Autore: 
Monica Nobile, psicopedagogista.

Questo è il primo di una serie di articoli che appariranno mensilmente a cura della dott.ssa Monica Nobile dedicati al CRESCERE. Gli articoli che seguiranno a questo primo contributo alla riflessione sulla crescita dei figli, propongono considerazioni ed esperienze, anche attraverso testimonianze di ragazzi, giovani e genitori.

Al fine di trattare l’adolescenza nei suoi aspetti peculiari, verranno proposte le voci di chi ha vissuto questa fase come figlio o genitore adottivo, ma anche racconti di vita di chi non appartiene alla sfera dell’adozione.

La speranza è quella di uscire dallo stereotipo e dalla categorizzazione dell’adozione, di entrare – certo – in questo specifico mondo, ma al tempo stesso di considerare le peculiarità dell’adolescenza con più ampio respiro, cogliendo nell’avventura della crescita diversi significati e diverse prospettive.

 

L’inizio dell’adolescenza può variare sensibilmente in virtù di diversi fattori: caratteristiche personali, genere, esperienze passate, stile educativo ricevuto, ambiente di crescita…

In generale l’età tra i tredici e i quindici anni è caratterizzata da cambiamenti ed evoluzioni specifiche che si verificano con differenti gradi di intensità ma che possiamo individuare come specifiche dell’adolescenza. Nel periodo precedente si possono notare le prime avvisaglie, i primi “avvertimenti”; è la fase indicata come preadolescenza, fase in cui iniziano i primi segnali di cambiamento che si faranno più marcati negli anni successivi.

Le peculiarità nella fase della preadolescenza richiedono un’attenzione particolare alla sfera relazionale e sociale dei ragazzi. È l’età dove il gruppo dei pari diventa via via più importante e influenza fortemente le scelte, le emozioni, il processo di crescita e di costruzione dell’identità.

Per il forte peso che il confronto con i pari assume in questi anni, la relazione positiva e sana tra coetanei può costituire risorsa fondamentale o, al contrario, fonte di preoccupazione da parte degli adulti.

Cambiamenti fisiologici e maturazione sessuale occupano un posto prioritario. Si tratta di un vero e proprio tumulto interiore: il corpo si va trasformando e costringe a rivedere totalmente l’immagine di sé, talvolta innescando una vera e propria battaglia tra il piacersi e il voler essere diversi, tra l’accettarsi o l’inseguire modelli ideali differenti.

Spesso i genitori, durante gli anni trascorsi, si sono infinite volte impegnati a esortare i figli: “Lavati! Pettinati! Cambiati la maglietta! Accade improvvisamente che i figli comincino a dedicare incredibilmente molto tempo in doccia o davanti allo specchio: è un tempo significativo della preoccupazione che l’adolescente vive rispetto alla propria rappresentazione interna e all’immagine che gli altri hanno di lui.      

È il tempo delle incertezze e delle paure, della preoccupazione di essere accettati, della ricerca di un proprio stile che possa essere approvato all’esterno. I ragazzi cercano nei propri coetanei una forte comunanza. Si fa gruppo per darsi un po’ di coraggio gli uni con gli altri.

Ecco perché i vestiti, gli oggetti, ma anche la pettinatura, il gergo, la musica, i film, i programmi, rappresentano possibilità di sentirsi parte del gruppo.

È l’età in cui apparire in un certo modo si traduce in possedere sicurezza.

È l’età in cui, più che mai, si fa forte l’influenza dell’ambiente sociale e culturale e la stretta cerchia familiare diventa stretta rispetto ad un mondo più vasto e talvolta in contrasto con il sistema di valori e convinzioni dei genitori. Afferma lo storico Marc Bloch “Gli uomini sono figli dei loro tempi più che dei loro padri". In effetti può essere azzardato confrontare la nostra adolescenza passata con quella attuale dei nostri figli proprio per la forte influenza che il contesto agisce rispetto alla crescita delle persone.

Nella ricerca di identità e di autonomia i ragazzi rimodulano sentimenti e rapporti, non solo in base al loro vissuto, ma anche attraverso il confronto con i loro pari, i modelli che la società propone, la loro percezione di sé stessi e della realtà che li circonda

Cercano una nuova relazione con i familiari e sperimentano una nuova distanza dalla sfera nota e protettiva. Comincia l’età della diffidenza, della distanza, dell’opposizione verso l’adulto.

Finiti gli anni in cui il genitore porta con sé i figli dove stabilisce, in vacanza, il sabato sera, a scuola, inizia il tempo della contrattazione e della mediazione. Occorre venire a patti: il genitore si trova a dover conciliare l’esigenza dei figli di sentirsi grandi, autonomi, capaci e liberi di prendere le loro decisioni, con quella di proteggerli, contenerli, guidarli gradualmente verso l’autonomia. Ciò comporta un notevole impegno nel tenere a bada le proprie ansie, nell’accettare l’inevitabile processo di distacco dei figli che crescono, nel guardarli a debita distanza, evitando che si facciano del male ma anche accettando che possano cadere e rialzarsi, sbirciare dietro l’angolo e scegliere la loro strada. L’arduo compito dell’adulto, è quello di confrontarsi con rispetto ma insieme con la capacità di contenere, prevenire e affrontare pericoli e rischi che talvolta i ragazzi corrono senza la necessaria consapevolezza. È un compito che richiede la pazienza di continuare a dialogare, talvolta sino allo stremo, senza, possibilmente, cadere nella rottura e mantenendo invece una possibilità di confronto e una tenacia nel tentativo di trovare un accordo accettabile.

Per una famiglia adottiva il periodo dell’adolescenza può portare al confronto con particolari vissuti e talvolta con peculiari fragilità. Alle specificità della fase evolutiva sopra esposta si possono aggiungere speciali situazioni quali la ricerca delle proprie origini, una particolare fatica nella ricerca della propria identità, l’elaborazione dell’abbandono e/o del maltrattamento durante l’infanzia, le fragilità e il dolore vissuto durante le fasi evolutive precedenti, le conseguenze derivanti da una bassa autostima.

Per i genitori adottivi può risultare particolarmente forte e impegnativo il compito di accompagnare i figli verso l’età adulta, supportandoli nel loro percorso di crescita e di ricerca.

Significa mettersi in ascolto e in relazione con turbamenti e movimenti interiori dei propri figli ma significa anche confrontarsi con sé stessi e con il proprio compito educativo. Possono sorgere spesso molte domande. Come mi comporto rispetto alla sua cultura d’origine? E alla sua storia? Sollecito i ricordi e la riflessione sul passato, oppure parlandogliene lo ferisco? Incoraggio il ricordo del suo mondo? Come lo sostengo nella sua vita nell’ambiente in cui l’ho cresciuto, preservando le sue origini e i ricordi del suo passato, anche quando sembra esserci un rifiuto a parlarne?

Gli do tutto il tempo di cui ha bisogno nel rafforzamento della sua autostima? Oppure lo sprono nel dubbio che possa approfittarsene?

L’infanzia di un ragazzo adottato non si è svolta come di solito succede ai bambini che conosciamo. Comunque quel bambino ha cercato come ha potuto di essere “bambino” ed ora…sta crescendo.

Un ragazzino adottato che si sta cercando e confrontando con la propria storia ha un particolare, vitale bisogno di amici, di appartenere e d’altro canto può mantenere la paura dell’abbandono vivendo sentimenti contrastanti, talvolta agli estremi opposti, con i genitori.

Se nell’infanzia, infatti, è stato fondamentale il legame di attaccamento con i genitori adottivi, nell’adolescenza la normale e consueta spinta verso l’esterno apre un nuovo orizzonte. Emerge il bisogno di distinguersi dai propri genitori, confrontandosi anche con una diversità, non solo somatica, affrontando le paure della perdita e al tempo stesso il bisogno di essere individuo, persona con le proprie idee, i propri gusti, il proprio modo di vivere il mondo, il proprio speciale, unico e irripetibile modo di essere.

Il percorso di ricerca, in adolescenza, comporta sempre un riassestamento di tutta la famiglia: ciò che funzionava nei ritmi, nelle modalità, nelle relazioni, viene messo in discussione da una nuova fase di vita che coinvolge tutti gli attori dell’ambito familiare.

Ne deriva un trambusto, a cui tutti devono far fronte: inventare soluzioni, percorrere nuove strade. Nelle conflittualità che spesso emergono occorre che i genitori mantengano sempre la possibilità del dialogo, tengano sempre la porta socchiusa senza mai sbatterla poiché chiuderla corrisponderebbe alla perdita della possibilità di relazione e di crescita insieme.

È indispensabile mantenersi punti di riferimento, anche e soprattutto di fronte al movimento perpetuo dei figli che talvolta si allontanano per rispondere al loro bisogno di ricerca, talvolta si riavvicinano con paura e smarrimento.


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Data di pubblicazione: 
Lunedì, Settembre 19, 2022

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Sonia Oppici, psicologa giuridica e psicodiagnosta
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Andrea Redaelli, psicologo psicoterapeuta