Autore: 
Anna Guerrieri, Monica Nobile e Roberta Lombardi

La riflessione sulla propria nascita

È proprio nella scuola dell’infanzia che emergono i primi progetti ‘sensibili’ che hanno a che fare con la storia personale dei bimbi a partire dalla propria "nascita". Anche quando si è stati adottati molto piccoli, anche quando si è con la propria famiglia da anni, anche allora si ha una ‘storia alle spalle’ e il pensiero sulla nascita è un pensiero complesso per un bambino che sa di avere una mamma che non lo ha concepito e tenuto nella sua pancia.
Nessuno di noi ha consapevolezza piena di cosa sia accaduto nei nove mesi della gestazione, ma i nostri pensieri circolano ugualmente attorno alla nostra nascita grazie anche ai racconti fatti dai nostri genitori. Sappiamo più di quanto crediamo, ad esempio se la gravidanza di nostra madre è stata facile o difficile, se davamo calci o eravamo quieti e tanto altro che contribuisce in modo importante al pensiero che abbiamo su noi stessi. Sappiamo tanto e immaginiamo ancor di più, fantastichiamo.
Un bimbo adottato, una bimba adottata in genere non sanno, non possono sapere, perché la loro madre di allora non è più con loro e forse (molto spesso) è scomparsa dalla loro vita subito dopo la nascita. Il pensiero sulla nascita e il senso di perdita, il senso di non sapere di sé si intrecciano. Ci sono bambini che esprimono in modo esplicito dolore quando esce il discorso dell’adozione, c’è chi nega pervicacemente di essere adottato.
Non ci sono anni che passano, non c’è rielaborazione che tenga, anche per un bimbo adottato a pochi mesi può essere complicato affrontare, a scuola, un progetto dedicato alla nascita perché si tratta di qualcosa che riporta con forza alla contraddizione dell’adozione: nati da qualcuno che non ti è mamma e papà adesso, figli di qualcuno che non ti ha concepito. D’altra parte anche per la Gabbianella di Sepulveda è molto complicato realizzare di ‘non’ essere un gatto. E non è per caso che nei tre cartoni animati di Kung Fu Panda il tema fondamentale sia proprio la scoperta della propria identità in un passaggio, ironicamente faticoso, attraverso la comprensione della propria adozione, della propria storia, delle proprie origini e di chi si vuole diventare.
È fondamentale parlare a lungo con le famiglie, prima della organizzazione di un progetto dedicato all’idea di nascita, per sapere dai genitori cosa ne pensano e soprattutto come pensano che vivrebbe il tutto il figlio o la figlia. Bisogna che ci sia una sintonizzazione tra genitori e insegnanti che permetta di fare qualcosa di realmente utile per i bambini e non qualcosa che ‘si è abituati a fare e si è abituati a veder funzionare’.
Le parole che riguardano la nascita hanno gran spazio proprio nella scuola dell'Infanzia, ma è chiaro che non si tratta di un tema ‘neutro’ per chi è adottato. Bisogna tenersi pronti per le domande, per le storie che possono emergere, per le emozioni che possono prorompere. Nel tempo ci è stato riferito di progetti come: Diségnati nella pancia della tua mamma. Prepara nove pagine e in ognuna disegna te che cresci nella pancia della mamma sino a quando nasci e stai nella tua culla. ecc.
Non c’è da sorprendersi se i bambini adottati che li hanno ‘subiti’ abbiano espresso ansia e disagio. Quale mamma dovevano disegnare?
È possibile trasformare e adattare i progetti e concepire la possibilità di citare con naturalezza che le famiglie si formano anche per adozione parlando dei vari modi in cui i bambini ‘arrivano’ in famiglia. Quanti splendidi disegni di aerei e di case nuove sono stati colorati da bambini che si sono sentiti liberi di raccontare a modo proprio il loro nuovo inizio!
Quante volte con l’aiuto delle stesse mamme è stato possibile realizzare momenti di racconto che hanno coinvolto tutti i bambini e permesso al bimbo adottato di vedere riconosciuta in pieno la propria particolare storia! È possibile, volendo aiutare i bambini a una riflessione su di sé e le proprie emozioni strutturare progetti, piuttosto che a partire dalla propria nascita, a partire dal concetto del proprio io «Io ci sono e mi piace...» oppure «Eccomi, sono arrivato qui e faccio...».
La riflessione sulla propria nascita ha bisogno dello spazio della ‘casa’ per essere maturata attraverso quel grande lavoro che i bambini adottati fanno con le loro mamme e i loro papà chiedendo mille volte di ‘far finta’ di nascere, di ascoltare la storia del loro incontro e, tante volte, di chiedere chi era la mamma di prima e perché sono nati da un’altra mamma e non da quella che qui e adesso è con loro.

 

Un approfondimento: La nascita adottiva

Quanto segue è la risposta data dalla dottoressa Roberta Lombardi (psicologa e psicoterapeuta) a una lettera di una madre che aveva appena scoperto che nella scuola dell’infanzia della sua bambina avrebbero di lì a pochi giorni attuato un progetto sulla nascita, con attività anche corporee (passare attraverso un tunnel di cartone e nascere sbucando fuori dall’altra parte). La mamma non era stata informata per tempo e aveva saputo del progetto solo quando era tutto pronto per l’inizio. La lettera della mamma e la risposta che segue è apparsa sul notiziario di Genitori si diventa, «Adozione e dintorni - gsd informa», febbraio 2014.

Mamma io sono nato dalla tua pancia?

No amore mio, tu eri nella pancia di un’altra mamma, la mamma di prima che ti ha fatto nascere. 

Ma eri già nel mio cuore, prima ancora che ti conoscessi, noi ti abbiamo tanto cercato, per incontrarti finalmente e tenerti sempre con noi.

Perché non ero nella tua pancia?

Te l’ho detto, il papà ed io non avevamo bambini, la mamma di prima ti ha tenuto nella sua pancia e noi ti abbiamo tenuto nel nostro cuore, aspettando di poterti abbracciare e adesso sei qui.

Ma perché non ero nella tua pancia? Dai facciamo che ero nella tua pancia? Tu lo dici ed io ci credo.

Sì amore mio facciamo come se eri nella mia pancia, che è bello, e anche io ci credo.

Diventare figli per adozione è un percorso lungo, faticoso, sovente doloroso. Parte da una frattura, che divide la vita del bambino tra un prima e un dopo, uno iato che può essere nel tempo interpretato come vuoto (abisso) o come movimento, passaggio. In questo sta la sfida adottiva, la possibilità di crescere sereni come famiglia, oppure oberati dal peso della diversità. È un percorso che parte da un evento infausto (la separazione, la perdita), spesso poco compreso dal bambino perché troppo piccolo per cogliere la complessità di un cambiamento così drastico (e quindi sostanzialmente subito passivamente), per passare attraverso una storia di amore che (ri)dà fiducia, insegna a credere che amare fa bene, cura e risana.

Mi piace dire che il compito primario dei genitori adottivi è quello di permettere ai propri figli di nascere nell’adozione. E che il compito secondario, nel tempo ma non per importanza, è aiutarli a tollerare e comprendere di essere nati da altri, senza che questo sia pericoloso o spaventoso. Si tratta di procedere attraverso una continua ricerca di occasioni, affinché i propri figli possano crescere sostenendo questa immagine di ‘doppia appartenenza’ con leggerezza, con naturalità, perché possano avere una percezione del Sé coerente e integro nel fluire del loro tempo. Affinché questo avvenga, però, occorrono anni, si cresce insieme (genitori e figli), si costruiscono man mano verità e racconti (la storia di ognuno, in relazione).

Ma come fare ad accompagnare il proprio figlio in questo viaggio, soprattutto quando sono così piccoli?

Sappiamo che la domanda «Mamma, io ero nella tua pancia?» è molto frequente, anzi direi sempre presente nei bambini adottati. I bambini iniziano presto a comprendere il loro stato di adottivi, se i genitori con sensibilità e serenità inseriscono sin da subito, anche per i figli molto piccoli, questa informazione, attraverso favole, canzoni, inventate o tratte dai tanti materiali disponibili.

Quella domanda, dunque, diventa retorica: è frutto di un sapere che ‘non si era’ nella pancia, eppure aspetta di avere una risposta che dica il contrario. Intendo dire che, pur sapendo di essere stati adottati, può esserci il bisogno, in alcune fasi di sviluppo psichico e di consolidamento dell’appartenenza adottiva, di "far finta" che sia altro. La definizione «Tu eri nella pancia di un’altra mamma, quella di prima», non di rado trova una ferma opposizione nel bimbo adottato. Nella necessità di mettere ordine, di dare coerenza a un percorso ancora incomprensibile, di sentire che non c’è separazione con la madre di cui hanno bisogno, nel desiderare fortemente di appartenere non è raro che chiedano di poter ascoltare un’altra storia, di poter credere insieme a una verità differente.

Non è raro che i bambini chiedano alla mamma adottiva di poter ‘ritornare’ (entrare) in quella sua pancia, per recuperare magicamente un tempo mai stato, così che non sia andato perduto. E allora non è raro che insieme si possa immaginare di rimettersi (mettersi per la prima volta) dentro quella pancia, prendendo a prestito dalle coperte il potere di farsi culla-utero, e in quella pancia immaginaria sentirsi finalmente accolti, finalmente uniti con chi il bimbo desidera fortemente stia sempre con lui/lei (sia sempre stato con lui/lei). Ma, attenzione, perché bisogna essere consapevoli che stare nella nascita (raccontandola, drammatizzandola) nel percorso adottivo significa essere pronti ad accogliere, raccontare, sostenere contemporaneamente anche il vissuto dell’abbandono. Significa essere preparati a sostenere il dolore, la rabbia o più ‘semplicemente’ la confusione che queste tematiche, che risuonano così fortemente, possono provocare nel bambino. Solamente quando questo percorso di piena appartenenza si sarà consolidato, e il bambino avrà avuto la possibilità mentale di accedere all’immagine di una madre di nascita accanto a una madre adottiva, si definirà nella sua storia una sorta di armoniosa continuità tra un prima e un dopo.

È possibile che nella sua esperienza di madre adottiva questi aspetti siano già emersi. Forse lei può averli già sperimentati. Sono certa che lei, prima dell’adozione, non immaginava di poter fare queste esperienze, così come è possibile che non ne abbiano alcuna consapevolezza quanti non fanno conoscenza diretta di questo particolare percorso di filiazione. Nella genitorialità adottiva ci sono degli aspetti che ne definiscono la specificità. Emergono e convivono contraddizioni affascinanti, e in primis proprio ciò di cui abbiamo parlato: l’incontro con un figlio partorito da un’altra donna e anche (psichicamente) partorito dalla madre adottiva; una pancia (una mente psichica) che si gonfia (si apre, si allarga) per accogliere un bimbo e farlo nascere di nuovo – per la prima volta – alla vita.

Nella possibilità di tollerare e stare in queste profonde contraddizioni, insistiamo fortemente, come tecnici, sulla necessità di portare al bambino, sin dai primi mesi di vita (o dell’incontro adottivo), delle storie che raccontino l’adozione.

Da una parte si può tollerare che, in modo magico e rituale, si faccia finta che quel bimbo sia sempre stato figlio, dall’altra si riporta (con le parole e nei modi propri dell’età attraverso favole, storie, canzoni) il percorso adottivo che parla di due appartenenze, di un prima e di un dopo, di un di là e di un di qua, affinché pian piano questi aspetti possano trovare spazio e comprensione.

Questa esperienza è molto affascinante, impegnativa, importante. È un percorso molto intimo, proprio dell’essere (in alcuni casi all’inizio dell’adozione del diventare) famiglia. È una relazione fatta di sensibilità e intuito, dove si va avanti e indietro sui temi dell’incontro, dell’appartenenza, dell’identità. Per tutti questi motivi è un percorso che va vissuto dentro la famiglia (il nido) e che certamente non può essere delegato ad alcuno. Anzi ritengo azzardato affrontare questi temi nell’ambito di un rapporto altro da quello madre/ padre-figlio (ovvero con un educatore, uno psicologo, nella scuola) fintanto che la famiglia non li abbia vissuti, sviscerati, sperimentati, e non prima che il bambino abbia consolidato una identità adottiva consapevole e salda.

 

Quanto precede è un estratto del libro: Una scuola aperta all'adozione di Anna Guerrieri e Monica Nobile

Data di pubblicazione: 
Sabato, Maggio 18, 2019

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