L'adozione in casi particolari da istituto di applicazione residuale è, oggi, sempre più spesso, al centro di dibattiti e casi di cronaca. Per capirne la ragione, prima ancora di esaminare l'istituto stesso, occorre accennare a come era concepita l'adozione nella legge n. 184 del 1983 quando successive modifiche non ne avevano ancora modificato, sebbene solo parzialmente, la struttura per adattarla ai cambiamenti sociali e culturali nel frattempo intervenuti.
Essenzialmente la tutela del minore si realizzava attraverso due binari che potremmo definire non solo distinti, ma addirittura paralleli e “non comunicanti”. Da un lato c'erano gli strumenti a sostegno delle famiglie in difficoltà – e dunque l'affidamento eterofamiliare pensato proprio per far fronte a situazione di disagio solamente temporaneo – dall'altro l'adozione cosiddetta legittimante o piena. Finalità di quest'ultima era – come del resto è tutt'ora - quella di garantire il diritto del minore ad una famiglia là dove quella di origine non fosse, neppure in prospettiva, in grado di prendersene cura. L'adozione implicava dunque, sempre e necessariamente, una netta cesura con la famiglia biologica alla quale la famiglia adottiva si sostituiva.
Al carattere definitivo e radicale dell'adozione faceva – e fa - comprensibilmente da corollario la previsione di presupposti rigorosi ai fini della dichiarazione di adottabilità del minore. Ciò si traduce da un lato nella verifica del carattere effettivamente definitivo e non transitorio dello stato di abbandono, dall'altro in una attenta valutazione delle risorse della famiglia adottante e nella richiesta di precisi, non derogabili requisiti. Peraltro – lo si condivida o meno – la scelta del legislatore è stata quella di consentire l'accesso all'istituto solo alle coppie unite in matrimonio da almeno tre anni (periodo a cui è equiparata la pregressa convivenza purché la coppia si sia poi sposata).
L'istituto dell'adozione legittimante risulta, dunque, precluso ai single ed alle coppie omosessuali, nonché alle coppie eterosessuali non unite in matrimonio. In un sistema costruito in modo così rigido, dicotomico – rimasto tutt'ora quasi inalterato pur in presenza di significativi mutamenti sociali e culturali – l'istituto dell'adozione in casi particolari rappresentava, ed a maggior ragione rappresenta oggi, una sorta di “clausola di salvezza”: attraverso questo istituto è, infatti, possibile assicurare il diritto di un minore a crescere ed essere educato in una famiglia anche quando difettano i requisiti per l'adozione legittimante, e nondimeno l'adozione, per le peculiarità del caso specifico, si pone come opportuna e preferibile all'affidamento eterofamiliare.
Per chiarire meglio il concetto è forse bene pensare a qualche caso concreto. Immaginiamo, ad esempio, una donna incinta che instauri una convivenza more uxorio con un uomo che, pur non essendo il padre biologico del bambino (quest'ultimo potrebbe ipoteticamente essere morto o irreperibile o ancora non esserne nota neppure l'identità), fin dalla nascita se ne prenda cura esattamente come farebbe un genitore. In questo caso, difettando lo stato di abbandono, sarà precluso il ricorso all'adozione piena; al contempo è indubbio che sia nell'interesse del minore che venga suggellato sul piano giuridico – con tutto ciò che ne consegue in termini di tutela anche economica – un rapporto affettivo stabile e consolidato nel tempo. La difficoltà potrà essere ovviata attraverso il ricorso all'adozione in casi particolari (che altro non è che la stepchild adoption da parte del coniuge o, nel nostro esempio, del convivente della madre). Si precisa che per l'adozione in casi particolari la legge richiede, se ci sono, l'assenso dei genitori biologici (nonché l'assenso del coniuge dell'adottando se convivente ed il consenso dell'adottante e dell'adottando stesso ove abbia compiuto i quattordici anni di età, mentre è comunque previsto l'ascolto per il minore che abbia compiuto i dodici anni).
Tuttavia, ove i genitori siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale, l'eventuale diniego del proprio assenso non sarà preclusivo all'accoglimento da parte del Tribunale per i Minorenni dell'istanza di adozione. Il Tribunale può, inoltre, pronunciare ugualmente l'adozione qualora sia impossibile ottenere l'assenso delle persone chiamate ad esprimerlo per incapacità o irreperibilità. All'adozione in casi particolari – per citare un altro esempio piuttosto comune - si può ricorrere anche per consentire il passaggio dall'affidamento all'adozione in favore degli affidatari quando l'evoluzione degli eventi indica come irrealistica l'ipotesi, anche in prospettiva, di un reingresso del minore nella famiglia biologica. Il legislatore, correttamente, ha intuito la necessità in questi casi di non recidere il legame con i genitori affidatari agevolando l'adozione del minore da parte di questi ultimi. Questa esigenza è garantita oggi attraverso la recente legge n. 173/2015 che tutela, appunto, il diritto alla continuità affettiva, evitando che il minore venga sradicato da un ambiente in cui si è felicemente inserito.
Detta legge, tuttavia, non contempla i casi in cui gli affidatari non possiedono i requisiti per l'adozione piena (pensiamo ad esempio al caso in cui l'affidatario sia un single anziché una coppia oppure risulti superato il limite massimo del divario di età col minore), casi in cui l'esigenza di tutela è assolta, ancora una volta, dal ricorso all'adozione in casi particolari (particolari, ma potremmo dire, affatto eccezionali visto le ampie possibilità di impiego dell'istituto).
L'estrema complessità e varietà dei legami familiari ha decretato la “fortuna” di questo istituto “di nicchia”: sfruttandone l'elasticità è possibile dare veste giuridica a situazioni di fatto astrattamente meritevoli di tutela – dalla possibilità di rendere efficaci in Italia adozioni compiute da single o omosessuali all'estero alla già accennata formalizzazione di rapporti nati nell'ambito di famiglie ricostituite quand'anche solo di fatto fino al poter dare rilievo giuridico a figure sconosciute nel nostro ordinamento come la Kafalah (1) di diritto islamico - ma che, in assenza di questo strumento, rischiavano di restare prive di tutela.
Tornando al nudo dato normativo, l'adozione in casi particolari trova la sua disciplina nell'art. 44 della legge n. 184 del 1983, così come modificato dalla legge n. 149 del 2001. Secondo il citato articolo " i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 (ossia quando non è stato dichiarato lo stato di adottabilità): a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 1042, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Nelle ipotesi di cui alle lettere a), c) e d) l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato incluse le coppie di persone dello stesso sesso.
Con la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma n. 229/2014 è stata ammessa per la prima volta l'adozione in casi particolari nel contesto di una coppia omosessuale, né detta pronuncia è rimasta isolata inaugurando anzi un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato (5). D'altra parte la norma non prevede la necessità di un rapporto di coniugio e dunque può essere disposta a favore del convivente del genitore dell'adottando a prescindere dal sesso del medesimo. Si tratta di una lettura confermata dalla Cassazione1 secondo la quale “poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall’art. 57 primo comma n. 2) non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner”.
Allo stato, sebbene la legge n. 76/2016 abbia introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili, che col matrimonio condividono molti aspetti, non vi è ancora la possibilità per partner dello stesso sesso di adottare il figlio dell'altro analogalmente a quanto avviene per il coniuge (art. 44 lettera b). La stepchild adoption resta comunque possibile, ma sulla base della lettera d) dell'art. 44 e comunque quale esito di un giudizio che non garantisce, malgrado le accennate e significative aperture, alcuna certezza rispetto al suo esito. Per completezza si segnala come a differenza dell'adozione legittimante, l'adozione in casi particolari, nei limitati casi previsti dalla legge, possa anche essere revocata. Va, infine, precisato come la legge n. 219 del 2012, n. 2192, modificando il testo dell'art. 74 c.c., abbia stabilito come la parentela sia il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio sia adottivo (ma con l'esclusione dell'adozione del maggiorenne). In assenza di un esplicito riferimento all'adozione in casi particolari, non è chiaro se la riforma della filiazione riguardi anche questo istituto. Si sono, pertanto, delineate due diverse correnti di pensiero: secondo l'una la riforma non si applica all'adozione in casi particolari sia perché il legislatore non vi ha fatto espressamente riferimento sia perché non è stato esplicitamente abrogato il rinvio alle norme in materia di adozione dei maggiorenni, secondo l'altra, invece, la riforma si applica anche all'adozione in casi particolari in base ad una interpretazione coerente con la finalità di tutelare il preminente interesse dei minori, garantendo agli stessi di crescere nella famiglia in cui si sono stabilmente inseriti senza distinzione di "status". Sempre secondo detta tesi la novità introdotta dal legislatore non può che riguardare proprio le adozioni in casi particolari di cui al citato articolo 44 dal momento che le adozioni realizzate secondo il procedimento normalmente previsto dalla legge n. 184/1983 (ossia quelle che abbiamo chiamato adozioni piene o legittimanti) comportavano già il sorgere dei legami di parentela. In base alla prima linea di pensiero l'adottato nei casi particolari conserva i diritti successori nei confronti della famiglia d’origine ed agli stessi si aggiungono quelli nei confronti degli adottanti (ma non nei confronti dei loro parenti) così come accadeva in precedenza senza che la legge n. 219 del 2012 abbia avuto incidenza alcuna sulla pregressa disciplina. Se prevalesse, invece, l'altra linea di pensiero, sul piano ereditario, non ci sarebbe più alcuna differenza tra adozione piena ed adozione in casi particolari. Un intervento chiarificatore da parte del legislatore sarebbe a questo punto senz'altro opportuno.
La diffusa applicazione dell'istituto dell'adozione in casi particolari, negli ultimi anni, ha rivelato il limite di un sistema pensato come rigidamente binario, ove adozione ed affidamento sono costruiti come istituti diversi e anzi antitetici, suggerendo l'opportunità di impiegare anche strumenti più elastici, capaci di riflettere ed accogliere realtà familiari sempre più complesse ed articolate e meno legate all'immagine della famiglia cosiddetta “tradizionale”. Si pensi ad esempio alla adozione mite (6), non normata, ma a cui talvolta nel nostro ordinamento si ricorre per rispondere ad un'esigenza di tutela di minori che vivono situazioni di “semiabbandono permanente” ove l'affido rischia di protrarsi a tempo indeterminato malgrado la natura transitoria attribuitagli dal legislatore. Al contempo in questi casi il legame con la famiglia di origine non è del tutto assente ed ha una valenza parzialmente positiva non rendendo possibile né opportuno per il minore un progetto adottivo propriamente inteso.
E' importante, infine, sottolineare come attraverso il riconoscimento di un rapporto affettivo di fatto, già esistente e consolidato, i Giudici non facciano affatto un utilizzo indebito o “politico” del diritto, come talvolta hanno ipotizzato i media con un certa leggerezza, inquadrando piuttosto detto rapporto in un sistema di obblighi e responsabilità che garantiscono al minore una tutela di cui altrimenti resterebbe privo.
Note
1 - La Kafala è un istituto giuridico del diritto islamico attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore ad un soggetto che ne curerà la crescita e l'istruzione senza creare un legame parentale né rescindere il vincolo di sangue del minore con la famiglia d'origine.
2 - Il riferimento è ai minori affetti da handicap
3 - Non mancano anche sentenze di segno contrario, ad esempio Tribunale - per i Minorenni di Milano, 17.10.2016 n. 261 ha negato l'adozione incrociata da parte di una coppia di mamme.
4 - Cassazione Civile sentenza 22.06.2016 n. 12962.
5 - Trattasi della legge che ha riformato l'istituto della filiazione eliminando – anche sul piano terminologico – ogni residua differenza tra filiazione legittima e naturale.
6 - Nella cosiddetta adozione mite permane il rapporto del minore con i genitori biologici, venendo però trasferita interamente agli adottanti la responsabilità e la cura del minore, con i relativi obblighi di mantenerlo, istruirlo ed educarlo.