Autore: 
Marina Zulian

Articolo pubblicato nella rivista di Genitori si diventa "Adozione e dintorni" di marzo-aprile 2015.

“E alla fine penso che forse padre non è chi ti ha fatto nascere no. Forse padre è chi ti veste, ti dà da mangiare, ti insegna a fare le cose, ti sta accanto. Sempre e comunque.”

Per la prima volta parlerò di un libro che racconta la storia di un bambino adottato. Questo compito mi sembra molto difficile e il non essere scontata o banale ancora di più; come fare, mi chiedo, per non usare parole indelicate o offensive? Decido di rischiare e parlare di Leon, un ragazzo rumeno di tredici anni; decido di raccontare la sua storia scritta con grande delicatezza da Antonio Ferrara e Guido Sgardoli nel libro Nemmeno un giorno, Edizioni Il Castoro, 2014. Ho letto altri racconti sull’argomento ma spesso mi sono sembrati preconfezionati e stereotipati. Non questo.

Per la prima volta due autori, peraltro tra i miei preferiti, sono riusciti a descrivere il punto di vista di un adolescente alle prese con la ricerca della propria identità e del senso della vita ma anche il difficile compito di due genitori adottivi.

Per i genitori i sentimenti e le emozioni dei ragazzi sembrano a volte così contorti da non poter essere compresi; in questi casi a noi adulti non resta che provare ad ascoltarli, ad accoglierli e a rispettarli.

Leon, il protagonista, ha visto morire la madre e il padre Jan è un alcolizzato che non può prendersi cura di lui. Leon viene affidato ad una famiglia italiana affettuosa e comprensiva ma che lo porta a vivere in un contesto completamente diverso; Anna e Sergio sono due genitori attenti e gentili ma purtroppo il ragazzo non riesce ad accettare il fatto che debba stare lontano dalla sorella Ewa, suo unico punto di riferimento familiare.

Il legame tra fratelli, in mancanza della presenza dei genitori biologici, diventa per i bambini e i ragazzi una delle poche certezze.

A volte però questo legame viene spezzato poiché non sempre è possibile l’adozione di entrambi i fratelli. Nei casi in cui viene adottato un solo bambino, come ad esempio Leon, questo continua ad avere nella propria mente uno spazio per la sua storia preadottiva, per la sua cultura di origine, per la sua rete familiare, per la sua vita prima dell’adozione. Questa è una questione difficile da affrontare e a volte i genitori adottivi tendono a rimandare e a procrastinare.

Però quando nell’adolescenza si fa forte il bisogno di riimmaginare la propria identità, questi pensieri si fanno sempre più presenti ed è ancora più difficile trovare il modo di affrontarli sia per i figli che per i genitori.

I genitori cercano di non far mancare nulla al ragazzo, ma dentro di lui cresce inesorabile il senso di solitudine e di inadeguatezza.

Una nuova lingua, una nuova scuola, nuovi compagni e amici sembrano cambiamenti davvero troppo difficili da affrontare e anche se Leon è in Italia già da parecchio tempo, scatenano in lui una forte rabbia.

Il protagonista sembra spietato quando, nel suo monologo, dice di dover scappare da una famiglia che non è davvero la sua.

Ma mi sembra altrettanto spietato quando sento dire da educatori e insegnanti: “Sono già tanti anni che è in Italia e quindi non può più usare la scusa di essere adottato per giustificare i suoi comportamenti!”

Ogni volta che sento frasi del genere penso che vi sia ancora la necessità di spiegare agli adulti che i drammi che hanno vissuto i bambini prima di essere adottati, non si possono cancellare. I bambini possono forse imparare a convivere con quel dolore così forte, ma i lutti, le violenze, i distacchi, le ingiustizie subite rimarranno sempre a far parte del loro essere più profondo.

In tutti i figli adottivi emerge prima o poi con una forza dirompente la questione della ricerca delle proprie radici. Per i genitori adottivi è un momento molto delicato e impegnativo. Leon ci racconta a modo suo che per i bambini adottivi c’è il rischio di restare impigliati nel mito della famiglia di origine perdendo di vista la vita attuale. Naturalmente tutti hanno il diritto di cercare e conoscere le proprie origini e noi adulti dobbiamo accompagnare e assecondare con attenzione questa esigenza.

Infatti Leon, ad un tratto della sua vita, vuole tornare nel mondo da cui proviene, vuole vivere a modo suo e la fuga gli sembra essere l’unica via d’uscita.

Leon ascolta quel suo cuore distrutto e decide di scappare e rischiare tutto quello che ha in cambio di un futuro incerto; Leon sa che deve provare ad andare da sua sorella perché solo così può sentirsi veramente vivo. Il suo perenne senso di sospensione gli fa pensare che l’unico modo per sopravvivere è ricongiungersi con la sorella Ewa.

In un attimo Leon prende dal garage la potente auto del papà Sergio e inizia la fuga verso la sua meta. Il ragazzo è già in grado di guidare l’automobile poiché Sergio lo porta spesso a guidare i go-kart.

Naturalmente una automobile di grossa cilindrata è un po’ più complessa da guidare, ma per un ragazzo sveglio e attento come lui basta un po’ di pratica per riuscire a manovrarla quasi perfettamente.

In un attimo Leon si trova nel pieno di una fuga pericolosa e rischiosa ma anche rocambolesca e fortunata.

Ad accompagnarlo nel suo viaggio sono le musiche di un cd del padre e un cane randagio che sale furtivamente in automobile, gli fa compagnia e lo ascolta mentre guida. Il cane sembra comprendere le parole del ragazzo e il ragazzo si apre e racconta le sue emozioni e i suoi sentimenti più profondi.

Le canzoni che si susseguono nella raccolta musicale, sembrano stimolare i pensieri di Leon; a seconda della melodia e del ritmo anche i pensieri sono dolci e malinconici o aggressivi ed energici.

Il lungo viaggio notturno tra strade più trafficate e stradine solitarie, è un perfetto scenario per la sua quasi inconsapevole ricerca e il tempo trascorso in automobile, permette al protagonista di ripercorrere ricordi del passato e paure del presente.

Tutto accade in meno di ventiquattrore, in “nemmeno un giorno.

Dalle quattro del pomeriggio alle otto della mattina seguente le ore scorrono fra musiche e incontri, riflessioni e incertezze.

Gli autori, all’inizio di ogni capitolo, suggeriscono una musica che è proprio quella che il protagonista ascolta dallo stereo dell’automobile.

Leon si chiede cosa starà succedendo dal momento in cui i suoi genitori avranno scoperto la sua fuga; con trepidazione ipotizza varie situazioni e non sa quale preferirebbe. Pensa a come avranno reagito, pensa se sia giusto dare questo grande dolore ai suoi genitori adottivi. Tra dubbi e certezze è meraviglioso come leggendo quelle pagine l’affetto per Anna e Sergio sia palpabile.

Un piccolo e meritato elogio a tutti i genitori adottivi!

Chilometro dopo chilometro, con l’avanzare del buio della notte, cadono le certezze che il ragazzo aveva quando era partito alla luce del sole. Si rende conto che è fuggito da una casa e da una famiglia che comunque sono anche sue.

Combattuto fra il legame con il padre biologico e l’affetto con il padre adottivo, il disorientamento dello stare al mondo e la voglia di affermare se stesso, Leon non vuole cedere all’amore e all’affetto dei suoi genitori adottivi quasi per non tradire quello per i genitori biologici, quasi i due sentimenti fossero in competizione.

Leon si chiede quale sia fra Jan e Sergio il padre a cui poter veramente fare riferimento.

Leon si interroga quale sia fra la sorella Ewa e i genitori Anna e Sergio la famiglia con cui vivere.

Solo allontanandosi da ciò che ha in quel momento, riesce a capire che forse è proprio quello che vuole e di cui ha bisogno.

Come le emozioni di Leon anche la descrizione della sua nuova vita in Italia è spesso contraddittoria. In particolare le parole per descrivere il papà Sergio sono spietate e dure ma anche calde e avvolgenti.

Leon vuole andare avanti, arrivare fino in fondo, ma contemporaneamente vorrebbe essere rintracciato.

Vorrebbe cedere all’amore dei genitori adottivi ma allo stesso tempo ha paura di dover affrontare un’altra delusione. Il libro si legge tutto d’un fiato, non ci si può staccare fino alle ultime pagine.

Alla fine non c’è una vera e propria conclusione e a me piace molto il fatto che si lasci la storia aperta a qualsiasi possibilità. Non si può sapere come sarà la vita di Leon e il finale, che non svelo, di questo episodio della sua vita sarà solo una delle tante tappe del suo cammino.

Un viaggio che aiuterà il protagonista e anche il lettore a guardare con occhi diversi il mondo e ciò che lo circonda e a capire ciò che è veramente importante. Un racconto davvero emozionante che indaga gli stati d’animo senza pregiudizi e senza la presunzione di voler svelare a tutti i costi la complessità di un giovane animo irrisolto ma coraggioso.

“E alla fine penso che forse padre non è chi ti ha fatto nascere no. Forse padre è chi ti veste, ti dà da mangiare, ti insegna a fare le cose, ti sta accanto. Sempre e comunque.”

Data di pubblicazione: 
Venerdì, Ottobre 13, 2017

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