Autore: 
Joyce Manieri
" Ricordo la mia adolescenza come un periodo intricato, 
in cui la questione identitaria 
pretendeva attenzione e alimentava incertezze e domande; 
ci sono voluti anni, ed un viaggio, interiore e reale, 
per ricomporre il puzzle 
e poter guardare alla mia storia con serenità.” 
(F, India, 25/30)
    La parola adolescenza deriva dal latino “Adolèscere”, crescere.  L’adolescenza rappresenta una fase di transizione segnata da profondi e continui cambiamenti e quindi da incertezze, paure e cedimenti. Spesso, a torto, si dice che l’adolescente è allo stesso tempo un bambino ed un adulto; in realtà egli non è più un bambino e non è ancora  un adulto ed è proprio questo duplice movimento - rinnegamento del  l’infanzia  da una parte e ricerca di una nuova identità stabile di adulto dall’altra - che costituisce l’essenza stessa del turbamento adolescenziale
 
    Al disorientamento vissuto da ogni adolescente, fa eco quello vissuto dai suoi genitori. Nelle consultazioni cliniche si ha, spesso, l’impressione che l’adolescenza dei figli sia vissuta dai genitori come un “giro sulle montagne russe”:  una corsa composta da sofferenze, conflitti, punti di arresto o movimenti rapidi e contraddittori, che non può essere fermata ed alla quale si assiste con preoccupazione, dolore ed, a volte rassegnazione. “ Che ragazzo/a diventerà, ce la farà, finirà la scuola, andrà all’università?” sono gli interrogativi che muovono le angosce dei genitori di ogni adolescente.
L’adolescenza  rappresenta, sempre, un punto nodale nel ciclo di vita dell’intera famiglia, un vero e proprio banco di prova tanto per il ragazzo che per i suoi genitori, che sentono messa in profonda discussione la loro stessa funzione genitoriale. L’adolescenza, infatti, richiede ai ragazzi, innanzitutto, una ristruttrazione profonda della propria identità, anche attraverso una rinegoziazione dei legami sociali ed affettivi, in primo luogo  con i propri genitori.
 
    Il rapporto genitori-figlio, diventa - in questo periodo - il luogo di scambi emotivi intensi e conflittuali: I desideri di autonomia, il nuovo bisogno di segretezza e le alzate di testa  possono rappresentare vere e proprie ferite inflitte al rapporto. Da una parte c’è un ragazzo, che attraversa molteplici e profondi mutamenti: nella sfera della propria identità, grazie anche all’acquisizione di nuove capacità cognitive; nella sfera fisica e sessuale, è il periodo dello sviluppo puberale e nella sfera delle relazioni e del rapporto con la comunità, compaiono all’orizzonte nuove figure di riferimento con le quali confrontarsi. Dall’altra ci sono i genitori, che all’interno di questo processo attraversano momenti dolorosi caratterizzati dall’acuta sensazione di stare perdendo il loro amato bambino. Entrambi, genitori e figlio sono in ansia; entrambi vivono un disorientamento; entrambi hanno la necessità di trasformare il rapporto da adulto-bambino ad adulto-adulto.
 
    I compiti di sviluppo tipici del percorso di ogni adolescente (il processo di separazione e soggettivazione e la costruzione dell’identità) possono assumere una qualità affettiva diversa quando si intrecciano con una storia di adozione, rendendo il processo adolescenziale ancora più complesso tanto per il ragazzo adottato che per i suoi genitori. Nei ragazzi adottivi, più che in altri, possono permanere molto forti i bisogni di vicinanza e di attaccamento e le spinte verso l’autonomia o le richieste che possono arrivare dall’ambiente in questo senso, possono riattivare vissuti di abbandono, accompagnati da stati depressivi o di rabbia. Il conflitto avvertito nella tensione tra questi due bisogni può creare, poi, messaggi contrastanti, una sorta di "Lasciami solo, ma non mi lasciare veramente". E’ importante, allora, che i genitori siano in grado di incoraggiare l’indipendenza, restando tuttavia accessibili come fonte di supporto emotivo, quando questo risulti necessario. I cambiamenti corporei e l’entrata in gioco della sessualità possono, inoltre, rilanciare interrogativi e fantasie riguardo la propria nascita,  costringendo i ragazzi (ed i loro genitori) a maneggiare ancora una volta, il tema della differenza e della doppia appartenenza.
Il proprio corpo, specie se i ragazzi hanno i caratteri somatici di un'altra etnia, può essere rifiutato, svalutato, attaccato o nascosto, anche perché segnala la differenza e può essere ritenuto dai ragazzi, la causa stessa della mancata integrazione all’interno della famiglia e della comunità.
 
    Gli interrogativi tipici dell’infanzia sulla propria origine (“Da dove vengo?”), sulle motivazioni dell’abbandono ( “cosa avevo di così sbagliato per non avermi voluto?”) e sul perchè della nuova famiglia (“Perche mi avete preso?”) si ripropongono adesso con modalità più drammatiche.  I ragazzi - impegnati in un processo di ridefinizione della propria identità - vivono con angoscia  il non essere più ciò che sono stati ed il non sapere ancora ciò che diventeranno. L’adolescente adottivo, in più, ha la necessità di confrontarsi con 4 genitori ( “chi sono rispetto alla famiglia che mi ha adottato?” “chi sono rispetto alla mia famiglia di origine?”); in questo periodo, più che in altri, possono essere chiamati in gioco i genitori di origine, con quello che si conosce o si immagina di loro.   Affermazioni come: “voi non siete i miei genitori!”, o “ho avuto una cattiva sorte nell’essere stato adottato da voi...”, o anche “mia madre naturale mi avrebbe compreso!”, possono essere detti con voce drammatica dall’adolescente e far sentire i genitori dolorosamente  sotto scacco. Non è raro che i ragazzi compiano dei veri e propri viaggi, sia materiali che spirituali, all’interno della cultura di origine, dello stile di vita e dei valori noti o presunti che le attribuiscono. A volte, la paura di poter assomigliare ai genitori di nascita dello stesso sesso per quel che si sa o si immagina di negativo si può trasformare in una vera e propria fuga verso un’ identificazione selvaggia, che metta al riparo dall’angoscia di non sapere chi si diventerà

    Il fatto che nelle storie dei bambini adottati e dei genitori adottivi il trauma, il dolore e l’imprevedibilità degli eventi hanno avuto generalmente una grande parte, aggiunge un ulteriore livello di complessità e l’adolescenza può andare a risvegliare alcuni punti dolenti, specie se non sono ancora stati elaborati a sufficienza. E’, infatti, proprio nella fase adolescenziale che la famiglia  tutta è impegnata nel grande ed, a volte, faticoso lavoro che comporta la rielaborazione della propria storia di famiglia adottiva. I genitori adottivi possono incontrare così, al di là delle difficoltà proprie del periodo dell’adolescenza, questioni specifiche dovute all’adozione. Il fatto di non essere i genitori biologici del loro figlio, per esempio, può far si che la legittimazione della filiazione  passi attraverso la trasmissione  del sistema dei valori di cui la famiglia si sente portatrice:  Il figlio che discute con forza su questi valori, può aprire uno spazio alle “fantasie del cattivo sangue”, ovvero alla fantasia che questo sia dovuto ad una cattiva eredità genetica.

Oppure genitori adottivi che non sono riusciti a leggittimarsi nel proprio ruolo, possono mostrarsi particolarmente vulnerabili agli  attacchi che generalmente gli adolescenti compiono  a questa età. Accade spesso che, in questo periodo, i sentimenti ambivalenti in relazione all’adozione vengano a galla, e quando non sono stati sufficientemente elaborati, possano impedire alla coppia genitoriale, che non si senta confermata nel proprio ruolo, di affrontare con tranquillità e lucidità i momenti di turbolenza dell’adolescente adottivo, andando a comprendere quello che realmente sta angosciando il figlio. E’ importante- come suggerisce Chistolini - “che lo sguardo dell’adolescenza non sia catturato unicamente dagli aspetti critici, ma sappia cogliere le non poche risorse che i ragazzi, le ragazze e le loro famiglie sono in grado di mettere in campo, in una prospettiva evolutiva che colloca questo stadio della vita in un percorso più ampio che offre numerose occasioni di recupero e cambiamento. In questa accezione l’adolescenza adottiva non è una malattia da curare, quanto un periodo nel quale è importante accompagnare e sostenere  genitori e figli affinché i cambiamenti che l’attraversano siano correttamente gestiti e diano luogo a trasformazioni evolutive.”

L’adolescenza dei figli adottivi, con il suo portato relativo al tema dell’identità e delle origini, è, infatti, in grado di mettere  a dura prova le relazioni su cui si fonda la famiglia adottiva.  Risulterà, allora, molto importante preparare i futuri genitori adottivi, ed accompagnare i genitori che hanno già accolto un figlio mediante l’adozione, a costruire e a mantenere aperto uno spazio comunicativo, all’interno del quale il figlio potrà trovare negli anni, in un cammino spesso non lineare, un sempre rinnovato punto di equilibrio tra le due dimensioni indelebili della propria condizione adottiva (origine e nuova appartenenza), tra il suo presente ed il suo passato.

    L’esperienza ci ha insegnato che una buona adozione e’ direttamente legata alla capacità della famiglia adottiva (genitori in primis, ma anche famiglia allargata e comunità tutta)  di accogliere compiutamente il loro figlio, di accompagnarlo in un continuo processo di rielaborazione della propria storia e dei traumi subiti, accogliendo e valorizzando i ricordi e le domande che egli porrà loro, e prima ancora facendolo sentire libero di chiedere e di comunicare frammenti di ricordo o di fantasie, di esprimere emozioni e sentimenti, per ricomporre gradualmente i capitoli della sua storia.

La disponibilità da parte dei genitori adottivi a mantenere un’apertura meta familiare, infatti,  è condizione indispensabile perché sia possibile sintonizzarsi affettivamente con il figlio, sia quando il suo bisogno sembra quello di distanziare l’origine biologica, sia quando, al contrario, l’esigenza del figlio sembri di segno opposto. Come ci avverte David Chamberlain “ la verità è che molto di quello che abbiamo tradizionalmente creduto dei bambini è falso. Abbiamo frainteso e sottovalutato le loro capacità. Non sono esseri semplici, ma complessi  e senza età, con pensieri insospettabilmente grandi”.

Non è raro, invece, che la famiglia esploda proprio quando è costretta a confrontarsi nuovamente con il tema delle origini dei loro figli, assistendo con dolore muto  alla confusa ricerca di identità di alcuni ragazzi, che sembrano navigare a vista sotto un cielo coperto perennemente di nuvole. Spesso accade che, anche quando i genitori si siano resi disponibili, in precedenti fasi dello sviluppo, a raccontare al proprio figlio  tutto ciò che sapevano sul loro passato, il desiderio di sapere si faccia ugualmente strada.  

Del resto,  sappiamo che la narrazione della storia adottiva, non si esaurisce in un mero passaggio di informazioni fattuali, né costituisce un evento puntuale nel tempo. Esso rappresenta, piuttosto, un processo attraverso il quale sostenere il desiderio di comprensione, che - da parte dei bambini - può riaffiorare più e più volte durante la crescita, man mano che l’evoluzione cognitiva pone le stesse questioni in modo diverso, e “il noto diventa nuovo” (Bozzo & Cavanna, 1994).

Ad oggi, poi, è sempre più probabile che un ragazzo che non ha avuto le risposte  che cercava o nutre ancora una forte curiosità rispetto alla sua famiglia di origine si rivolga ad internet, con l’aspettativa di trovare soluzione alle sue domande nel web. Una ricerca condotta dal’Ipsos per Save the Children  su di un campione composto da ragazzi tra i 9 ed i 16 anni, ha messo in evidenza come la quantità di ragazzi italiani che posseggono uno smartphone (90%) od un tablet (71%) sia in continua crescita.  Grazie a smartphone e tablet, che sono sempre più diffusi a scapito di tecnologie come i lettori mp3 e le webcam, ormai integrate nei dispositivi di nuova generazione, i nostri adolescenti sono connessi da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento della giornata. Tanto più che le nuove generazioni hanno comportamenti sempre più flessibili nell’utilizzo delle nuove tecnologie, poichè la connessione mobile, ovvero quella wifi o con un abbonamento internet da cellulare è in costante crescita. Le “relazioni sociali” sono protagoniste delle loro interazioni: sono sempre di più i ragazzi che utilizzano Whatsapp, cresce l’utilizzo di Instagram e diminuisce la loro presenza su Facebook (75% nel 2015, 12 punti in meno dal 2013), anche se tra gli adolescenti sono ancora molti a usarlo. Tra quelli che hanno un profilo sul più popolare dei social network, il 39% degli intervistati afferma di essersi iscritto a 12 anni, avendo invece dichiarato, al momento dell’iscrizione,  di averne 18.  Altro dato significativo è che più di uno su tre (36%) asserisce , inoltre,  di non aver scelto un livello di privacy “ristretto” sul proprio profilo. I giovani italiani intervistati, infatti, usano WhatsApp (59%) e Instagram (36%) e pur conoscendo abbastanza bene le regole che governano la privacy nella Rete (51%), non se ne preoccupano più di tanto (57%).  

Gli adolescenti di oggi, hanno dunque a disposizione uno strumento con grandi risorse, ma anche potenzialmente pericoloso se non si è accompagnati ad usarlo in maniera corretta. L’avvento dei social network e di Facebook come strumento sempre disponibile  nella nostra quotidianità, ha reso relativamente facile per i ragazzi adottati  stabilire, in segreto, un contatto con la propria famiglia di origine. Non possiamo non considerare che l’esplosione delle nuove tecnologie della comunicazione ha, di fatto, annullato le barriere e le distanze,  ed è destinato a cambiare, forse per sempre,  il  modo stesso di pensare e di vivere l’adozione.  L’adozione ai tempi di Facebook pone nuove sfide a genitori, ragazzi ed operatori. Questo cambiamento, che ci proietta in una società dalle comunicazioni sempre più veloci ed istintive, ha da poco avviato anche in Italia una riflessione sulle conseguenze sociali,  culturali e politiche che si avranno sul mondo dell’adozione. Del resto, non si può ignorare che, già oggi, le parti adottive si rintracciano ed entrano in contatto sempre di più tramite i social network ed è ormai urgente e necessario preparare e formare gli esperti e le famiglie adottive ai problemi che potrebbero essere legati all’utilizzo di Facebook da parte dei loro ragazzi adottivi, per poter educare i loro figli a fare un uso consapevole dei nuovi strumenti digitali.

Estratto da: Genitori si diventa - a cura di Antonio Fatigati - seconda edizione 

Data di pubblicazione: 
Domenica, Novembre 20, 2016

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