Autore: 
Anna Guerrieri

Ho letto il libro di Monya Ferritti come direttrice della Collana "Genitori si diventa" - Edizioni ETS. E per questo motivo ho avuto il piacere di leggerlo quando era ancora in divenire. 

Ho subito pensato che questo libro fosse davvero importante perché costringeva a guardare "dall'altra parte dello specchio". Nel libro precedente, "Il corpo estraneo. Dentro le ideologie e i pregiudizi sull'adozione", l'autrice analizzava quali sovrastrutture ingabbino la realtà dell'adozione. Procedendo attraverso un elenco ideale che riguardava genitori, operatori dei servizi, professionisti privati, enti autorizzati, associazioni familiari e associazioni di adulti adottati, analizzava, per esempio, cosa fosse sotteso al pensiero che definisce "mamme di pancia" le madri biologiche e "mamme di cuore" quelle adottive, cosa significhi per davvero vedere la vita delle persone adottate secondo il paradigma della "ferita primaria", cosa significhi vedere "il dono" nella parola "abbandono" e tanto altro ancora.

Nel precedente libro l'autrice descriveva, percorreva e approfondiva. In questo libro fa sicuramente ancora tutto questo, ma soprattutto, a mio vedere, fa percepire l'impatto di una specifica ideologia sulla vita delle persone con background adottivo. Di fondo c'è un'unica ideologia al centro dell'attenzione, quella espressa dal titolo, quella che vede nei legami di sangue gli unici legami autentici e solidi, gli unici possibili legami familiari. Era, di fatto, l'ideologia da cui gemmavano tutte le "gabbie" analizzate ne "Il corpo estraneo" ma qui, nel nuovo libro, è l'assoluta protagonista del discorso, in modo esplicito e chiaro sin dall'incipit, sin dal titolo.

Monya Ferritti parla di "bio-normativismo" e dei suoi effetti pervasivi, di quanto crei un "brodo" discriminante in cui le persone con storie di adozione vivono.

Le parole sono potenti e importanti, comunicano ostilità o accoglienza. Bisogna sempre tenere a mente l’importanza di ogni parola perché quelle che scegliamo di usare hanno il potere di influenzare la nostra visione del mondo, anche in modi inconsapevoli. Utilizzare un linguaggio non discriminatorio non è mai una formalità perché «il linguaggio esprime, trasmette e determina la visione del mondo di chi lo utilizza: è strettamente legato alle disparità sociali di potere» (Fairclough 2001).

La famiglia riproduttiva non è normale.  È solo più comune. Iniziamo la descrizione di cosa sia la bio-normatività con una parafrasi di un celebre aforisma della scrittrice newyorkese Dorothy Parker a proposito di “eterosessualità”, in cui affermava “Heterosexuality is not normal, it's just common”.

"Sangue del mio Sangue" parte proprio da questi concetti e su questi concetti sta a lungo, perché quello che interessa è la delegittimazione che la pervasività indiscussa di questi concetti crea. 

Il sistema familiare che deriva e si organizza a partire dalla riproduzione di almeno uno dei suoi componenti è in questo studio definito bio-normativista e traccia confini invisibili nelle traiettorie biografiche degli individui, evidenti solo alle persone che sono state adottate. Questo sistema si basa su una norma retaggio dell’ordine patriarcale che è socialmente accettata, condivisa, legittimata e privilegiata, che delimita i diritti, ma soprattutto struttura il linguaggio e stabilisce che ci sia un modo valido di formare una famiglia e un piano B, nel caso il primo, l’unico corretto, non funzionasse. Determina, quindi, una vera e propria scala gerarchica di valori.

Nella Prefazione che ho avuto l'onore di scrivere dico che si tratta di un saggio costruito attraverso un potente "flusso di pensiero" grazie alla scelta di scrivere la parte fondamentale del libro stesso in un Capitolo Unico. L'autrice ci porta attraverso le sue riflessioni navigando in modo continuativo nelle idee e nei concetti che vuole condividere con noi. Non partiziona quel che vuole dire, non lo categorizza. Non fa "liste". Ci porta con sé invece, in quello che è, di fondo, lotta contro una discriminazione sistematica.

Una conseguenza del sistema bio-normativo è la marginalizzazione di coloro che sono rimasti fuori, la mancanza di rappresentazione e la discriminazione. Ad esempio, nei libri scolastici questa erosione delle altre composizioni familiari che prescindono dalla riproduzione è particolarmente evidente; troppo spesso e ancora oggi, pagine di lettura ed esercizi sono composti a partire dalla bio-normatività, escludendo (e discriminando), tutti gli alunni che sono stati adottati.

La bio-normatività riguarda anche i servizi adozioni che, sebbene conoscano tecnicamente e professionalmente il sistema, sono spesso interdetti di fronte a coppie disponibili all’adozione non infertili, con o senza figli, e a coppie infertili che non siano passate attraverso i tentativi di procreazione medicalmente assistita (PMA) ovvero che abbiano indugiato troppo a lungo nel sistema (Lupo et al. 2016). Le resistenze dei servizi territoriali in fase di istruttoria nei confronti di questa tipologia di coppie non vanno lette solo alla luce dell’indagine sulle motivazioni note o inconsapevoli della coppia al percorso adottivo, ma anche dei possibili pregiudizi di matrice bio-normativista che anche gli operatori del settore, molto spesso, non riescono a nascondere.

Questi sono pochissimi esempi di quello che si trova in "Sangue del mio sangue". Leggendo tocchiamo continuamente con mano gli effetti del bio-normativismo e come le parole che circolano intorno all'adozione plasmino i pensieri della società sul fenomeno.

Può accadere nelle situazioni di difficoltà a identificare le somiglianze e le appartenenze, come nel caso degli individui che sono stati adottati, che le persone associno alcuni tratti del comportamento, del carattere e dell’indole al paese di nascita, in caso di adozione internazionale (o nazionale con genitori nati all’estero), perché la retorica genetica, anche se collettiva di un popolo e non familiare, non ci abbandona mai. In questo bias ricadono anche i genitori adottivi e i professionisti coinvolti nel sistema dell’adozione, per i quali diventa prevalente la trasmissione ereditaria di determinati comportamenti/caratteri/indoli (socialità e gioiosità per i bambini provenienti dal Sudamerica, riflessività per i bambini del sud est asiatico, determinazione e razionalità per quelli dell’est europeo, ecc.).

I genitori adottivi per lo più temono che il corredo genetico dei loro figli, derivato della somma di due linee ereditarie “problematiche” che hanno condotto i loro figli alla adottabilità (abuso di alcol e sostanze, condotte antisociali, povertà, scarsa istruzione, salute mentale compromessa, ecc.), sia dominante rispetto all’ambiente medio-borghese in cui solitamente vanno a innestarsi le vite dei bambini che saranno adottati. Quando poi il legame familiare tra il ragazzo e la famiglia adottiva è compromesso o si spezza, frequentemente i genitori adottivi attribuiscono la responsabilità della crisi (o del fallimento del progetto familiare), in maniera consapevole o meno, alle condizioni di vita dei loro figli prima di essere adottati e/o ai geni imperfetti e compromessi dei loro genitori di origine, se le traiettorie di vita sono da loro conosciute. In questi casi i fattori ambientali (anni di vita con la famiglia adottiva) sono elegantemente azzerati. 

Eccoli gli effetti, ecco l'impatto su chi ha una storia di adozione nella propria vita. E' un impatto diretto, reale, concreto, per nulla teorico o generico.

Non è possibile pensare con chiarezza se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza” (John Searle, nel libro “Con parole precise” di Carofiglio – Laterza 2017). 

Così inizia la parte finale del libro, Conclusioni e Auspici, a chiarirci una volta di più che si tratta di un Saggio sì, ma soprattutto si tratta di un libro che ci chiama ad agire, a fare dei cambiamenti, a provare a lavorare sui nostri "stereotipi" e su quelli sociali.

Vorrei sollecitare tutte e tutti a fare del proprio meglio per costruire una società in cui i bambini e le bambine che sono stati adottati possano crescere senza pensare che abbiano qualcosa che non va: qualcosa in meno (autostima, capacità di apprendimento, ecc.) o in più (troppe famiglie, grandi traumi, ecc.).

In questo libro, se è evidente che “parole” e “idee” si plasmano le une con le altre, altrettanto evidente è che la comprensione del reale non può esser fine a sé stessa, deve necessariamente diventare movimento ed azione. Si tratta di una Call To Action che non può lasciarci "fermi".

Ed è con questo spirito che invito a leggerlo. Per capire certamente, ma soprattutto per lasciarsi "toccare" e per iniziare a pensare a "cosa fare".


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Data di pubblicazione: 
Martedì, Marzo 21, 2023

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