Succede che, nei passaggi della vita, si crei una distanza che fa sentire freddo e nasca il bisogno di ritrovare la persona con cui prima esisteva l'intensità e la tenerezza della relazione profonda.
Spesso, in questa rubrica, abbiamo riflettuto su alcuni aspetti tipici dell’adolescenza, aspetti che possono far soffrire o preoccupare i genitori, quali il rifiuto del contatto fisico, la chiusura, il distacco dagli adulti a favore della relazione tra pari. Le ragioni di questo allontanamento vanno ricercate nel desiderio di diventare grandi, emanciparsi dalla famiglia e sperimentare la propria autonomia. Abbiamo anche osservato come questo non sia un comportamento lineare ma piuttosto un andirivieni tra distanza e ritorno, indipendenza e regressione, alla ricerca di un equilibrio che porti lentamente verso la vita adulta.
Durante questa fase è frequente sentire dai genitori affermazioni quali «non lo riconosco più». Può essere utile andare a ritrovare le testimonianze di ciò che i figli sono stati durante l’infanzia, le loro emozioni durante la crescita, la loro affettività espressa, prima che la crescita abbia provocato una sorta di inibizione rispetto a effusioni o dichiarazioni che possano essere fraintese come infantili e non più adeguate. Perché non provare a riaprire i cassetti dell’infanzia? Scatole con diari, messaggi, pensieri, temi, letterine...Può essere un percorso biografico ricco di emozioni e di sorprese.
Riscoprire ciò che i figli disegnavano e scrivevano in altri anni può consentire di vedere con maggiore chiarezza l’evoluzione piuttosto che la frattura. Nei biglietti pieni di cuori, nei messaggi di rabbia e poi di pace, nelle fantasie, nelle rappresentazioni sulla famiglia, la scuola, gli amichetti, possiamo trovare i loro punti di partenza, riconoscere emozioni che, nel loro crescere, sono maturate in tante direzioni. Ritrovare i loro messaggi può riempirci di tenerezza e questo ci può permettere di far pace con i loro modi bruschi di adolescenti in apparente, totale e netto contrasto con noi.
Guardando alcuni biglietti che negli anni i genitori mi hanno fatto leggere per spiegarmi qualcosa dei loro figli, penso a quanto sia importante mantenerne la memoria.
Alessia, anni fa, aveva scritto a Babbo Natale «Quest’anno di regalo voglio diventare magica così se la maestra si arrabbia con me la faccio diventare una pietra».
Anni dopo Alessia e io abbiamo riletto quella letterina. Era venuta da me arrabbiata e delusa, in crisi con la scuola, in opposizione con i genitori e soprattutto in una fase di grande confusione rispetto a ciò che era e che non le piaceva di se stessa. Ci ha aiutate a sorridere: ad entrambe la bambina magica era simpatica, abbiamo fatto il tifo per lei, abbiamo avuto voglia di darle una mano.
Marco in casa non parla con nessuno, gira con le cuffie e la musica sparata nelle orecchie, resta a tavola lo stretto necessario e non rivolge la parola a nessuno. Sua mamma tiene gelosamente custoditi i suoi messaggi di quando era bambino, zeppi di cuori e di dichiarazioni d’amore. Me li ha portati, a testimonianza di un figlio che un tempo la amava tanto. Marco, il bambino innamorato della mamma, oggi va a pugilato, porta in evidenza una catena d’oro di pessimo gusto e ha il mito del maschio forte e prestante. Abbiamo riflettuto su quanto possa essere stato difficile per lui prendere le distanze da quella mamma tanto amata, rinunciare ai cuoricini infantili e censurati perché non adeguati a chi sta tentando di crescere.
Io stessa ho ritrovato un disegno di mio figlio. Raffigura una casa con un buco sul tetto e sopra il buco c’è disegnato un sole. Sotto c’è scritto «sono un bambino di luce». Ho voluto riguardarlo insieme a lui, oggi giovane adulto, ripensando alla sua adolescenza non esattamente luminosa. É stato un bel momento, in qualche modo di riappacificazione, senza tante parole ma con un fluire di emozioni e sentimenti, tra madre e figlio che hanno litigato parecchio ma che ora sono pronti a ritrovarsi in un rapporto cresciuto. Sono certa che per entrambi sia importante mantenere nel cuore il bambino di luce.
Penso che riprendere contatto con l’infanzia di figli irriconoscibili possa aiutare a vedere nei loro comportamenti scostanti una fase della vita piuttosto che una trasformazione irreversibile e permanente.
Sono stati piccoli e pieni di cuori, poi adolescenti arrabbiati e scostanti, ma c’è un dopo ancora. Un genitore può ritrovare la fiducia che, tra quel prima e quel dopo, nasca una sintesi, una fase successiva, probabilmente con meno cuori ma con una recuperata affettività che, una volta consolidata la propria identità, potrà tornare a manifestarsi, con modalità più adulte, certo, ma pur sempre con una significativa intensità.
Ho raccolto tanti materiali biografici di bambine e bambini, alcuni sono di figli che sono stati adottati. Raccontano tanto del loro percorso, dei primi tempi nella nuova famiglia, delle gioie e delle fatiche che hanno vissuto. Li conservo e li considero indizi, tracce rimaste nel loro cuore, che poi negli anni si è riempito di tanto altro.
Antonio aveva scritto al padre «Sei rimasto con me dalle 3 alle 6.50. Hai dedicato quel tempo a me, proprio a me».
In altri anni è arrivata la fase degli scontri, delle porte sbattute, qualche volta degli insulti pesanti, soprattutto verso il padre. Riguardando quel biglietto, dove Antonio era emozionato, quasi onorato, di avere il padre tutto per sé, ci siamo chiesti cosa fosse successo.
Tra le tante riflessioni il padre riconosceva che la maggior parte dei dialoghi con il figlio riguardavano la scuola e che più che dialoghi erano rimproveri, esortazioni, talvolta pressioni. Ho proposto di recuperare quel tempo di qualità, senza altri fini che non lo stare insieme. Certamente non ci aspettiamo che Antonio esprima esplicitamente la gioia di trascorrere un tempo liberato con suo padre, ma forse sarà possibile recuperare il piacere di stare insieme. Almeno un po’...
Lo ammetto, ho compiuto da poco sessant’anni e ho una gran voglia di scrivere a Babbo Natale. So che passerò le giornate pre-natalizie a cucinare e a scervellarmi su come disporre i posti a tavola, perché nessuno litighi, perché tutto fili liscio. Avrò bisogno di tenere tutto sotto controllo. Eppure, abbandonarsi alla tenerezza dell’infanzia, penso, fa bene, a se stessi e agli altri, ci porta in un piano di comprensione e di condivisione che può fare la differenza.
Sto lavorando a un progetto di recupero di ciò che i figli scrivevano e disegnavano da piccoli, materiale di ispirazione con cui realizzerò uno spettacolo di burattini. Vuole essere una proposta lieve e ludica, tuttavia l’idea mi è nata proprio da questa riflessione: rimettersi in contatto con l’infanzia, dare voce alle bambine e ai bambini, può toccare cuore e cervello, dare una piccola scossa che, forse, mette insieme le fasi della crescita e restituisce significato al percorso che ciascuno di noi compie nella propria vita.
In particolare, nel mondo adottivo, può richiamare gli adulti all’importanza di accogliere storie differenti, saperle ascoltare con empatia e ricavarne possibili chiavi di lettura. I genitori, soprattutto di adolescenti, che mi stanno aiutando a recuperare biglietti e lettere dei loro figli bambini, mi spediscono testimonianze accompagnate dalla commozione e dall’affetto. In qualche modo sembra che, almeno per un attimo, perdonino i brutti modi dei figli e si ricordino meglio la pienezza che hanno da loro ricevuto.
Dunque buone feste! Scrivete letterine a Babbo Natale, andate a rileggere quelle che i vostri figli scrivevano in un tempo magico e, se potete, recuperate il contatto con le emozioni che hanno segnato e segnano le diverse tappe della crescita.
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