Autore: 
Dott. Franco Carola, Sara Leo
Questo articolo a due voci vuole condividere alcune riflessioni su come sentiamo e viviamo questo tempo di emergenza, attraverso l’esperienza di una mamma – Sara Leo - e le parole esperte dello psicologo - psicoterapeuta, dr. Franco Carola.

 

Sono quattro settimane che la nostra vita è cambiata. Improvvisamente ci siamo noi e tutto il resto del mondo fuori. All’inizio sono state chiuse le scuole e siamo stati invitati ad evitare affollamenti, riducendo al minimo incontro con amici, familiari e colleghi. Poi, con il crescere dell’emergenza, sono cresciuti ansia e consapevolezza per una situazione sempre più seria e pericolosa per tutta la comunità. Nessuno era più al sicuro e l’unico modo per proteggersi e proteggere era stare a casa.
 

Da quel giorno in cui abbiamo iniziato a vivere la quarantena

S.L. - Dapprima eravamo solo mio figlio ed io, mentre mio marito continuava a lavorare in ufficio. Poi, anche lui ha cominciato a lavorare da casa e oggi è il nostro decimo giorno sempre insieme, h24. La nuova situazione ha richiesto qualche giorno di adattamento. Si è trattato di costruire un nuovo equilibrio, dove ciascuno in famiglia si è trovato a far fronte a una situazione completamente nuova. Il papà è alle prese con lo smart working; la mamma che già prima lavorava da casa, adesso deve farlo in condizioni completamente diverse; il figlio che, quando non fa i compiti, vuole giocare con mamma e papà, finalmente tutti per lui. La quotidianità si srotola tra momenti idilliaci, momenti più faticosi e la flessibilità che ogni equilibrio richiede. Il piccolo di casa vive questo tempo sospeso fatto di mattine dal risveglio lento, giochi per divertirsi e per imparare giocando, libri e coccole, ma anche di malinconia e voglia di normalità.
Quando gli abbiamo detto che la scuola sarebbe rimasta ancora chiusa, ha esclamato: “Questo virus mi fa schifo” e, determinato, ha voluto preparare una pozione, imbottigliarla affinché potessimo consegnarla ai medici, per dar loro un aiuto nel combatterlo. Il desiderio di tornare alla vita di sempre è molto forte.
 

Quali emozioni proviamo

F.C. - La situazione di emergenza apre l’individuo ad una gamma di emozioni che si vanno alternando in maniera rapida ed inusuale: il disorientamento iniziale (che può durare qualche giorno) apre le porte a paura, sconforto, rabbia, per qualcuno in questo esatto ordine, per altri, con prevalenza di una sulle altre, per altri ancora, più drammaticamente, in un ciclo a spirale che può sembrare non fermarsi mai. Il senso di impotenza e prigionia si fa largo, lento ed insidioso.
Assistiamo alla volontà spesso di evitare o mascherare tali vissuti emotivi assumendo atteggiamenti di “normalità”. In questi frangenti è fondamentale una permeabilità delle emozioni: prendersi il tempo e lo spazio per viverle, attraversarle e lasciarsele conseguentemente alle spalle. Fare finta che nulla sia cambiato rischia, ad emergenza terminata, di aprire la strada ad “effetti boomerang”: quanto trattenuto dentro di Sé prima, esplode in maniera inattesa e fragorosa dopo.

 

Quando si vive l’emergenza

S. L. - Questo periodo di emergenza sanitaria ci sta mettendo alla prova, sbattendoci davanti i nostri limiti, ma, anche, ricordandoci tutte le risorse che abbiamo, come singoli, come coppia, come genitori, come figli. Mentre in questi giorni ci sforziamo di trovare il lato positivo di questo tempo lento e coloriamo arcobaleni di fiducia, cerchiamo di contenere la paura per una situazione fuori dal nostro controllo, che ci fa sentire vulnerabili e impotenti. Lo facciamo per proteggere i nostri figli e i nostri cari, per non preoccuparli e, anche un po’ per noi stessi, per sentirci al sicuro, perché in fondo il virus è là, fuori. “Se seguiamo le regole e restiamo a casa, tutto andrà bene” ci diciamo. Ci mettiamo al riparo in questo pensiero, fino a quando non arriva la notizia che il virus ha toccato gli affetti di chi conosci - e non importa se tanto o poco – ma ci fa sentire scombussolati. Poi, arriva la sera e si fa fatica a smettere di pensare per addormentarsi e riposare corpo e mente. Come succede a noi, accade anche ai bambini, benché si pensi siano piccoli, anche loro hanno un’emotività. Magari faticano ad addormentarsi o si svegliano durante la notte, o temono di perdere le loro certezze, come mamma, papà, i nonni e gli amici.
Dr. Carola, come possiamo rassicurarli in modo autentico e senza trasferire loro le nostre paure?
 

Costruire un rifugio e starsi accanto

F. C. - Le emozioni sono il migliore strumento comunicativo per un bambino. Fingere che non si sia preoccupati non ha senso: i bambini ragionano “di pancia” e hanno le antenne sempre ben sintonizzate sul mondo emotivo dei propri adulti di riferimento. La migliore rassicurazione è dimostrare loro che la preoccupazione può esistere senza schiacciare, si può convivere con le paure senza esserne annientati.
E, quando si ha paura, piuttosto che evitarla, le si può dedicare uno spazio, giocarci, anche simbolicamente. In questo momento storico dove il mondo dell’adulto è tormentato da apocalittici scenari sanitari, economici, esistenziali, tornare ad un linguaggio meno complesso gioverebbe a tutto il nucleo famigliare. E allora perché non costruire un rifugio in casa? Una zona dedicata, una tenda, una coperta come tetto tra due sedie sotto la quale sedersi insieme, stretti stretti, sentendo che, quando si è tutti preoccupati, fare “tana”, sentirsi fisicamente vicini è già di per sé un ottimo modo per sentirsi subito meglio. Ora forse è tempo per parlare/spiegare di meno e dimostrare/sentire di più; il più vicini possibile.

 

Noi dentro e tutto il mondo fuori

S. L. - Stare a casa è la misura necessaria per il contenimento dell’epidemia, per proteggere noi e gli altri. Percepirsi chiusi dentro, con il resto del mondo fuori, provoca stress, crea tensione. Quindi, cosa è meglio fare per non sentirsi lontani da tutto e tutti?
Per sentire meno il vuoto attorno, stiamo sperimentando gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Videochiamate e piattaforme online come Skype ci vengono in auto per mantenere il contatto visivo con i nonni, i familiari e gli amici. Non solo, anche gli insegnanti stanno sperimentando nuove modalità per stare accanto ai loro alunni. Alcuni con la didattica a distanza, altri che, con le loro classi di bimbi più piccoli, per esempio inviano i loro saluti tramite video.
 

Portando l’attenzione al mondo dentro

F. C. - Stiamo vivendo un momento unico che può essere usato per sperimentarsi, insieme, nel silenzio, nella noia a volte, nello stare intorno al focolare domestico. Questa situazione estrema non perdurerà, speriamo, a lungo, ma se anche così fosse diverrebbe occasione per ricalibrare l’assetto fisico famigliare, a partire dal proprio spazio come essere umano singolo. Facciamo un passo indietro. Fateci caso: dal momento dell’arrivo di un figlio, dell’adozione, il lavoro, la scuola, gli impegni, gli amici, la famiglia allargata, non hanno dato più generalmente modo di STARE continuativamente insieme, gestire una convivenza perdurante e costante. Gli impegni sono andati scandendo le giornate, le settimane e i mesi, limitando il momento di raccoglimento famigliare a qualche ora serale o ai periodi festivi.
Oggi la famiglia è costretta a tale continuità, a determinate limiti e confini o a crearne di nuovi: la famiglia ha la possibilità di rifondarsi, solidificando le proprie fondamenta con intento chiaro e determinato.
La sfida ora è proprio questa: trovare il modo di essere famiglia ancora un po’ di più, portando l’attenzione al “mondo dentro” dimenticandosi, per quanto possibile, di quello fuori.

 

Tempo da riempire o tempo per nutrire?

S. L. - Così, in quei momenti in cui gli spazi ci sembrano troppo stretti e il tempo dilatato e a tratti difficile da riempire, anche la noia diventa possibilità. Quando è arrivata la notizia delle scuole chiuse, ho subito pensato che avrei potuto trascorrere il tempo con mio figlio, facendo un po’ di quei lavoretti creativi che tanto si vedono su internet in questo periodo. Ma cosa fare quando tuo figlio preferisce altre attività come una partita a calcio – in casa o in giardino – una gara di moto su un circuito casalingo improvvisato o giocare a far finta di avere tre fratelli con cui condividere il tempo?
 

Dal caos nascono occasioni per riscoprirsi

F. C. - Stiamo vivendo una situazione estrema: come esseri umani, il nostro istinto di sopravvivenza si allea a tutte le competenze basilari acquisite negli anni e, grazie all’esperienza del singolo, ci fa scegliere una lista di priorità inedita nel quotidiano agire. Ora è il giusto momento, quale che sia l’età dei propri figli, per trasmettere un concetto importante per l’evoluzione dell’essere umano: bisogna imparare a cavarsela da sé, a sopravvivere! E tale concetto non riguarda più solo il trovare un lavoro, o laurearsi o una persona degna per creare una famiglia. La sopravvivenza parte da gesti minimo: saper cibarsi preparandosi un giusto pasto, saper fare a meno della lavatrice in caso manchi l’elettricità, rammentarsi un calzino o metter un bottone, e altre attività che noi siamo per acquisire, ma scontate non sono di certo. Uno dei compiti dei genitori è portare i propri figli a saper badare a se stessi nel più breve tempo possibile. Bene, già da oggi alcuni compiti possono diventare un modo per fare ciò e intrattenerli con attività semi-ludiche: preparare da mangiare, lavare, stirare, anche solo piegare i vestiti. Imparare l’arte di sopravvivere o di fare a meno del superfluo sarà una lezione che, tra un decennio o più, renderà una volta di più i propri figli abili a cavarsela da soli.

Nell’ambito adottivo, dove il tema del nutrimento si rivela particolarmente investito di significati, aiutare i propri figli a nutrirsi da soli, a prepararsi (e preparare magari per tutta la famiglia) del cibo, un pasto, dà loro modo di lenire ferite profonde, silenti; il senso di sopravvivenza, di “da solo non ce la farò”, di inadeguatezza, le cui radici si rivelano nel distacco dal sistema di nutrizione primario, avvertito come buono o cattivo che fosse, ha modo di esser ora “lavorato” nella pratica quotidiana, in maniera semplice e senza troppe spiegazioni. Tutti insieme si collabora ai bisogni gli uni degli altri, compatibilmente con le proprie caratteristiche di età e forza e competenze acquisibili.
Il contesto attuale, distanziante, in questo modo, seppur estremo, ci avvicina.
Data di pubblicazione: 
Lunedì, Marzo 23, 2020

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