“…Non ti preoccupare se i tuoi figli non ti ascoltano, ti osservano tutto il giorno”
Madre Teresa di Calcutta
Aditi arriva dall’India e ha vissuto i suoi primi due anni in istituto; non ha mai conosciuto la madre.
Minh arriva dal Vietnam e ha vissuto i suoi primi cinque anni con la madre, uno con la nonna e gli ultimi due in istituto.
Agustin arriva dal Brasile; ha vissuto i suoi primi quattro anni in una famiglia violenta dove ha subito maltrattamenti e poi è stato un anno in istituto.
I percorsi dei bambini che arrivano in famiglia dopo un’esperienza più o meno lunga in istituto hanno un comune denominatore: l’esperienza di doversi “adattare” a un nuovo contesto affettivo con genitori con cui si costruirà un nuovo incontro e una rinnovata esperienza di vita. Il modo con cui questo incontro si potrà realizzare è uno degli interrogativi più naturali e attesi per i genitori che accedono al percorso adottivo; sarò capace di essere un buon genitore? Come sarà mio/a figlio/a? Saprò educarlo/a? Resterà traccia in lui/lei dell’esperienza che ha vissuto prima di arrivare nella nostra famiglia? La ricerca psicologica offre, ormai da quasi venti anni, indicazioni preziose per affrontare queste domande, attraverso una formula apparentemente semplice, ma niente affatto scontata: insegnare ai genitori la disciplina sensibile.
Che cosa è la disciplina sensibile
È ormai un patrimonio culturale condiviso, grazie al contributo della teoria dell’attaccamento, il fatto che il benessere e lo sviluppo del bambino dipendono in gran parte dalla sensibilità con cui il genitore vive e gestisce gli scambi quotidiani con il figlio (Ainsworth et al., 1978; Bowlby, 1982, 1988). Sensibilità, nel significato che stiamo presentando, vuole dire sostanzialmente due cose: la prima è essere capaci di ascolto, di “accorgersi” dei messaggi e segnali comunicativi che arrivano dal bambino in maniera accurata, anche quando questi sono lievi o nascosti, oppure troppo intensi, come spesso accade per i bambini adottivi. La seconda è essere capaci di rispondere in maniera pronta e consona, ossia senza travisare ciò che si ha di fronte, e in tempi adeguati affinché il bambino possa recepire e rispondere a sua volta. Sembra un’affermazione ovvia sostenere che un bambino cresce psicologicamente più forte e più sano se può contare su genitori sensibili, ma in realtà l’ovvio non sempre si traduce in evidenza e molto spesso nelle pratiche educative quotidiane i genitori incontrano sfide e momenti di difficoltà che non favoriscono il loro mettere in atto comportamenti sensibili.
Se la sensibilità è quell’aspetto delle interazioni familiari che promuove un clima emotivo positivo e facilitante – e rientra tra gli elementi di quello che in psicologia si definisce genitorialità positiva (positive parenting) – , la disciplina costituisce l’altra faccia della medaglia e richiama quell’insieme di indicazioni, divieti, richieste e regole che, soprattutto nell’infanzia, i genitori utilizzano spesso. La ricerca psicologica ha mostrato come nell’arco di una sola giornata gli “incontri disciplinari”, ossia i momenti in cui il genitore si ritrova a dire un “no”, a far rispettare una regola piuttosto che a dare un’indicazione, ammontano a più di cento. Sono dunque molto frequenti nella vita familiare gli scambi che richiedono il rispetto della disciplina. Patterson (1982) ha formulato alcuni suggerimenti utili per cercare di rendere efficace un messaggio disciplinare, sostenendo come comportarsi in modo coercitivo – obbligare e forzare all’obbedienza per cercare di far rispettare quanto stiamo chiedendo al bambino – non sia in realtà un metodo efficace e produca molto spesso l’effetto opposto.
È qui che entra in gioco il concetto e la prassi della “disciplina sensibile” volta a unire insieme un atteggiamento sensibile con il rispetto e la fermezza delle regole disciplinari: invece di rinforzare e soffermarsi su ciò che non va, il genitore capace di disciplina sensibile privilegia l’atteggiamento di dare spiegazione di ciò che sta richiedendo, di notare in che modo il suo bambino potrà mettere in atto un comportamento positivo – eventualmente ricordando quando lo ha già fatto in passato – e di lodare anche i piccoli progressi nella direzione attesa. Da questo atteggiamento nasce l’affermazione “serve più lodare il tuo bambino per quello che sta riuscendo a fare che sgridarlo per quello che non fa”.
Ma vediamo ora come queste indicazioni, che potremmo anche ritenere di “buon senso”, possono diventare una vera e propria tecnica e modello di intervento con i genitori adottivi.
Gli interventi di video-feedback a sostegno della genitorialità adottiva
Come si può tradurre quanto abbiamo appena descritto in un intervento psicologico che sostenga il genitore adottivo nello svolgere il suo ruolo con successo? Da alcuni anni gli interventi a favore della famiglia e dello sviluppo del bambino si sono arricchiti di una modalità particolare di proporre indicazioni e sostegno psicologico: gli interventi di home visiting. Si tratta di interventi in cui professionisti qualificati si recano personalmente a casa della famiglia per prevenire/ridurre/contrastare quei comportamenti che mettono a rischio il benessere del bambino e del genitore. Un aspetto decisamente interessante è che questi interventi risultano convenienti dal punto di vista del rapporto tra costi e benefici: sono brevi (non oltre i 16 incontri), non hanno controindicazioni o effetti negativi inattesi, i risultati raggiunti durano nel tempo, e offrono dimostrazione di raggiungere con successo quanto promesso, ossia aiutare il genitore adottivo a “leggere” in modo accurato e corretto i comportamenti del proprio bambino e a dirigerli con una disciplina ferma e al tempo stesso sensibile (Bakermans-Kranenburg et al., 2003). I migliori risultati nel sostenere la sensibilità del genitore si ottengono utilizzando la tecnica del video-feedback. Questa tecnica consiste nel videoregistrare specifici momenti di interazione tra il genitore e il bambino e poi proporne in un momento successivo la visione al genitore accompagnata dal commento o “feedback” del professionista. I gesti e i comportamenti dicono quello che le parole ancora non possono esprimere (Juffer & Steele, 2014); riguardandosi con il proprio bambino in momenti di gioco o di scambi quotidiani, il genitore scopre, con l’aiuto di un professionista esperto, quali sono i punti di forza che lo legano al proprio bambino e come far crescere questo legame in senso positivo.
Tra i programmi attualmente più accreditati, e di recente sperimentazione anche in Italia, c’è il programma di derivazione olandese denominato Video-Feedback Intervention to promote Positive Parenting and Sensitive Discipline (VIPP-SD; Juffer et al., 2008), indicato per le famiglie adottive con bambini fino al sesto anno di età.
Quali sono le caratteristiche di questo programma e le ragioni del suo successo? Innanzitutto, la sua applicazione prevede un training formativo obbligatorio e una supervisione per tutti i professionisti, garantendo in tal senso una buona qualità e un controllo nella sua applicazione. La durata del programma di intervento ha un formato agile e contenuto, comprendendo sei visite di circa un paio d’ore nell’arco di 4-5 mesi, impegnando in tal senso la famiglia per un periodo di tempo gestibile e accessibile alla maggioranza delle realtà familiari. Per i genitori è bello e coinvolgente rivedersi nei video che, al di là delle parole, rivelano molto di più di ciò che effettivamente accade quando stanno insieme a loro figlio impegnandosi in un gioco. Ogni genitore ha un suo stile e soprattutto comportamenti che mette in atto in modo automatico, senza pensarci. Osservare e accorgersi di cosa funziona con il proprio bambino adottato e di cosa, al di là delle migliori intenzioni, in realtà si riveli con un esito opposto rispetto a quello atteso consente di dare spazio al cambiamento e al proprio miglioramento. Il tutto senza giudizio e con una partecipazione empatica da parte del professionista che guida l’intervento.
Coniugare sensibilità e disciplina è una formula essenziale per lo sviluppo equilibrato dei figli ed è di vitale importanza che si cominci da piccoli a imparare come farlo. La ricerca indica infatti che un bambino capace di “obbedire” – così come a volte di trasgredire – è un bambino che incontrerà meno difficoltà nei rapporti con gli altri, sarà meno soggetto a stati emotivi negativi e meno vulnerabile nei momenti di difficoltà. Puntare sul valore delle pratiche educative entro i primi 5-6 anni di vita rappresenta, in questo senso, un investimento sul capitale umano cui anche le analisi economiche riconoscono un ritorno certo e considerano di strategica importanza (Heckman, 2008). Molto spesso, al contrario, si rinuncia a dire “no” o “adesso basta” per non far arrabbiare troppo il bambino, oppure si ignorano le conseguenze emotive di un intervento disciplinare fatto con poca sensibilità.
Ma vediamo per quali genitori e bambini il VIPP-SD si è rivelato utile e quando la ricerca ha dimostrato che comportarsi in questo modo sensibile ai bisogni del piccolo e attento al rispetto delle regole funziona.
Il video-feedback a chi si rivolge e per chi funziona?
L’efficacia del VIPP-SD è stata analizzata in più studi scientifici, con risultati unanimemente positivi per diverse tipologie di famiglie, di cui quella adottiva è stata la più studiata (Dozier & Rutter, 2016; Juffer, Bakermans-Kranenburg, & van IJzendoorn, 2018). Anche il nostro laboratorio ha analizzato per tre anni i benefici dell’applicazione di questa tecnica con un centinaio di famiglie adottive nel primo anno del post-adozione, ossia quando si comincia a costruire l’“incontro adottivo” (Barone et al., 2018, 2019). I risultati hanno mostrato come, mentre per le famiglie che non avevano partecipato all’intervento la sensibilità del genitore diminuiva dopo i primi mesi di “luna di miele”, per quelle che avevano preso parte all’intervento cresceva sensibilmente e, dato ancora più importante, continuava a crescere anche dopo che lo stesso era terminato, instaurando così un circolo virtuoso. Oltre che i vantaggi diretti sullo stile educativo del genitore, l’intervento ha dimostrato di avere un effetto positivo anche sui bambini: più connessi emotivamente con i loro nuovi genitori e meno propensi a sviluppare problematiche comportamentali, come comportamenti aggressivi, impulsivi e “fuori controllo”, piuttosto che comportamenti ritirati o ansioso-timorosi.
Vale per tutti i bambini ciò che stiamo illustrando? Sì, vale per la maggioranza dei bambini e, fatto interessante, vale in particolare maniera per i bambini considerati più “difficili”, ossia per quelli con un temperamento più reattivo, che meno sembrano adattarsi facilmente ai richiami e alle indicazioni del genitore.
Quale messaggio proviene da queste esperienze e da queste ricerche?
Esistono alcuni aspetti del modo di svolgere il ruolo di genitore che sono fondamentali per il benessere della famiglia e dei figli e mostrano come puntando alla qualità della relazione si raggiungono importanti risultati che durano nel tempo. E questo vale soprattutto per la famiglia adottiva, in cui l’incontro si costruisce nel momento in cui il bambino entra in famiglia da “sconosciuto”.
Il modello tradizionale che ispira l’offerta di cura dei servizi per la famiglia guarda principalmente ai deficit e alle problematicità dell’utenza piuttosto che alle risorse e ai punti di forza, concentrando gli interventi quando i problemi sono già evidenti e conclamati. Il modello che ho presentato è orientato invece alla prevenzione, ossia ad accompagnare la famiglia prima che si possano manifestare ostacoli o problemi in tutta la loro importanza. I benefici riguardano il benessere psicologico, ma anche lo sviluppo cognitivo, la capacità di impegnarsi e di studiare, nonché la possibilità di superare esperienze negative pregresse tramite la forza dei nuovi legami affettivi.
Diventare genitori adottivi imparando la disciplina sensibile significa progettare il futuro dei propri figli scoprendo come anche aspetti convenzionali quotidiani e “semplici” come coniugare sensibilità e affetti con la disciplina e il rigore possono diventare strumenti raffinati e strutturati per sostenere quel compito antico ma sempre pieno di sfide che è fare il genitore con cura e affetto, senza rinunciare al proprio ruolo educativo e disciplinare.
di Lavinia Barone
Psicologa e psicoterapeuta. Direttore del Laboratorio Attaccamento e Genitorialità – LAG, Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Università degli Studi di Pavia.
Bibliografia
Ainsworth, M.D.S., Blehar, M.C., Waters, E., & Wall, S. (1978). Patterns of attachment: A psychological study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Bakermans-Kranenburg, M.J., van IJzendoorn, M.H. & Juffer, F. (2003). Less is more. Meta-analysis of sensitivity and attachment interventions in early childhood. Psychological Bulletin, 129, 195–205.
Barone L., Barone V., Dellagiulia A., Lionetti F. (2018). Testing an attachment-based parenting intervention – VIPP-FC/A in adoptive families with post-institutionalized children: Do maternal sensitivity and genetic markers count? Frontiers in Developmental Psychology, 9, 156.
Barone, L., Ozturk, Y., & Lionetti F. (2019). The key role of positive parenting and children’s temperament in post-institutionalized children’s socio-emotional adjustment after adoption placement. A RCT study. Social Development, 28, 136–151.
Bowlby, J. (1982). Attachment and loss: Vol. 1 Attachment. New York: Basic Books.
Bowlby, J. (1988). A secure base: clinical applications of attachment theory. London: Routledge.
Dozier, M. & Rutter, M. (2016). Challenges to the development of attachment relationships faced by young children in forster and adoptive care. In J. Cassidy & P. Shaver (Eds.), Handbook of Attachment(3rd ed., pp. 269–714). New York, NY: Guilford Press.
Heckman, J.J. (2008). Schools, skills, and synapses. Economic Inquiry, 46, 289–324.
Juffer, F., Bakermans-Kranenburg, M.J., & van IJzendoorn, M.H. (2005). The importance of parenting in the development of disorganized attachment: Evidence from a preventive intervention study in adoptive families. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 46, 263–274.
Juffer, F., Bakermans-Kranenburg, M.J., & van IJzendoorn, M.H. (2008). Promoting positive parenting: An attachment-based intervention. New York: Taylor & Francis.
Juffer, F., Bakermans-Kranenburg, M.J., & van IJzendoorn, M.H. (2018). Video-fedback intervention to promote positive parenting and sensitive discipline. In H.Steele & M. Steele (eds.) Handbook of attachment-based interventions. New York: Guilford.
Juffer, F., & Steele, M. (2014). What words cannot say: The telling story of video in attachment-based interventions. Attachment & Human Development, 16, 307–314.
Patterson, G.R. (1982). Coercive family process. Eugene, OR: Castalia.