla legge (non superiore a due anni eventualmente prorogabili dal Tribunale per i Minorenni). Accade anche che il reinserimento nella famiglia di origine si riveli irrealistico: ciò potrà portare alla dichiarazione di adottabilità del minore, ma anche al delinearsi di quelli che, nella prassi, sono noti con il nome di affidamenti sine die. In tal caso il legame coi genitori biologici non appare totalmente disfunzionale, mantenendo anzi una valenza positiva che impedisce la dichiarazione di adottabilità. In ogni caso  il lungo periodo di tempo trascorso dal minore nella famiglia affidataria avrà contribuito a consolidare il legame affettivo con quest'ultima. Per questa ragione, là dove il minore venga dichiarato adottabile, la legge n. 173/2015 riconosce alla famiglia affidataria una sorta di corsia preferenziale nel procedimento di adozione. L'espressione, pur efficace, può essere forviante. Non si tratta, infatti, di una scorciatoia per chi aspira ad un'adozione “facile”, ma di un mezzo utile a preservare il legame con gli affidatari nell'esclusivo interesse del minore. Ne consegue che, qualora gli affidatari chiedano l’adozione del minore loro affidato e nelle more divenuto adottabile, dovranno presentare regolare domanda di adozione che sarà valutata dal Tribunale secondo la procedura ordinaria[ii].

Affidamento famigliare ed adozione continuano, dunque, a mantenere una diversa finalità: anche se, in via eccezionale, può accadere che l'affidamento si trasformi in adozione, accogliere un minore in affido con la segreta speranza di adottarlo può rappresentare una pericolosa ipoteca sull’esito dell’affidamento. Sarà compito degli operatori coinvolti vigilare affinché questo rischio non si concretizzi.

Del resto, in passato, la rigida applicazione della legge del 1983 aveva condotto a conseguenze sentite come aberranti dalla coscienza sociale: alcuni tribunali, dopo anni di affidamento familiare, a seguito della dichiarazione di adottabilità del minore, procedevano all’individuazione di una coppia diversa ai fini dell’affidamento preadottivo, prescindendo dai legami affettivi instaurati con gli affidatari, rispetto ai quali, oltretutto, non era espressamente contemplato neppure il contraddittorio nella procedura di adottabilità. Anche a questa lacuna la legge n. 173/2015 ha posto finalmente rimedio introducendo l’obbligo di ascoltare gli affidatari, pena la nullità del procedimento, anche attraverso il deposito di memorie scritte. Malgrado ciò, gli affidatari non sono parti del giudizio in senso tecnico-giuridico, ma svolgono funzioni consultive. Come chiarito dalla Cassazione in una recente sentenza[iii] il ruolo degli affidatari è importante per la costruzione dell’ambiente relazionale del minore, per conoscere il suo carattere, i suoi bisogni e le eventuali criticità, soprattutto quando l’affidamento dura degli anni spesso addirittura coincidenti con quelli vissuti dal minore come appunto nel caso che era stato sottoposto all'attenzione della Suprema Corte.

L'esperienza degli affidatari è, insomma, indispensabile per comprendere e valutare l'esperienza relazionale vissuta dal minore.

Quindi, se da un lato, secondo la lettura prevalente, non vi è alcun automatismo e ben potrebbe accadere che il minore venga adottato da una coppia diversa dagli affidatari (si pensi ad esempio alla necessità di allontanare il bambino dalla famiglia di origine inserendolo in un nuovo nucleo familiare che con la suddetta non abbia mai avuto alcun rapporto), dall'altro il legislatore con la legge sulla continuità degli affetti ha mostrato finalmente di comprendere l'importanza delle relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento.

La rilevanza della relazione con gli affidatari è altresì riconosciuta dal comma 5 ter dell’art. 4 delle legge n. 184/83 che garantisce il diritto del minore alla continuità affettiva anche qualora quest'ultimo faccia ritorno nella famiglia di origine o sia adottato da una famiglia diversa da quella affidataria o ancora sia dato in affidamento ad altra famiglia. In tali ipotesi, infatti, sempre se ritenuto rispondente all'interesse del minore, deve essere comunque assicurata la continuità delle relazioni socio-affettive consolidatesi con la famiglia affidataria.

Per una corretta e felice applicazione della legge n. 173/2005 basterebbe forse tenere a mente l'intramontabile monito Kantiano secondo cui l'uomo è sempre fine e mai mezzo: in quest'ottica il legame con gli affidatari non sarà un valore in sé, da garantire sempre e comunque, ma meriterà di essere preservato e tutelato là dove funzionale alla crescita ed al benessere psicofisico del minore.

 

[i]Recita l'art. 2 della Legge n. 183/1984: “il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo […] è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno

[ii]La dottrina prevalente propende, tuttavia, per la tesi secondo cui non si tratterebbe di una mera preferenza nei fatti, ma la legge avrebbe introdotto un vero e proprio principio di preferenza per cui, ove gli affidatari chiedano di adottare il minore, salvo ciò non sia contrario all'interesse dello stesso, la richiesta dovrà essere accolta.

[iii]Cassazione Civile n. 14167/2017

Data di pubblicazione: 
Domenica, Maggio 6, 2018

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