Questa è la storia di Naseem e di Daniele Gouthier che l’ha raccolta, ricostruendola attraverso indizi, testimonianze e interviste, dando vita al libro “Sulle tracce di un sogno” che sarà pubblicato nella primavera 2019 dalle edizioni Bookabook.
Naseem è un ragazzo indiano, adottato quando aveva dieci anni, che partendo dai suoi ricordi d’infanzia ha intrapreso il viaggio di ricerca delle sue radici. Daniele Gouthier, matematico e scrittore, l’ha conosciuto nel 1999 quando ancora si trovava in India. In quel viaggio Daniele conobbe anche Savino e Anna, la famiglia fiorentina che adottò Naseem. Quelle vite che si erano appena incrociate, dopo 15 anni si ritrovarono per dare voce alla storia di quel bambino che si era perso nell’immensità dell’India, del suo ritrovarsi in Italia dove è cresciuto e da cui è partito per cercare le sue origini. Quel viaggio ha coinvolto persone di paesi, culture, religioni diverse che non sono rimaste indifferenti al sogno di un bambino e lo hanno aiutato a realizzarlo.
A piccoli passi dentro la storia
Quando seppi di poter intervistare l’autore del libro, decisi di volerne sapere di più, di andare oltre quel titolo misterioso e così lessi la presentazione e l’anteprima alla pagina https://bookabook.it/libri/sulle-tracce-un-sogno-storia-vera/, entrando a piccoli passi nella storia. Fui subito catturata da un breve dialogo:
«Perché non hai mai raccontato questi fatti a Savino e ad Anna?»
«Perché a raccontarli i ricordi si modificano e non servono più a niente.»
La parola a Daniele Gouthier
"Era l’autunno del 2014 quando ho iniziato a lavorare a questo libro. Naseem mi aveva contattato per parlarmi del suo viaggio in India, perché ha sempre creduto fosse giusto raccontare la sua storia di speranza, affinché si sapesse che vale sempre la pena inseguire il proprio sogno. Naseem aveva custodito dentro di sé tutti i suoi ricordi d’infanzia e quando da bambino gli capitava di lasciarsi sfuggire qualcosa, non dava altre spiegazioni. Raccontare ciò che si ricordava ne avrebbe cambiato i contorni, la memoria avrebbe trasformato quei ricordi. - e ha aggiunto - Decisi di voler scrivere quella storia e così ascoltai i racconti di Naseem, un po’ velati dalle emozioni. Iniziai a fare una vera e propria indagine per ricostruire i fatti oggettivi, intervistai tutti i protagonisti e in particolare colui che aveva guidato Naseem senza mai lasciarlo solo, Manikant. Ho scritto e riscritto questo libro cinque volte, curandolo con attenzione perché in qualche modo avrebbe avuto un certo impatto nella vita di Naseem e delle sue famiglie, quella italiana e quella indiana”.
"Sulle tracce di un sogno"
Naseem è nato in uno degli oltre 600.000 villaggi della campagna indiana, tra il 1987 e il 1990. Era dicembre 1997 quando, dopo una sgridata del papà, si allontanò da casa. Non era la prima volta, eppure quel giorno accadde che si spinse lontano e per la prima volta si ritrovò davanti ad una strada asfaltata. Vide le automobili che andavano e incuriosito, continuò a camminare fino ad una stazione dove salì su un treno.
L’aria gli sbatteva addosso e lo sferragliare non gli permetteva di sentire nient’altro. Il viaggio durò un’ora e Naseem si perse a guardare tanto lontano quanto non aveva mai visto il paesaggio verde e marrone.
(post pubblicato sulla pagina Facebook “Sulle tracce di un sogno” il 31 dicembre 2018)
Si ritrovò a Delhi ma non lo sapeva. Era lontano 1500 chilometri da casa. Dopo alcuni giorni per strada, conobbe un commerciante che gli diede un posto dove stare e un lavoro. Naseem stava bene, ma un giorno si perse ancora, ritrovandosi a vagabondare. Passò poco tempo e trovato dalla polizia, fu portato in un istituto. Aveva dieci anni.
“In India si perdono 80.000 bambini ogni anno e gli istituti che li accolgono cercano di ritrovare loro la famiglia perduta. – ha spiegato Gouthier, aggiungendo – I villaggi non sono tutti censiti, molti si trovano persi nella natura, senz’acqua e senza tutte le comodità a cui siamo abituati. Molti dei loro abitanti non hanno alcun riferimento oltre quel villaggio, per molti l’India è il mondo”.
L’Istituto che accolse Naseem, non avendo alcuna traccia dei suoi genitori indiani, trovo per lui una famiglia adottiva che potesse occuparsene, dandogli tutto l’affetto e la cura di cui aveva bisogno. Dopo il suo arrivo in Italia, Naseem iniziò la sua vita a Firenze, con Savino e Anna. Gli anni dell’adolescenza non furono facili, anzi una dura prova. Il sogno di Naseem era quello di tornare in India e così più volte scappò di casa. I suoi genitori gli avevano più volte proposto di fare un viaggio in India tutti e tre, insieme, ma lui voleva partire da solo.
La principale fuga di Naseem durò due settimane. Aveva sedici anni e fu ritrovato a Roma. La sua idea era quella di raggiungere l’ambasciata indiana per farsi aiutare. I suoi genitori erano spaventati da quell’atteggiamento irresponsabile, da quel suo voler partire senza avere nulla in mano. Cercarono di dissuaderlo dicendogli che non poteva fare quel viaggio senza sapere nemmeno l’inglese. Naseem, però, aveva un pensiero fisso e mise i suoi genitori davanti ad una decisione già presa, biglietti compresi.
A 22 anni, portava nella sua mente ricordi, sensazioni, scene, aneddoti ma non aveva un quadro spazio-temporale che lo potesse aiutare a risalire al luogo dal quale arrivava. Aveva in testa un suono, che poi, dopo molte ricerche, si scoprì essere il nome in urdu del suo villaggio.
Il viaggio
“Si era tenuto tutto dentro fino a quel momento. Era come se vivesse due vite. Poi, arrivò quella Vigilia di Natale in cui decise di farsi aiutare dall’amico indiano Manikant, colui che ha reso possibile quello che sembrava un sogno impossibile. Quello di Manikant è stato un perfetto lavoro di maieutica che ha permesso di costruire quel puzzle fatto di dettagli, indizi utili, aneddoti e nomi, raccogliendo tracce attraverso la memoria di Naseem. Con il suo metodo e le sue decisioni ha guidato Naseem in quel viaggio di ricerca, lasciando a lui la possibilità di vivere appieno quell’esperienza. Da Londra, ha trovato persone in tutto il mondo che avrebbero aiutato e accompagnato Naseem, come l’interprete e altri compagni di viaggio che hanno agevolato la spedizione".
Quel viaggio di scoperta che ha donato radici e incontri
"Naseem ha ritrovato il villaggio in cui è nato e la sua famiglia indiana, la mamma, il papà, un fratello e quattro sorelle. Dopo quel viaggio, ce ne sono stati altri e in ognuno Naseem si è riappropriato di un pezzetto di sé, delle sue radici, del suo Paese e della sua lingua d’origine". Da quel viaggio sono passati alcuni anni e Naseem è ormai adulto, appassionato della sua Firenze dove vive e lavora e della sua terra natale dove sa di poter tornare quando desidera.
Legami
“Ricostruendo questa storia ho messo a fuoco alcuni aspetti importanti dell’adozione. – ha spiegato Gouthier, padre di 4 figli di cui due adottati – Credo che, come nell’affidamento si sostiene il bambino affinché faccia pace con una famiglia problematica o in difficoltà, anche i genitori adottivi abbiano il compito di aiutare i figli a riappacificarsi con la famiglia d’origine. Penso a Savino e Anna e ai genitori indiani di Naseem che nel 2016 si sono conosciuti e che, pur avendo vite completamente diverse, si sono accettati e riconosciuti nei loro ruoli in quella che è la vita del loro ragazzo. É stato molto significativo quello che Halmà, la mamma indiana, ha detto ad Anna quando si sono salutate:
Lascio a te il compito di trovare una moglie per Naseem.
In India, infatti, è delle madri dei figli maschi il compito di trovare la sposa per il proprio figlio e con quella frase, Halmà ha affidato ad Anna, in modo molto sereno, il futuro del figlio ritrovato”.
Adozione interculturale
“Nei dialoghi con Manikant, lui parla di adozione interculturale. Ho molto riflettuto su come intendiamo noi l’adozione internazionale e credo che bisognerebbe spostare l’asse dalle nazioni alle culture, mettendo al centro il loro incontro. – ha detto Gouthier – Questa storia mi ha fatto ripensare anche al percorso adottivo della nostra famiglia e ai miei figli che, come molti altri, sono somaticamente diversi, anche per il colore della pelle. Quando sono piccoli, vivono con noi e dall’esterno vengono visti come parte della loro famiglia occidentale. Poi, quando crescono e iniziano a fare la loro vita, anche lontano da casa, vengono visti come stranieri. Spesso si hanno immagini appiattite dei luoghi, dei Paesi, del nostro stesso Paese… eppure si parla di globalità”.